Sayyed Ali Khamenei - Cella N.14, i semi della Rivoluzione

Cella n. 14 è uno scritto autobiografico di Seyyed Ali Khamenei, dal 1989 Guida Suprema della Repubblica Islamica dell'Iran. Il libro è centrato in particolare sugli aspetti accademici, politici e rivoluzionari della vita di Khamenei fino alla sua elezione a Presidente della Repubblica nel 1981. Il testo contiene in chiusura varie pagine di apparato iconografico, e l'edizione tradotta presenta numerose e dettagliate note -spesso costituite da cenni biografici a personaggi di rilievo, a istituti, usanze o località rilevanti- che consentono di procedere abbastanza agevolmente con la lettura anche a chi non abbia molte nozioni in materia di Islam sciita e di storia iraniana.
Nella introduzione l'A. ringrazia lo studioso iraniano Mohammad Ali Azarshab per aver elevato il registro linguistico degli appunti fornitigli in arabo e ricorda il crescente accanimento con cui gli organi repressivi dello Shah avrebbero colpito i religiosi dal 1962 in poi, fino a farne la categoria maggiormente rappresentata fra i detenuti politici in Iran.
Seyyed Ali Khamenei racconta di essere nato a Mashhad nel 1939 da una famiglia nota in città per l'erudizione, l'ascetismo e l'impegno politico di alcuni dei suoi componenti. In particolare, nel 1935 il nonno materno sarebbe stato fra i promotori di una ribellione contro l'occidentalizzazione dei costumi imposta per legge da Reza Pahlavi. Il nonno paterno invece aveva diretto la principale moschea di Tabriz dopo aver insegnato a Najaf. Del padre imam a Mashhad, che avrebbe raggiunto "un altissimo livello di distacco dalle cose terrene frutto di una rigorosa austerità e di una strenua lotta alla mollezza interiore", l'A. ne ricorda con molti aneddoti la dedizione allo studio e la spartanità di costumi, oltre a un atteggiamento all'apparenza introverso che il giovanissimo Ali avrebbe cercato di non imitare. Alla madre, anch'essa buona conoscitrice della lingua araba, delle discipline religiose e dei classici della letteratura persiana, Khamenei avrebbe invece dovuto il suo primo contatto con il Corano e il primo avvio agli studi. Delle prime esperienze scolastiche, centrate sullo studio dell'arabo classico, Khamenei ricorda gli ambienti poco funzionali e un personale docente che secondo criteri pedagogici nemmeno tanto innovativi sarebbe eufemistico definire problematico. Sarebbe stata l'esigenza di contenere la seria minaccia sovietica (che avrebbe portato tra l'altro alla breve secessione dell'Azerbaigian iraniano) a indurre Mohammed Reza Pahlavi a consentire la fondazione della prima scuola elementare moderna a Mashhad, cosa cui l'A. dovrebbe in gran parte i propri progressi e la propria passione per gli studi. I considerevoli progressi nello studio del Libro avrebbero consentito a Khamenei di indossare giovanissimo il turbante -segno distintivo di quanti gravitavano attorno al mondo dei seminari islamici- in un periodo storico in cui gli ambienti governativi, pur costretti a tollerarne la diffusione, avrebbero di fatto brigato perché chi lo indossava venisse fatto segno di ridicolo da parte della popolazione, e più in generale per isolare gli ulema dal tessuto sociale. Secondo Khamenei la dinastia Pahlavi avrebbe adottato questa linea a fronte del prestigio e della forte presa sulla società che gli ulema, dediti alla difesa della comunità islamica contro il dispotismo e le intromissioni esterne, avrebbero nonostante tutto mantenuto in Iran.
Khamenei, che sarebbe stato fin da adolescente un lettore avidissimo soprattutto di romanzi iraniani e francesi, precisa il cursus studiorum affrontato assistendo alle lezioni dei maggiori giureconsulti sciiti iraniani e iracheni a Mashhad e a Qom, sotto la supervisione di un padre che aveva abituato la famiglia "a non sprecare neanche un giorno senza impiegarlo nello studio o in una conversazione fruttuosa".
Khamenei considera importante che un giureconsulto disponga di buone competenze letterarie e linguistiche; riporta vari aneddoti che attestano il suo amore per la lingua araba, per le poesie di Gibran e di al Jawahiri e per pensatori come Sayyed Qutb i cui lavori riguardavano essenzialmente il rapporto tra Islam e modernità.
