Ilaria Salis - Vipera
"Vipera" è il nome ungherese del manganello telescopico. Un oggetto che nelle vicende della professoressa (precaria) e militante politico Ilaria Salis ha una importanza rilevante al punto da essere diventato il titolo di uno instant book scritto con Ivan Bonnin e pubblicato nel febbraio del 2025. Ilaria Salis dal giugno 2024 è parlamentare europeo; dall'autunno dello stesso anno è minacciata da una belva che prende la concreta forma di sospensione dell'immunità e di estradizione in Ungheria. A Budapest la Salis rischierebbe una condanna a ventiquattro anni di detenzione, accusata di aver aggredito militanti di estrema destra.
Nel primo capitolo l'A. descrive il proprio arresto a Budapest -avvenuto l'11 febbraio 2023- come una messa in scena comprensiva della fabbricazione sfacciata di prove a suo carico. Il contesto sarebbe stato quello di un "Giorno dell'Onore" che lo sdoganamento nel mainstream delle istanze della destra più estrema avrebbe trasformato nel giro di qualche anno da festicciola per pochi nostalgici a evento internazionale di commemorazione del nazionalsocialismo. A Budapest la militante Salis si sarebbe recata per manifestare contro i neonazisti; descrivendo a un lettore presumibilmente lontano dallo "strano mondo" della politica militante -di cui non nasconde affatto i limiti e i difetti e di cui riassume le vicende degli ultimi decenni- l'A. conferma che iniziative analoghe sono "una cosa assolutamente normale e giusta". La Salis racconta della procedura di arresto, del suo arrivo nella centrale di Teve Utca e del trasferimento in carcere a Cégled ritraendo la Rendőrség come una corte dei miracoli dalle procedure torturanti, antiquate e dalla dubbia razionalità, venate a tratti di perfidia gratuita; un quadro che accomuna questo libretto a moltissimi scritti autobiografici sulla prigionia di tutte le epoche. Nelle prime ore di detenzione la Salis, internazionalista convinta per atteggiamento e per comportamento, avrà modo di apprezzare certi aspetti del sentire comune ungherese: come se i confini fortificati avessero fatto una certa presa sulla popolazione, marcando il limite tra ciò che è noto e socialmente accettato e il temuto hic sunt leones di cui i pochissimi migranti presenti nel Paese sarebbero un campione. L'A. rileva le somiglianze evidenti col sentire comune agli ambienti provinciali della penisola italiana in cui la pluridecennale presenza degli immigrati avrebbe almeno costretto gli indigeni ad abituarsi alla nuova realtà.
L'A. scrive dell'infausto risultato dell'udienza di convalida in cui scopre di essere sospettata di due aggressioni sulla base di ottocento pagine di documentazione, a quanto pare prodotta in meno di tre giorni.
L'esecranda igiene delle celle di Gyorskocsi utca è l'occasione per una nuova digressione sullo scopo delle occupazioni; "occupare è proprio questo: strappare spazi al degrado e all’abbandono, impegnarsi a ripulirli, sistemarli e renderli decenti in modo tale che possano ospitare iniziative politiche, sociali e culturali, o diventare abitazioni. Vuol dire portare la vita dove non c'è". Il secondo capitolo del libro è in pratica una trattazione abbastanza esauriente, con pregevoli note entomologiche, delle per nulla entusiasmanti condizioni di vita nelle sezioni di isolamento delle carceri di Budapest in cui la Salis avrebbe cambiato cella dodici volte in sette mesi. Descrive poi un interrogatorio condotto dalla Rendőrség con la già accennata professionalità. Non del tutto aliena dalla prospettiva di un'esperienza del genere, l'A. scrive di come sarebbe riuscita ad evitarne le insidie più evidenti. Nel testo l'interrogatorio è occasione per una serie di considerazioni sullo stato autoritario, le grottesche sproporzioni tra reato e sanzione, l'invito al collaborazionismo e la demonizzazione degli imputati agli occhi dell'opinione pubblica. Nel caso specifico ad Ilaria Salis sarebbero stati contestati vari episodi di "violenza contro un membro di una comunità", reato introdotto in Ungheria... per sanzionare le aggressioni razziste e omofobe. Uno degli appigli cui i giudici sarebbero ricorsi per rinnovare e allungare i termini della custodia preventiva. Nel corso dei mesi e ad ogni rinnovo della custodia cautelare i capi d'accusa sarebbero stti cambiati ed aggravati più volte, fino a comportare il potenziale rischio di una condanna a ventiquattro anni.
Le considerazioni sul clima di aperta intolleranza che informerebbe di sé la legislazione ungherese continuano con il terzo capitolo, in cui l'A. tratta di come da alcuni anni, in un periodo di sensibile arretramento dei diritti civili, sarebbe frequente la propensione a trattare gli individui dall'identità sessuale poco netta come elementi patologici e pericolosi. L'agenda dell'"informazione" televisiva ammannirebbe al pubblico l'idea di una Unione Europea usurpatrice e instillatrice di vizi di ogni genere, dalla quale il popolo ungherese verrebbe difeso -anche e soprattutto nelle aule dei tribunali, stante la sempre più tenue distinzione tra i poteri- dall'esecutivo sovranista. Nelle testimonianze e nella letteratura di argomento carcerario ritorna spesso il tema della burocrazia interna in cui pignoleria, errori materiali, padronanza più o meno opinabile della lingua, documenti compilati all'insegna della scorciatoia e una certa propensione alla malafede possono trasformarsi in una miscela esplosiva a tutto danno del prigioniero; Vipera non fa eccezione e la Salis descrive in più occasioni come il suo aperto rifiuto di firmare verbali mal tradotti e ancora meno veritieri avrebbe pericolosamente urtato il senso di impunità dei carcerieri. Altre pagine trattano del regime di sicurezza, di un trattamento carcerario definito "una versione aggiornata dei campi di lavoro" e di un carcere che in Ungheria come nello stato che occupa la penisola italiana svolge la funzione di discarica sociale per elementi patogeni, da trattare e stoccare in organi separati e privi di qualsiasi seria funzione riabilitativa, senza che nessuno si chieda perché mai il corpo sociale continui a produrne.
