Andrea Sceresini e Lorenzo Giroffi hanno visitato la autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk nel 2014, alcuni mesi dopo il rovesciamento del governo ucraino come conseguenza dei moti di Euromaidan. Il reportage da quella esperienza è stato repubblicato nel 2022 dopo l'attacco della Federazione Russa contro la Repubblica Ucraina, con una lieve modifica al titolo (nella prima edizione del 2015 "la guerra che non c'è") e con l'aggiunta di una prefazione.
Nel corso degli anni gli AA. sono tornati nel Donbass diverse volte e il libro testimonia la loro impressione delle persone e delle cose in "una terra di pazzi, sognatori, disperati e criminali". Fin dalle prime pagine il reportage presenta una casistica degli abitanti, dei combattenti (e dei disertori) ucraini e russi, degli statunitensi e degli europei finiti in una trincea invece che "davanti a una slot machine con in mano un bicchiere di bianco" in una guerra dove a combattere erano, soprattutto e come sempre, quelli che ne avrebbero fatto volentieri a meno. Muovendosi con pochissimo denaro, facendo di proposito a meno dell'aiuto di facilitatori più o meno interessati, visitando realtà impensabili come quella delle miniere clandestine e finendo arrestati più volte, gli AA. avrebbero cercato di ritrarre nel modo più oggettivo possibile la realtà quotidiana del Donbass nella guerra che non c'era.
L'introduzione descrive il libro come la cronaca di un mese e mezzo nell'Ucraina devastata da una guerra dimenticata molto rapidamente dalla "libera informazione" occidentale, di cui Sceresini e Giroffi riassumono anche i prodromi: la repressione di Euromaidan, la fuga di Yanukovich, l'interim di Turchynov, l'elezione di Poroshenko, l'occupazione russa della Crimea senza alcuna resistenza da parte ucraina, fino all'incendio della Casa dei Sindacati a Odessa e alla secessione di Donetsk e Lugansk che avrebbero dato inizio alle ostilità. A fronte della varietà degli individui coinvolti, delle loro motivazioni e dell'interesse documentale rappresentato da avvenimenti che li avrebbero indotti a correre qualche rischio conccreto, gli AA. scrivono "chiamalo romanticismo, chiamala ideologia. Oppure, se preferisci, chiamalo egoismo. Chiamalo come vuoi ma pensa anche ai giovani che vorrebbero fare i commercialisti, hanno la felpa della Bocconi e sognano le vacanze in barca a vela. Qualche domanda finisci col fartela".
La descrizione del viaggo nel Donbass apre il libro descrivendo percorso e incontri dell'itinerario percorso in marshrutka da Kharkov a Lugansk da uno Sceresini e da un Giroffi decisi in partenza a usare come copertura la propria completa ignoranza del russo per passare senza troppi danni i posti di blocco degli ucraini e dei separatisti.
In Stakhanov gli AA. descrivono il primo vero contatto con le formazioni combattenti separatiste, sulla cui realtà quotidiana gli accordi di Minsk siglati fra Putin e Poroshenko avrebbero avuto "più o meno lo stesso peso di una confezione di aspirina in un reparto oncologico". Le milizie separatiste della Novarossia sarebbero apparse agli occhi di Sceresini e Giroffi come un aggregato di "nostalgici dell'Unione Sovietica, socialisti, stalinisti, zaristi e combattenti religiosi" tenuto insieme dal nazionalismo.
Il percorso in auto militare da Stakhanov a Donetsk viene descritto come effettuato sotto una sempre più opprimente vigilanza militare, fino all'accoglienza da parte di un miliziano giovanissimo soprannominato Clint "perché ha il medesimo ghigno di Eastwood e la stessa mancanza di ironia".
