All'inizio di novembre 2009 l'attivismo politico fiorentino è vittima di una lunga serie di perquisizioni -tutte buchi nell'acqua- e di un arresto. Nessuno subisce senza resistere e la cosa dà il via ad una lunga serie di mobilitazioni, cortei e manifestazioni di piazza. Una di queste manifestazioni mette in ombra la celebrazione della "caduta del Muro di Berlino", autoreferenziale festicciola "occidentalista" che consente in concreto di costruire -e di giustificare- dieci muri veri per ogni muro demolito in effigie. La cosa indispettisce Francesco Torselli, fresco adepto della politicanza a mezzo comunicato stampa...
Francesco Torselli è un consigliere comunale fiorentino in quota piddì con la elle, noto ai nostri lettori per la passione che coltiva per Corneliu Zelea Codreanu. Il Capitano, a sentir lui, sarebbe un "punto di riferimento comunitario" di cui i giovani, in una Firenze contemporanea che nemmeno la più etilica delle fantasie potrebbe paragonare alla provincia rumena degli anni '30, non dovrebbero assolutamente fare a meno.
Codreanu è stato un attivista politico intriso del più forsennato antisemitismo e leader di un'organizzazione giovanile in cui si insegnava ai ragazzini ad andare a farsi ammazzare cantando inni nazionalisti.
In un contesto sociale normale, basi di partenza come queste consiglierebbero una certa circospezione nella scelta dei vocaboli con cui apostrofare gli avversari politici. Ma quello dello stato che occupa la penisola italiana, e soprattutto delle sue greppie e dei suoi baracconi travestiti da "istituzioni", tutto è tranne che un contesto sociale normale. Sorvolando bellamente sui suoi ingombrantissimi referenti culturali e sulle sue più che opinabili competenze in campo storico e storiografico, Francesco Torselli lamenta, in un piagnucoloso comunicato, la scarsa attenzione che a suo dire le istituzioni fiorentine e i loro rappresentanti hanno avuto per il ventesimo anniversario di quell'abbattimento del muro di Berlino che segnò l'inizio della fine per la Repubblica Democratica Tedesca.
Da qualche anno il piddì con la elle ha la spudoratezza di commemorare la cosa in modo abbastanza coreografico, con l'abbattimento di muri in polistirolo realizzati da signore attempate ed altre manifestazioni del genere. Spudoratezza, e peggio che spudoratezza, perché simili "celebrazioni" vengono messe in atto da una forza politica che ha fatto proprie tutte le armi propagandistiche, dal linciaggio a mezzo stampa alla psichizzazione a tutte le forme conosciute di delegittimazione degli avversari politici, teoricamente patrimonio di quei regimi totalitari che a parole afferma di detestare tanto. Al muro di Berlino si sono sostituiti quello di Tijuana, quello sionista, le mille erigende mura di mille e mille lager e galere ovvio e predestinato ricettacolo dei troppi ardimentosi che avessero a prendere troppo sul serio il crollo delle frontiere. Ma le galere sono solo a Tehran: quelle peninsulari, quelle europee, l'arcipelago di gulag privati degli Stati Uniti d'AmeriKKKA sono "centri di identificazione", "centri di permanenza temporanea" , correctional centers e via ingannando. Le guerre "occidentaliste" non sono guerre: sono esportazioni di democrazia. Le carceri? "Hotel a cinque stelle", secondo una retorica da gazzettieri sifilitici che non spiega come mai, se davvero vi si conduce un'esistenza tanto dorata, i politicanti peninsulari incappati in storie di prugna e cocaina, in tresche bancarottiere e peggio, fanno letteralmente carte false pur di non passarvi neppure un'ora.
Celebrare la caduta del Muro in simili condizioni non significa certo celebrare una "libertà" riservata ad un ceto medio globalizzato sempre meno numeroso e sempre più a rischio di impoverimento, ma la fine di ogni ostacolo che si contrapponesse tra la logica del capitale ed il trionfo di ingiustizie sociali che ne hanno accompagnato lo scatenamento planetario. Una celebrazione che può stare a cuore soltanto a chi ha la presunzione, più che la certezza, di avere sempre e comunque il coltello dalla parte del manico.
