Eric Gobetti - L'occupazione allegra. Gli italiani in Jugoslavia (1941-1943)
Nel 1941 lo stato che occupa la penisola italiana partecipò all'aggressione, all'occupazione e alla spartizione del confinante Regno di Jugoslavia.
Il titolo del documentato saggio di Eric Gobetti viene dall'espressione croata vesela okupacija, che nella memorialistica partigiana e persino nella diaristica redatta a conflitto ancora in corso indicava in toni canzonatori il carattere delle truppe di presidio in alcuni territori dello "Stato Indipendente Croato" oggetto dell'indagine. Oltre alla memorialistica, Gobetti ha attinto a fonti primarie d'archivio a Roma, Beograd, Zagreb e Mostar e alla storiografia di ogni orientamento. Gli eventi degli ultimi decenni hanno prodotto evidenti bias anche in campo storiografico e di questo è necessario tenere conto. Il saggio si articola in tre parti, precedute da un orientamento di massima e dedicate rispettivamente all'instaurazione della presenza militare proveniente dallo stato che occupa la penisola italiana nella regione di Knin e in Erzegovina, ai suoi caratteri e al suo sviluppo e alla sua conclusione.
L'inquadramento generale del saggio sottolinea come lo stato che occupa la penisola italiana abbia tenuto nei vent'anni precedenti la seconda guerra mondiale una politica suprematista e apertamente aggressiva nei confronti del regno confinante; l'assassinio di Alessandro Karađorđević a Marsiglia nel 1934 fu attuato da organizzazioni di combattenti irregolari che avevano ricevuto ospitalità e addestramento proprio nello stato che occupa la penisola italiana e solo nell'imminenza della guerra l'aggressività scemò, nella convinzione che un crollo jugoslavo avrebbe avvantaggiato solo l'espansionismo tedesco.
La prima parte del volume illustra le vicende dell'aggressione e della spartizione del Regno di Jugoslavia da parte dei paesi confinanti, e prosegue con una rapida esposizione del consolidarsi e delle vicende politiche interne allo "Stato Indipendente Croato" (NDH).
Va notato in primo luogo che dalla penisola italiana gli aggressori si mossero solo l'11 aprile 1941, con l'esercito jugoslavo già in rotta e con la Wehrmacht saldamente padrona di Zagreb. Nella penisola italiana non si avevano progetti precisi verso il nuovo "Stato Indipendente Croato" e ad attendere gli invasori c'era una Dalmazia in cui -con buona pace dell'irredentismo- non erano anche le pietre a parlare italiano... ma soltanto quelle. I compromessi tra correnti interne tennero a freno l'annessionismo ma non tennero in alcun conto le istanze croate, arrivando a imporre un Savoia come improbabile e puramente formale re di Croazia. Sulla base di un programma che si compendiava nell'odio per i serbi covato per decenni, lo "Stato Indipendente Croato" di Ante Pavelic esordì lasciando campo libero all'eliminazione selettiva di religiosi, intellettuali e maggiorenti serbi come prodromo all'azzeramento della presenza serba nei territori controllati. Il terzo e il quarto capitolo della prima parte del volume trattano dell'insurrezione generale dell'estate 1941, repressa con efficienza spietata nella Serbia sotto occupazione tedesca e con assai minore successo nello NDH di Pavelić, in cui le forze armate regolari dei domobrani lasciarono ad insorti di disparata provenienza etnica e di variegato orientamento politico intere zone del paese. Questo non impedì alle truppe politicizzate degli ustaša di continuare con l'eliminazione fisica della popolazione serba. Oltre a ricordare il primo consolidarsi della guerriglia comunista il testo esamina anche il fenomeno dell'insurrezione četnica di Draža Mihailović e i suoi rapporti con gli occupanti provenienti dalla penisola italiana, già alle prese con il problema del doversi concretamente occupare del governo anche civile di estese zone montagnose, dalla viabilità pessima, in cui l'autorità dell'NDH non era neppure formale. Il blocco di molti centri urbani, messi sotto assedio dai combattenti irregolari, indusse in pochi mesi gli occupanti a condurre una serie di abboccamenti, specie con la guerriglia serba, per arrivare a un modus vivendi che consentisse quantomeno la ripresa di un minimo di vita economica e civile. Gli sviluppi dell'inverno 1941 sono argomento dell'ultimo capitolo, in cui si espone la curiosa situazione di un occupante spesso sotto assedio e costretto ad accordarsi con formazioni četniche esplicitamente alleate degli inglesi. La storiografia jugoslava avrebbe parlato di un divide et impera pianificato e consapevole; la memorialistica degli occupanti, solo di una strategia incoerente e decisa giorno per giorno, a fronte del sempre più marcato scivolare dello NDH sotto l'influenza tedesca.