Sceresini e Giroffi descrivono l'impatto con Donetsk come quello con una città sotto assedio. Il coprifuoco, la burocrazia della autonominata Repubblica, l'apparente normalità rotta dall'artiglieria (in una guerra che nel 2015 sarebbe consistita più di un confronto tra grossi calibri che non di scontri corpo a corpo), la devastazione degli edifici pubblici. Gli AA. riferiscono dell'incontro con una redazione di propagandisti convintissimi della bontà della causa, della morte del reporter Andrea Rocchelli il 24 maggio 2014, delle vicissitudini di Graham Phillips -arrivato a Donetsk come inviato per un canale televisivo britannico ma schieratosi rapidamente coi filorussi- e del sottobosco di reporter di guerra, altri gradi delle milizie e inclassificabili personaggi tra la spia, il trafficante e l'uomo d'affari che avrebbe affollato il miglior hotel cittadino.
In andiamo alla guerra gli AA. raccontano come grazie -o meglio nonostante- il Clint Eastwood della Novorossia siano riusciti ad aggregarsi a un gruppo di combattenti piuttosto variopinti e a raccogliere testimonianze dalla linea del fronte, che all'epoca della loro permanenza sarebbe passata dalla immediata periferia di Donetsk. La narrazione picaresca delle prime pagine vira sull'angosciante quando descrive una problematica perlustrazione nella zona dell'aeroporto sotto il fuoco ucraino.
63 Il comandante Givi è centrato sulla figura e sull'operato del comandante separatista Mikhail Tolstykh (che sarebbe poi stato ucciso nel 2017) e in particolare sull'aneddotica circolante sul suo conto e su quello del suo "battaglione Somalia". Un ulteriore digressione su un'epopea ribelle che secondo gli AA. potrebbe finire tra qualche anno sui libri per ragazzi o tra gli atti di accusa di un processo per crimini contro l'umanità.
In la caserma Vostok Sceresini e Giroffi raccontano invece del battaglione più determinato tra quelli delle milizie separatiste -all'epoca costituito quasi per intero da volontari stranieri- e dell'inizio della loro visita alla prima linea.
Raggiunte le trincee di Pisky con un SUV descritto come "una strampalata polveriera ambulante" gli AA. hanno l'occasione di assistere e di partecipare alla vita dei combattenti in primissima linea e di arricchire ulteriormente una già ben fornita casistica di storie individuali.
Il trasferimento a Dnepropetrovsk permette a Sceresini e Giroffi di farsi un'idea della situazione in una metropoli di retrovia dall'altra parte del fronte, che appare influenzata in ogni aspetto della vita pubblica dalle ostilità in corso e controllata da Igor Kolomoyskyi, un oligarca della finanza e della metallurgia che -pur ebreo- si sarebbe comportato da "sfegatato supporter delle milizie neofasciste" prima di cadere in disgrazia nel 2022. Il capitolo descrive la visita della città con l'aiuto di una guida animata da viva nostalgia per l'Unione Sovietica e pronta a qualificare l'Ucraina come "una repubblica basata sul fascismo, sull’oligarchia e sullo sterminio degli innocenti". La stessa guida condurrà i due in visita -a Novomoskovsk- dai militanti di Dnepropetrovsk di quel partito comunista ucraino che sarebbe stato messo fuori legge da lì a pochi mesi. I cui simpatizzanti si sarebbero detti colpevoli di non aver rinnegato né l'Unione Sovietica né il passato e l'importanza dell'Ucraina all'interno di essa. Il capitolo si chiude con l'esposizione del sentire opposto dei militanti di Svoboda, partito nazionalista rifacentesi alle posizioni di Stepan Bandera.
A Kiev gli AA. sarebbero arrivati in treno, trovando la stessa atmosfera da città di retrovia fatta di propaganda bellica in un clima di tensione e di sospetto. Gli AA. intuiscono le potenzialità esplosive del miscuglio di politica e di religione dei comizi in piazza Maidan e dei sogni di "tempeste di fuoco purificatore" frequenti tra i profughi e le vittime delle ostilità. Quella di Kiev viene descritta come "una guerra di odio e disprezzo" che mette le persone le une contro le altre. In chiusura Sceresini e Giroffi descrivono il loro incontro con il battaglione Azov, "formato quasi esclusivamente da volontari di estrema destra provenienti da Svoboda e da Pravy Sektor". Gli AA. riferiscono in chiusura che il lavoro di un reporter proveniente dalla penisola italiana incontrato nel Donbass -notato tra l'altro per la chiassosa sfacciataccine e per la repentina variabilità delle sue simpatie- sarebbe finito per procurare loro a Kiev considerevoli fastidi.