La prima scintilla dell'Islam rivoluzionario contemporaneo sarebbe dovuta all'opera di Navvab Safavi; l'appena adolescente Khamenei sarebbe rimasto profondamente impressionato dall'incontro con il giovane fondatore dei fedayin-e Islam, l'organizzazione che nel 1951 aveva ucciso l'allora Primo Ministro Ali Razmara. Alla notizia della esecuzione di Safavi nel 1956 gli allievi delle scuole religiose di tutto l'Iran e di Mashhad in particolare avrebbero reagito serrando i ranghi e approfondendone il pensiero e la visione politica. Khamenei ricorda i modestissimi inizi della sua attività politica: l'elaborazione e la scrittura a mano di un lungo manifesto in cui si condannava il provvedimento con cui il governatore di Mashhad aveva limitato a dodici giorni la chiusura dei cinema ("già all'epoca sentina di depravazione") durante Muharram, il mese di lutto in cui gli sciiti ricordano il martirio di Husayn.
Khamenei avrebbe incontrato per la prima volta Ruhullah Musavi Khomeini nel 1958 a Qom, dove sarebbe già stato famoso per la serietà e la profondità del suo insegnamento. Per sei anni l'A. avrebbe frequentato le lezioni di giurisprudenza di un insegnante di risaputa compostezza e concentrazione che fino al 1962 avrebbe evitato di palesare qualsiasi tendenza rivoluzionaria. Il primo gesto scopertamente politico di Khomeini sarebbe stata la redazione di una lettera aperta al ministro della Giustizia Asadollah Alam, in cui si esprimeva in termini di totale dissenso verso una legislazione in aperto contrasto con i dettami religiosi: dall'abolizione della norma costituzionale che prescriveva come obbligatorio il giuramento sul Corano agli "atti di riforma" di impostazione statunitense. Lo Shah avrebbe sistematicamente sottovalutato l'influenza e il prestigio di cui Khomeini godeva presso gli ulema e più in generale nella società, fallendo diverse prove di forza e in particolare il referendum del 1963 sulla "rivoluzione bianca". Khamenei scrive che in queste circostanze avrebbero cominciato a emergere i primi conflitti tra Khomeini e gli altri giureconsulti. Allo stesso periodo risalirebbero la prima presenza dei religiosi nelle manifestazioni di piazza e i primi attacchi diretti della polizia. In risposta alla repressione che il 22 marzo 1963 avrebbe devastato un seminario di Qom facendo morti e feriti, Khomeini avrebbe istruito i predicatori inviati in tutto l'Iran per il mese di Muharram -tra i quali lo stesso Khamenei- affinché denunciassero pubblicamente l'operato del governo. L'A. attribuisce il successo della Rivoluzione Islamica non solo all'opposizione religiosa, ma anche a inziative come "l'opera di illuminazione intellettuale e la presentazione di un programma islamico esaustivo mediante un linguaggio innovativo" che avrebbero contribuito al rinnovamento del pensiero religioso. I rivoluzionari avrebbero inteso la religione come "un metodo di condotta e un progresso continuo verso la perfezione" da intraprendere di pari passo con le attività di mobilitazione delle masse. Il piano di Khomeini sarebbe riuscito a risvegliare l'opinione pubblica e a trasformare le cerimonie di lutto in manifestazioni antigovernative, al culmine delle quali Khomeini avrebbe accusato lo Shah di essere una diretta emanazione dello stato sionista e di comportarsi in modo da assicurare ad esso il controllo dell'economia e della società iraniane. L'arresto di Khomeini il 2 giugno 1963 avrebbe levato un'ondata di proteste di piazza duramente sedata. La città di Qom sarebbe diventata e sarebbe rimasta a lungo il centro dell'attività rivoluzionaria e della propaganda degli ulema e dei seminaristi. Khamenei vi avrebbe fondato una "Unione degli insegnanti dei seminari di Qom" e un gruppo di dodici giureconsulti (tra i quali Hashemi Rafsanjani e Montazeri) destinati a diventare il direttivo dell'azione antigovernativa.