Con la solita incoerenza che i politicanti "occidentalisti" riescono infallibilmente a trasformare in pane, Francesco Torselli ha saputo far convivere come se nulla fosse il suo interesse per il nazionalismo rumeno con la militanza in una formazione politica che in occasione delle elezioni del 2008 ha inscenato una mostruosa ed asfissiante campagna di denigrazione del popolo rumeno nella sua interezza, arrivata al punto tale da costringere la Repubblica di Romania a mettere in piedi una controcampagna che ponesse qualche limite a tanto scagnare.
Uno dei punti più interessanti del comunicato è quello in cui Francesco Torselli, "uomo d'azione" sui manifestini di Casaggì, "futurista" tutto d'un pezzo e via enunciando per tutta una serie di maschere sicuramente poco compatibili con firme, scartoffie e permessi (si può capirlo: lo stesso Codreanu della legge e dell'ordine aveva dei concetti tutti particolari), veste i panni del legalista d'accatto e statuisce la bontà delle sue "iniziative autorizzate" contro la malvagità metafisica di quelle messe in atto da una controparte politica -che non ha certo tempo da buttare per baloccarsi con muri di cartapesta-, della quale fa finta di non sapere assolutamente niente: una massa indistinta di Nemici del patrio bene. Peccato che essi nemici il Torselli li abbia copiati praticamente in tutto, perfino nella vieta imitazione di centro sociale sorta da qualche anno in via Maruffi, con quell'arte satanica di mimesi tipica da sempre dei fascisti di tutte le sottospecie.
In chiusura, Francesco stigmatizza "i disturbi e disagi creati ad hoc da qualche decina di attaccabrighe, relitti della storia, che non hanno altri modi più intelligenti e costruttivi per passare le proprie giornate".
Della schiera degli attaccabrighe suddetti facciamo parte da oltre quindici anni senza mai aver avuto la soddisfazione che qualche micropolitico venisse a dirci in faccia quello che affida -presumendo chissà quale impunità- alle penne della vastissima schiera di servi gazzettieri a disposizione; le giornate le passiamo lavorando dieci ore al giorno e cinque giorni su sette fuori dalla provincia di residenza, e da questa occupazione otteniamo emolumenti sensibilmente inferiori a quelli che lo scaldare una poltrona riserva a tutti i Torselli della penisola italiana. Sarebbe interessante sapere se, oltre ad un approccio alla categorizzazione del reale situato nel continuum che sta tra il fantasioso e il discutibile, la politica "occidentalista" richiede ai propri mestieranti anche qualche competenza degna di questo nome.
Abbiamo sincero motivo di dubitarne.
Francesco Torselli è un consigliere comunale fiorentino in quota piddì con la elle, noto ai nostri lettori per la passione che coltiva per Corneliu Zelea Codreanu. Il Capitano, a sentir lui, sarebbe un "punto di riferimento comunitario" di cui i giovani, in una Firenze contemporanea che nemmeno la più etilica delle fantasie potrebbe paragonare alla provincia rumena degli anni '30, non dovrebbero assolutamente fare a meno.
Codreanu è stato un attivista politico intriso del più forsennato antisemitismo e leader di un'organizzazione giovanile in cui si insegnava ai ragazzini ad andare a farsi ammazzare cantando inni nazionalisti.
In un contesto sociale normale, basi di partenza come queste consiglierebbero una certa circospezione nella scelta dei vocaboli con cui apostrofare gli avversari politici. Ma quello dello stato che occupa la penisola italiana, e soprattutto delle sue greppie e dei suoi baracconi travestiti da "istituzioni", tutto è tranne che un contesto sociale normale. Sorvolando bellamente sui suoi ingombrantissimi referenti culturali e sulle sue più che opinabili competenze in campo storico e storiografico, Francesco Torselli lamenta, in un piagnucoloso comunicato, la scarsa attenzione che a suo dire le istituzioni fiorentine e i loro rappresentanti hanno avuto per il ventesimo anniversario di quell'abbattimento del muro di Berlino che segnò l'inizio della fine per la Repubblica Democratica Tedesca.