Sceresini e Giroffi si sarebbero presentati come reporter provenienti dalla penisola italiana proprio agli ufficiali dello stesso Azov danneggiato mediaticamente dal loro disinvolto conterraneo; uno dei motivi (non l'unico) per cui la pur non cercata contiguità con un individuo dai comportamenti discutibili da molti punti di vista li avrebbe fatti finire pedinati dallo SBU, il servizio di sicurezza dello Stato.
In convoglio umanitario l'ambiente è quello delle iniziative di sostegno alla popolazione in guerra. Il capitolo descrive come un "contatto" degli AA. a Kiev avesse organizzato e diretto personalmente verso la pur filorussa Sloviansk alcuni furgoni carichi di aiuti; aggregatisi, Giroffi e Sceresini si sarebbero "ritrovati a fare da comparse in uno sgangherato set fotografico" a beneficio dell'utenza delle "reti sociali". Utenza che si dimostrerà più generosa di approvazione di quanto non lo fosse stata la popolazione di Sloviansk.
La permanenza nella cittadina, all'epoca a settanta chilometri dal fronte, è una buona occasione per un colpo d'occhio sui molto minoritari propagandisti di Sloviansk, specializzati "in bandiere giallo-blu e in morti ammazzati" oltre che nella puntigliosa aneddotica di orrori. Insieme a un gruppo comprendente alcuni dodicenni e un sacerdote, gli AA. vengono anche condotti fino al fronte in un'escursione tra il propagandistico e il pedagogico.
Nei tre giorni a Sloviansk Sceresini e Giroffi riescono anche a entrare nella caserma ucraina di una città sorda alla propaganda e allo Слава Україні, dove la popolazione non incolpa i separatisti filorussi delle estese distruzioni e dove i loro effettivi sono numerosissimi per stessa ammissione di un ufficiale ucraino. Lo scenario politico auspicato dai combattenti per le imminenti elezioni, quello della vittoria di una destra ultranazionalista, "a seggi chiusi si scioglierà come neve al sole" lasciando ai militari ucraini la magrissima soddisfazione di qualche auspicio golpista.
Per le elezioni ucraine del 26 ottobre 2014 gli AA. preparano un trasferimento a Mariupol, altra città dove i filorussi costituiscono buona parte della popolazione e in quel periodo a venti chilometri dal fronte. Lo scritto presenta i candidati più interessanti: i toni aggressivi e altisonanti di Petro Poroshenko e quelli appena più moderati del suo alleato Arsenij jacenjuk, l'estrema destra di Svoboda e Pravy Sektor fittamente rappresentata nell'esercito e nella polizia ma dal peso politico quasi nullo, il forcaiolo radicale Oleh Lyashko, il goliardico "partito di Internet", la "stanca e abbrutita" Yulia Tymoshenko, il Blocco di Opposizione erede di Yanukovich e oggetto di generale disprezzo. La previsione degli AA., confermata a posteriori, è per una vittoria del fronte governativo e filoatlantista; i militari ucraini a Mariupol, apertamente schierati con l'ultranazionalismo e a fronte di un astensionismo al quarantotto per cento, avrebbero parlato di "svendita del paese ai russi".
A Mariupol Sceresini e Giroffi avrebbero trascorso qualche giorno, scoprendola sostanzialmente assediata, impoverita di attività e di abitanti, e venendo cordialmente sconsigliati dal tentare esplorazioni avventurose verso est e verso la prima linea. Esplorazioni avventurose che ci saranno comunque e che saranno dai due descritte nei dettagli.
Di nuovo a Donetsk, gli AA. seguono un'altra campagna elettorale, stavolta nelle regioni separatiste filorusse. Il capitolo descrive molto crudamente anche il funzionamento dell'obitorio cittadino prossimo al collasso, completata da un'intervista al medico direttore. Una visita che ispira una riflessione sulla conta delle perdite e delle vittime.