Khamenei tratta a questo punto dell'esperienza fatta a Birjand durante il Muharram su accennato. La città sarebbe stata feudo di Asadollah Alam, la cui famiglia ("una dispotica cricca") avrebbe avuto una lunga tradizione di collaborazione coi britannici. I sermoni di denuncia contro il governo e contro i Pahlavi gli sarebbero valsi l'arresto e il trasferimento a Mashhad per una breve detenzione in un carcere militare presidiato dalla Savak e frettolosamente ampliato per far fronte alla montante ondata di dimostrazioni. Ripresa la via di casa con "un misto di desiderio, paura e pungente imbarazzo", Khamenei racconta di esservi stato accolto dalla madre con una fierezza che lo avrebbe rinforzato in maniera determinante nelle sue convinzioni. Poco tempo dopo Khamenei sarebbe stato arrestato a Zahedan, sempre per aver tenuto sermoni sugli avvenimenti di Qom, contro lo Shah e il suo governo. Descrivendo il lungo viaggio da Qom e la permanenza a Zahedan, l'A. riporta alcuni episodi indicanti come il pur solido sostegno popolare e l'attività di molti predicatori antigovernativi non sarebbero stati in ogni circostanza una realtà scontata. Nota anche come il suo secondo arresto avrebbe richiesto lo schieramento di molti effettivi per evitare gravi disordini al diffondersi della notizia. "'...Io ho una missione spirituale da portare a termine, voi avete la vostra missione ufficiale qualunque essa sia. Il peggio che possiate farmi è condannarmi a morte e io sono pronto per questo. Perciò, in che modo pensate di spaventarmi?'. Una esternazione cosiffatta ha sempre un effetto sconvolgente su chi ama solo il mondo", scrive Khamenei a proposito del suo modo di rapportarsi con i graduati della polizia. A Khamenei non sarebbero mancate le competenze per tenere conversazioni e sermoni contrari allo Shah anche al composito e non ostile uditorio nel carcere (non più esistente) di Qezel Qaleh in cui avrebbe trascorso qualche mese; l'A. ricorda alcuni tra i detenuti politici dell'epoca uccisi in vari episodi dai Mujaheddin e Khalq, a cominciare dal futuro Primo Ministro Mohammad Javad Bahonar. Le condizioni di detenzione non dovevano essere delle peggiori se nel 1979 il Consiglio Rivoluzionario di cui Khamenei faceva parte avrebbe prodotto testimonianze in favore del personale del carcere, arrestato in blocco dopo la Rivoluzione Islamica.
Dopo il rilascio Khamenei avrebbe incontrato Khomeini e sarebbe tornato a Mashhad nel 1964 mantenendo i contatti con tutti gli esponenti del movimento rivoluzionario e dell'opposizione in generale e collaborando alla fondazione della casa editrice Sepideh, specializzata in testi islamici di ispirazione rivoluzionaria. La traduzione di Il futuro appartiene a questa religione di Sayyed Qutb -pensatore egiziano le cui idee in materia di modernità e di Islam militante avrebbero avuto un posto importante nell'elaborazione ideologica della Rivoluzione Islamica- avrebbe nuovamente procurato a Khamenei le attenzioni della polizia politica. Il fatto che ad essa fossero note anche l'esistenza e le attività del gruppo dei dodici giureconsulti avrebbe convinto Khamenei a passare in clandestinità nel 1966.
Rientrato a Mashhad dopo mesi di vita defilata a Tehran, Khamenei sarebbe stato arrestato la terza volta nell'aprile del 1967 dopo il funerale dello ayatollah Qazvini e detenuto a Mashhad. L'A. ricorda anche la Guerra dei Sei Giorni "che tanto addolorò i musulmani di ogni dove", che in Iran sarebbe stata al centro di una campagna propagandistica volta a gioire dei rovesci subiti dagli arabi e da Nasser in particolare. Una campagna che a detta dell'A. sarebbe stata talmente imponente da avere l'effetto di inculcare in molti intellettuali e nei giovani in genere "un senso di impotenza tale da frustrare in essi qualsivoglia sentimento di sfida contro i veri dominatori del mondo". Il clima di scoramento che ne sarebbe derivato avrebbe reso benvenute tutte le voci di dissenso, di resistenza o di denuncia dello strapotere degli Stati Uniti e dell'Occidente in generale.
Nonostante i ripetuti arresti e la durata sempre più lunga delle detenzioni la futura Guida Suprema avrebbe potuto sempre contare sull'approvazione e sull'aiuto dei familiari e della moglie. Il libro presenta anche diversi aneddoti sulla austerità di vita e l'essenzialità dei comportamenti di consumo di casa Khamenei e l'A. non manca di sottolinearne il contrasto con l'opulenza ostentata dai medi calibri dell'apparato governativo e segnatamente da quelli della polizia politica. A fronte della crescente ruvidità dei trattamenti riservatigli e della corruttela che imperava nelle carceri, Khamenei avrebbe descritto gli agenti della Savak come individui fragili, stolidamente ligi agli ordini e mentalmente squilibrati, oltre che animati da una malvagità che li avrebbe resi capaci "di qualunque inaspettata efferatezza" e quindi perfidamente imprevedibili. In occasione del quarto arresto nel 1970 l'A. avrebbe provveduto da solo alla propria difesa, venendo condannato a un periodo inferiore a quello già scontato in detenzione preventiva.