La seconda parte del volume, con i capitoli sei e sette, tratta degli avvenimenti del 1942, anno segnato da confronti aspri per il controllo del territorio ma anche dalla svolta moderata dello NDH nei confronti della popolazione serba. Gobetti illustra in modo dettagliato la politica degli occupanti, e la conferma ispirata senz'altro da un navigare a vista e da un limitare danni e beffe più che da un filo politicamente o ideologicamente coerente: la costituzione di una "Milizia Volontaria AntiComunista" sulla cui tenuta e sulla cui fedeltà si faceva il giusto affidamento, le operazioni congiunte Trio, Alfa e Beta condotte dagli occupanti provenienti dalla penisola italiana con l'esercito tedesco, i domobrani regolari croati e gli ustaša della crna legija, la guerriglia comunista delle formazioni sotto il comando di Josip Broz Tito e soprattutto il quadro di crescente povertà, insicurezza personale e indigenza in cui il continuo rovesciarsi dei fronti e delle zone di occupazione ridusse buona parte del territorio occupato e di quello sotto il controllo -spesso nominale- dello NDH.
L'ottavo capitolo è dedicato a una trattazione delle formazioni armate che si scontrarono negli anni fra il 1941 e il 1943: partigiani comunisti, esercito domobran, četnici, ustaša e altre formazioni come il partito contadino di Macek o la milizia anticomunista dei musulmani di Bosnia. La trattazione ha come orizzonte l'ascesa dei comunisti -minoranza assoluta nel paese e fra le formazioni armate nei giorni successivi all'occupazione- e gli elementi vincenti della loro strategia: azioni coerenti con la scelta di campo, tattiche aggressive, amministrazione dei territori liberati coerente con l'orientamento e con la propaganda politica. A questo atteggiamento l'autore contrappone l'attendismo di Mihailović: il mancato sbarco alleato, il venir meno del sostegno da parte degli occupanti e il passaggio graduale degli aiuti britannici alle formazioni di Tito finiranno per decretare la fine delle formazioni serbe come componente della resistenza. Gobetti rincara la dose considerando l'attrattiva della propaganda comunista, basata su un immaginario giovane e giovanile da cui erano esclusi i capisaldi del legittimismo serbo, primi fra tutti re morti e sepolti da anni.
Il nono capitolo si occupa della storiografia e della memorialistica, spesso d'accordo nel minimizzare la partecipazione dello stato che occupa la penisola italiana e delle sue forze armate alle efferatezze dell'occupazione. A questa tendenza ha fornito paradossale sostegno la storiografia jugoslava: persino a conflitto ancora in corso, il nemico per antonomasia era rappresentato dai tedeschi e la debolezza, la propensione al compromesso, il comportamento corrivo generalmente diffuso nell'armata d'occupazione comandata da Mario Roatta non veniva attribuito a carenze materiali e organizzative, disorganizzazione o incompetenza ma a stereotipi sulla componente umana della bassa forza troppo noti perché li si debba ripetere. Nella realtà l'atteggiamento antislavo dei medi e degli alti quadri è solidamente testimoniato dalla memorialistica al pari della disumanizzazione dei combattenti partigiani. La stessa memorialistica che testimonia l'approccio da guerra coloniale adottato nei confronti della popolazione musulmana. Coloro che uscirono vivi dagli eventi del 1943 e dalle loro conseguenze non contribuirono neppure con episodi eclatanti all'edificazione di una narrazione sul secondo conflitto mondiale; nessuna El Alamein e nessuna Nikolajevka in Bosnia e in Erzegovina.
La terza parte del libro si apre con il decimo capitolo, centrato sugli avvenimenti degli ultimi mesi del 1942 e su quelli del 1943. Il peggiorare della situazione su ogni fronte indusse i tedeschi a un maggior impegno nello NDH e i loro alleati dalla penisola italiana, al contrario, a un difficoltoso ridimensionamento. Una dinamica che portò nel febbraio e marzo del 1943 alla battaglia della Neretva, col collasso dei presidi lungo il fiume e lo sganciamento coronato da successo delle corpose formazioni comuniste che i tedeschi avevano cercato di intrappolare e distruggere. L'epilogo della vesela okupacija, con l'instaurazione dell'occupazione tedesca, il definitivo abbandono dei četnici da parte degli alleati e l'armistizio dell'8 settembre è argomento dell'ultimo capitolo. Per la popolazione jugoslava l'occupazione e gli occupanti significarono soprattutto fame e insicurezza, come fame e insicurezza costituivano di fatto la quotidianità offerta dagli ustaša e dai četnici gli uni contro gli altri armati e dallo stesso NDH. Il crescente affermarsi e il successo della resistenza comunista appaiono dovute innanzitutto ad una linea politica e militare che si esprimeva invece in azioni e iniziative coerenti, destinate al beneficio della Jugoslavia intera.


Eric Gobetti, L'occupazione allegra. Gli italiani in Jugoslavia (1941-1943) Roma 2007, 254 pp.