Il 2 novembre 2014 gli AA. possono assistere alle elezioni in Donbass, riconosciute solo dalla Russia; "il resto del pianeta ha preferito voltarsi dall'altra parte". Invece di descrivere le formazioni partecipanti, Sceresini e Giroffi si limitano a prendere atto di come gli aspiranti leader siano già al potere a Lugansk (Igor Plotnitsky) e a Donetsk (Aleksandr Zakharchenko) e di come il voto serva alla loro mera riconferma, prima di descrivere l'ultimo giorno di campagna elettorale itinerante di Aleksandr Zakharchenko -che nel 2018 sarebbe stato ucciso con un'autobomba- e la visita ai seggi fatta il giorno delle consultazioni. Gli AA. rilevano un'affluenza molto più alta che nelle elezioni a Mariupol, e un'atmosfera rilassata che contrasta molto con quella prevalente dal lato ucraino del fronte tranne che nella Ilovaisk praticamente distrutta da furibondi scontri qualche mese prima. Il libro ricorda anche l'esistenza di una commissione internazionale voluta dal governo separatista a sovrintendere sul voto, composta per lo più da estremisti di destra dell'Europa orientale e della quale avrebbero fatto parte quattro politici provenienti dalla penisola italiana guidati da Lucio Malan. Di uno di questi -Fabrizio Bertot- gli AA. rilevano la completa ignoranza non solo della lingua russa, ma anche dei rudimenti dell'alfabeto cirillico e finanche del motivo dell'intera iniziativa.
Un ritorno a Lugansk dopo le elezioni conferma agli AA. la sconfortante impressione della prima visita; la prolungata mancanza di acqua, gas ed elettricità vi riduce la vita associata a pochi tratti essenziali e la vita economica al baratto. Nel caos di Lugansk essi notano l'influenza russa, le pessime abitudini di molti capi della milizia, i traffici di armi e addirittura una serie di dicerie su un'armata libertaria ispirata da Nestor Makhno che si sarebbe apprestata a combattere tanto gli ucraini quanto i separatisti.
Durante l'ultimo giorno a Lugansk gli AA. riescono a incontrare Andrea il fascista. Scomparso dalla penisola italiana a giugno 2014 e noto per una serie di atti di squadrismo, il lucchese Andrea Palmeri appare agli AA. diverso dalle attese quel tanto che basta a rimettere in discussione anche le poche certezze rimaste loro.
I combattimenti di Spartak e la vita nei rifugi sono documentati da AA. che si dicono diventati incapaci di riconoscere "il limite tra incoscienza e dovere di cronaca" finalmente a diretto contatto con la prima linea vicino all'aeroporto di Donetsk. Nel sobborgo di Spartak l'ambiente e i pericoli sono quelli della prima guerra mondiale; la vita di chi non ha potuto o voluto andarsene si svolge in vecchi bunker sotto il fuoco ucraino, o negli scantinati di grossi edifici pubblici; il libro ne descrive l'organizzazione che mescola meticolosità, improvvisazione, infinita pazienza e arte di arrangiarsi.
Omaggio al Donbass si apre con il ritorno dei due autori alla irritante realtà della penisola italiana e alla demenziale agenda della sua "libera informazione". "Il reducismo è una brutta bestia: ti porta a guardare il mondo con occhi cattivi, pieni di rabbia e freddezza", scrivono dopo essersi trovati costretti a fronteggiare nubifragi di insulti e un certo numero di strateghi da caffè per nulla disposti ad ascoltarli. Nel 2015 le sorti delle ostilità si sarebbero capovolte, con i separatisti all'offensiva fino a precari accordi di Minsk del 12 febbraio. Preparandosi a tornare a Donetsk, gli AA. dedicano il loro libro alla popolazione del Donbass, "alle vittime e agli illusi della prima guerra civile europea del Ventunesimo secolo".
Andrea Sceresini e Lorenzo Giroffi - Ucraina, la guerra che non c'era. Baldini e Castoldi, Milano 2022. 270pp.
Andrea Sceresini, Lorenzo Giroffi - Ucraina, la guerra che non c'era
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