Khamenei nota come Khomeini abbia raccolto il testimone di una precedente generazione di ulema combattenti, attivi dall'inizio del secolo contro l'imperialismo degli invasori russi e contro il colonialismo inglese, e sia riuscito a rovesciare il più potente regime della regione che aveva il sostegno delle più grandi potenze mondiali. Nonostante questo, la classe dei giureconsulti non avrebbe affrontato le circostanze con lo stesso livello di consapevolezza e di responsabilità e non sarebbero mancati nemmeno casi di aperta ostilità al movimento islamico.
Nel 1971 Khamenei avrebbe iniziato a collaborare con un gruppo armato irregolare, rivedendo i testi di opuscoli e dichiarazioni; avrebbe anche organizzato moltissime riunioni di propaganda rivoluzionaria. Nel clima repressivo che preparava le celebrazioni del 2500 anni dell'impero persiano la cosa gli sarebbe valsa il quinto arresto, in condizioni di inedita durezza. La permanenza nei due metri quadrati senza luce della cella n. 14 sarebbe stata quasi consolatoria, rispetto alle torture inflittegli da personale della Savak supervisionato da istruttori sionisti.
Khamenei ricorda lo sperpero dei festeggiamenti che lo Shah avrebbe voluto improntati ad una "inimmaginabile stravaganza", nel contesto di una campagna intesa a recidere i legami tra civiltà iraniana e Islam che sarebbe arrivata a tentare di imporre la sostituzione del calendario.
Il sesto arresto sarebbe arrivato nel 1975, dopo che l'allontanamento d'autorità dalla carica di imam di una importante moschea di Mashhad non era servito a togliere a Khamenei pubblico e seguaci provenienti da tutte le componenti sociali della città. L'A. scrive di come all'epoca la Savak, la polizia e i servizi per la sicurezza interna fossero stati unificati in un unico Comitato, dotato di strutture congiunte. In una di queste Khamenei avrebbe trascorso otto mesi senza contatti con l'esterno, punteggiati di interrogatori estenuanti e sotto costante minaccia di tortura. Una serie di aneddoti su personaggi ed episodi della prigionia serve all'A. per ricordare la determinazione e la fermezza mostrate da molti prigionieri politici, che avrebbero procurato loro "la stima carica di invidia" di molte guardie carcerarie.
L'immediato ritorno alle attività di predicatore, di insegnante e di rivoluzionario sarebbe valso a Khamenei il settimo arresto nel 1977, dopo l'invio di alcuni telegrammi per la morte del figlio di Khomeini che, pur scritti come formali espressioni di cordoglio, sarebbero stati in realtà colmi di invettive contro la monarchia e contro il governo. Confinato a Iranshahr, città a maggioranza sunnita, Khamenei avrebbe sistematicamente violato le imposizioni del confino dedicandosi proprio alle attività politiche e religiose che gli erano state proibite, contribuendo anche all'organizzazione dei soccorsi dopo una alluvione particolarmente distruttiva che avrebbe messo in luce l'incompetenza, se non l'indifferenza, delle autorità governative. In pochi mesi Khamenei sarebbe diventato una delle autorità informali cittadine più rispettate, cosa che gli sarebbe valsa l'allontanamento dalla città e un nuovo confino a Jiroft. Anche a Jiroft Khamenei sarebbe immediatamente riuscito a ristabilire una rete di contatti e conoscenze e a continuare la diffusione delle parole d'ordine del movimento islamico vanificando gli sforzi della repressione di costringere al silenzio i dissidenti confinandoli a piccoli gruppi nelle località più remote.
Khamenei ricorda l'insurrezione dei cittadini di Qom del 9 gennaio 1978, la sua sanguinosa repressione e le violente dimostrazioni che seguirono nei mesi successivi; "la Rivoluzione Islamica si scatenò senza alcun segno che potesse annunciarne la reale imminenza". Sarebbero state la formazione e lo spirito dei seminari di Qom e di Mashhad a consentire a pochi ulema di prendere il controllo della situazione grazie a un'esperienza politica che avrebbe loro conferito una "lungimirante visione degli scenari futuri" e "una scaltra capacità di individuazione delle potenziali minacce", competenze molto rare al di fuori degli ambienti governativi. Khamenei avrebbe seguito da Jiroft la maggior parte degli eventi; scrive di averla lasciata solo dopo il collasso dell'apparato repressivo alla volta di Bam, Kerman, Yazd e infine la natia Mashhad, da dove Khomeini lo avrebbe convocato per il Consiglio della Rivoluzione Islamica dopo che essa aveva prevalso, l'11 febbraio 1979.


Seyyed Ali Khamenei - Cella N.14, i semi della Rivoluzione. Lucca, Edizioni La Vela, 2024. 274 pp.