I primi contatti con i familiari dopo sei mesi di detenzione, le prime visite, lo stralcio di una delle due accuse di aggressione (poi reintegrata) sono i temi trattati all'inizio del quarto capitolo, in cui l'A. ricorda anche una propria esperienza di solidarietà in una Cisgiordania, dove avrebbe fatto personale esperienza di cosa significhi l'occupazione sionista anche per la semplice vita quotidiana. Il complicarsi della situazione e l'incarognirsi della corte decisa a confermare la detenzione fino al primo grado del processo avrebbero portato la Salis ad abbandonare la "strategia del silenzio" adottata fino al novembre del 2023 nella ragionevole ma mal riposta certezza che un edificio accusatorio tanto raffazzonato sarebbe crollato da solo.
L'A. racconta nel quinto capitolo come il 2023 si fosse chiuso col rifiuto della corte di accordarle una traduzione degli atti processuali e come il 2024 si fosse aperto con una crescente ondata di solidarietà nei suoi confronti. La situazione personale della Salis e quella generale dei prigionieri nei carceri ungheresi sarebbero entrate nell'agenda del mainstream, degli organi politici nello stato che occupa la penisola italiana e soprattutto in quella della Commissione Europea nello stesso periodo in cui l'A. riceveva la magnanima offerta di un patteggiamento sulla base dell'impianto accusatorio su accennato, e un ulteriore rinnovo della detenzione preventiva. La questione sarebbe diventata ineludibile anche per i media di Budapest, costretti ad aprire forse per la prima volta in assoluto una crepa in un sistema che non tollererebbe intrusioni, nonostante le immagini di Ilaria Salis in catene in tribunale fossero state mostrate nella peggiore luce possibile e con intenzioni presumibilmente opposte. Secondo Ilaria Salis a fronte del crescere dell'attenzione sulla vicenda le autorità ungheresi si sarebbero comportate come se non avessero "neanche una vaga idea di cosa significhi lo stato di diritto", faticando a mantenere la compostezza a fronte di ogni legalissima iniziativa portata avanti dai loro detrattori. In una udienza affollata di politici e di solidali provenienti dalla penisola italiana, il giudice avrebbe rifiutato anche la concessione dei domiciliari nonostante i tredici mesi di detenzione preventiva e nonostante i prerequisiti richiesti fossero stati soddisfatti.
Sarebbe stata l'assenza di vie di uscita, scrive Ilaria Salis nel sesto capitolo, a indurla nel marzo 2024 a prendere in seria considerazione l'idea di candidarsi alle imminenti elezioni europee, come le sarebbe stato suggerito di fare mesi prima. A fronte del pro dell'immunità la prospettiva -sempre che il colpo riesca, cosa non certo scontata- ha dei contro che l'A. illustra con un certo dettaglio, primo tra tutti il dover avere a che fare con il democratismo rappresentativo e con una "sinistra" cui la Salis non risparmia certo le critiche. La concessione dei domiciliari, annunciata il 15 maggio 2024, si sarebbe concretizzata otto giorni dopo al termine di una serie di bizantinismi procedurali che la protagonista descrive con tono di adeguato puntiglio.
Tra i punti rilevanti del settimo capitolo, che si apre trattando dell'inizio dei domiciliari in un appartamento di Budapest e continua con l'apertura del vero e proprio dibattimento, l'A. nota come nella procedura penale ungherese sia lo stesso giudice a presentare l'impianto accusatorio e a svolgere un compito che altrove spetterebbe alla pubblica accusa. In aula l'inconsistenza delle accuse avrebbe trovato ulteriori riscontri; l'A. non sarebbe stata riconosciuta come aggressore né da una delle vittime né da due testimoni. In compenso una congrua quantità di dati personali sull'A., sui suoi difensori e sugli attivisti mobilitatisi per le circostanze sarebbe finita sul web a tutto beneficio dell'estremismo di mezza Europa e fornendo fondati motivi per sospettare collusioni tra di esso e le istituzioni giudiziarie e politiche ungheresi. L'A. racconta anche di una campagna elettorale ricca di iniziative nonostante la situazione contingente e delle non desiderate attenzioni rivoltele con una certa insistenza da un gazzettino "occidentalista" dei più abietti. Il caso specifico è occasione per rilievi su come nella penisola italiana la questione abitativa rappresenti un nervo tra i più scoperti, peggiorato dal fatto che il concetto di abitazione come diritto anziché come privilegio di classe sarebbe semplicemente uscito dai temi concepibili. Ilaria Salis rivendica la propria militanza nei movimenti milanesi di lotta per la casa -in quartieri dove anche i legittimi assegnatari rischiano di essere cacciati dalla gentrificazione e dalla speculazione edilizia- considerandola parte del volto più autentico della politica.
Con la citazione dantesca del riveder le stelle si chiude il viaggio infero nelle carceri ungheresi; l'8 giugno 2024 Ilaria Salis sarebbe stata eletta, riacquistando la propria libertà.


Ilaria Salis, Vipera. Milano, Feltrinelli 2025. 224pp.