Da qualche anno il piddì con la elle ha la spudoratezza di commemorare la cosa in modo abbastanza coreografico, con l'abbattimento di muri in polistirolo realizzati da signore attempate ed altre manifestazioni del genere. Spudoratezza, e peggio che spudoratezza, perché simili "celebrazioni" vengono messe in atto da una forza politica che ha fatto proprie tutte le armi propagandistiche, dal linciaggio a mezzo stampa alla psichizzazione a tutte le forme conosciute di delegittimazione degli avversari politici, teoricamente patrimonio di quei regimi totalitari che a parole afferma di detestare tanto. Al muro di Berlino si sono sostituiti quello di Tijuana, quello sionista, le mille erigende mura di mille e mille lager e galere ovvio e predestinato ricettacolo dei troppi ardimentosi che avessero a prendere troppo sul serio il crollo delle frontiere. Ma le galere sono solo a Tehran: quelle peninsulari, quelle europee, l'arcipelago di gulag privati degli Stati Uniti d'AmeriKKKA sono "centri di identificazione", "centri di permanenza temporanea" , correctional centers e via ingannando. Le guerre "occidentaliste" non sono guerre: sono esportazioni di democrazia. Le carceri? "Hotel a cinque stelle", secondo una retorica da gazzettieri sifilitici che non spiega come mai, se davvero vi si conduce un'esistenza tanto dorata, i politicanti peninsulari incappati in storie di prugna e cocaina, in tresche bancarottiere e peggio, fanno letteralmente carte false pur di non passarvi neppure un'ora.
Celebrare la caduta del Muro in simili condizioni non significa certo celebrare una "libertà" riservata ad un ceto medio globalizzato sempre meno numeroso e sempre più a rischio di impoverimento, ma la fine di ogni ostacolo che si contrapponesse tra la logica del capitale ed il trionfo di ingiustizie sociali che ne hanno accompagnato lo scatenamento planetario. Una celebrazione che può stare a cuore soltanto a chi ha la presunzione, più che la certezza, di avere sempre e comunque il coltello dalla parte del manico.
Con la solita incoerenza che i politicanti "occidentalisti" riescono infallibilmente a trasformare in pane, Francesco Torselli ha saputo far convivere come se nulla fosse il suo interesse per il nazionalismo rumeno con la militanza in una formazione politica che in occasione delle elezioni del 2008 ha inscenato una mostruosa ed asfissiante campagna di denigrazione del popolo rumeno nella sua interezza, arrivata al punto tale da costringere la Repubblica di Romania a mettere in piedi una controcampagna che ponesse qualche limite a tanto scagnare.
Uno dei punti più interessanti del comunicato è quello in cui Francesco Torselli, "uomo d'azione" sui manifestini di Casaggì, "futurista" tutto d'un pezzo e via enunciando per tutta una serie di maschere sicuramente poco compatibili con firme, scartoffie e permessi (si può capirlo: lo stesso Codreanu della legge e dell'ordine aveva dei concetti tutti particolari), veste i panni del legalista d'accatto e statuisce la bontà delle sue "iniziative autorizzate" contro la malvagità metafisica di quelle messe in atto da una controparte politica -che non ha certo tempo da buttare per baloccarsi con muri di cartapesta-, della quale fa finta di non sapere assolutamente niente: una massa indistinta di Nemici del patrio bene. Peccato che essi nemici il Torselli li abbia copiati praticamente in tutto, perfino nella vieta imitazione di centro sociale sorta da qualche anno in via Maruffi, con quell'arte satanica di mimesi tipica da sempre dei fascisti di tutte le sottospecie.
In chiusura, Francesco stigmatizza "i disturbi e disagi creati ad hoc da qualche decina di attaccabrighe, relitti della storia, che non hanno altri modi più intelligenti e costruttivi per passare le proprie giornate".
Della schiera degli attaccabrighe suddetti facciamo parte da oltre quindici anni senza mai aver avuto la soddisfazione che qualche micropolitico venisse a dirci in faccia quello che affida -presumendo chissà quale impunità- alle penne della vastissima schiera di servi gazzettieri a disposizione; le giornate le passiamo lavorando dieci ore al giorno e cinque giorni su sette fuori dalla provincia di residenza, e da questa occupazione otteniamo emolumenti sensibilmente inferiori a quelli che lo scaldare una poltrona riserva a tutti i Torselli della penisola italiana. Sarebbe interessante sapere se, oltre ad un approccio alla categorizzazione del reale situato nel continuum che sta tra il fantasioso e il discutibile, la politica "occidentalista" richiede ai propri mestieranti anche qualche competenza degna di questo nome.
Abbiamo sincero motivo di dubitarne.