Traduzione da Strategic Culture, 6 maggio 2024.
Il mondo sta cambiando, sempre più velocemente. La dura e spesso violenta repressione poliziesca delle proteste studentesche verificatesi negli Stati Uniti e in Europa sulla scia dei continui massacri in Palestina evidenzia la manifesta intolleranza nei confronti di chi condanna la violenza a Gaza.
La fattispecie dello hate speech prevista dalla legge, è diventata così onnipresente e suscettibile di interpretazioni che le critiche al comportamento dello stato sionista a Gaza e in Cisgiordania sono ora trattate come estremismo e come minaccia per le istituzioni dello stato. Davanti alle critiche nei confronti dello stato sionista la risposta delle élite al potere è rabbiosa.
Esiste (ancora) un confine tra critica e antisemitismo? In Occidente le due cose vengono fatte coincidere sempre più di frequente.
La brusca messa a tacere di qualsiasi critica alla condotta dello stato sionista è in palese contraddizione con qualsiasi pretesa di superiorità etica occidentale e indica piuttosto uno stato di disperazione che presenta anche un pizzico di panico. Coloro che ancora occupano i posti di comando nelle istituzioni statunitensi ed europee sono costretti dalla logica delle stesse istituzioni a perseguire condotte che stanno portando alla rottura del sistema sul piano interno, provocando al tempo stesso anche un drammatico intensificarsi delle tensioni internazionali.
Queste condotte errate derivano dalle rigidità ideologiche di fondo in cui sono intrappolate le classi dirigenti: l'aver abbracciato la causa di un Israele biblico fattosi realtà, cosa da tempo estranea all'odierno Zeitgeist del Partito Democratico statunitense; l'incapacità di accettare la realtà in Ucraina; e l'idea che il solo piglio intransigente degli USA in politica possa far rivivere paradigmi ormai superati nello stato sionista e in Medio Oriente.
L'idea che sia possibile imporre all'opnione pubblica occidentale e mondiale una nuova Nakba è delirante, e puzza di vecchio orientalismo laico.
Quali altre considerazioni si possono fare quando il senatore Tom Cotton scrive che "Queste piccole Gaza sono disgustosi pozzi neri di odio antisemita pieni di simpatizzanti di Hamas, di fanatici e di pazzi"?
Quando uno stato di cose va in malora lo fa in modo rapido e completo. Dall'oggi al domani il Congresso, controllato dal Partito Repubblicano, si è visto rinfacciare il non aver approvato lo stanziamento di sessantuno miliardi per l'ucraina voluto da Biden; vi si è deciso di ignorare sdegnosamente le preoccupazioni dell'opinione pubblica statunitense per le frontiere aperte all'immigrazione, mentre le manifestazioni di vicinanza della generazione Z verso Gaza vengono dichiarate un "nemico" interno da reprimere rudemente.
Tutti punti per una inflessione e trasformazione strategica? Probabilmente no.
Anche il resto del mondo viene ora considerato un nemico; viene percepito come restio ad accogliere la catechistica pantomima sulla supremazia etica dell'Occidente e per non essersi esplicitamente allineato al sostegno verso lo stato sionista e nella guerra per procura contro la Russia.
Si tratta dell'esplicito tentativo di ambire a un potere assoluto; un tentativo che però sta causando contraccolpi globali. Sta spingendo la Cina ad avvicinarsi alla Russia e sta portando più paesi ad accelerare la loro confluenza verso i BRICS. In parole povere il mondo -di fronte ai massacri a Gaza e in Cisgiordania- non si atterrà né alle regole dettate dall'Occidente né a una sua qualsiasi ipocrita antologia del diritto internazionale. Entrambi i sistemi stanno crollando sotto il peso plumbeo dell'ipocrisia occidentale.
Non esiste nulla di più scontato del piglio contrariato con cui il Segretario di Stato Blinken si è rivolto al Presidente Xi per il trattamento riservato dalla Cina agli Uiguri, e del suo minacciare sanzioni perché, afferma Blinken, il commercio cinese con la Russia alimenta "l'aggressione russa contro l'Ucraina". Blinken si è inimicato l'unica potenza che può con ogni evidenza surclassare gli Stati Uniti e che ha una produzione e una competitività superiore a quelle statunitensi.
Il fatto è che questi attriti possono rapidamente trasformarsi in una guerra del tipo "noi contro di loro" non solo nei confronti del cosiddetto "Asse del Male" formato da Cina, Russia e Iran, ma anche contro la Turchia, l'India, il Brasile e tutti coloro che osano criticare la correttezza morale dei piani occidentali riguardo allo stato sionista e all'Ucraina. Ci sono le premesse perché la questione contrapponga l'Occidente a tutto il resto del mondo.
Di nuovo, un altro autogol.
In particolare i due conflitti su ricordati hanno cambiato il ruolo dell'Occidente da quello di autonominato "mediatore" animato dalla pretesa di portare i contendenti alla calma a quello di parte in conflitto, in entrambi i casi. In quanto parte attiva l'Occidente non può tollerare che le sue azioni siano oggetto di critica né sul piano interno né su quello'esterno, perché ciò significherebbe mostrarsi condiscententi a una composizione della contesa.
In parole povere, questo passaggio al ruolo di parte attiva in uno scontro bellico è alla base dell'attuale ossessione militarista dell'Europa. Bruno Maçães racconta che "un importante ministro europeo gli ha fatto notare che se gli Stati Uniti avessero ritirato il loro sostegno all'Ucraina, il suo paese, membro della NATO, non avrebbe avuto altra scelta che combattere a fianco dell'Ucraina schierandosi direttamente a suo fianco. Perché mai il suo paese dovrebbe aspettare che l'Ucraina venga sconfitta e che l'esercito russo aumenti i suoi effettivi con l'intento di compiere ulteriori incursioni?".
Una simile proposta è stupida e probabilmente porterebbe a una guerra su scala continentale; una prospettiva con cui il ministro senza nome sembrava sorprendentemente a proprio agio. Questa follia è la conseguenza dell'acquiescenza degli europei al tentativo di Biden di rovesciare il governo di Mosca. Volevano diventare protagonisti al tavolo del Grande Gioco, ma si sono resi conto di non avere i mezzi per farlo. La classe dirigente di Bruxelles teme che la conseguenza di questa arroganza sia lo sgretolarsi dell'Unione Europea.
Come scrive il professor John Gray:
In buona sostanza l'intolleranza liberale per la libertà di parola [su Gaza e sull'Ucraina] rappresenta un tentativo di rimuovere ogni ostacolo al potere. Spostando il luogo delle decisioni dalla deliberazione democratica alle procedure legali, le élite mirano a salvaguardare i [loro] idolatrati programmi [neoliberisti] da ogni contestazione e da ogni assunzione di responsabilità. La politicizzazione del diritto e lo svuotamento della politica vanno di pari passo.
La discontinuità della cultura coesiste con la perdita del senso del passato... La perdita di questa sensibilità ha avuto un effetto inquietante sulla cultura stessa e l'ha privata di spessore morale. Oggi l'anticultura esercita un ruolo potente nella società occidentale. La cultura è spesso inquadrata in termini strumentali e pragmatici e raramente è percepita come un sistema di norme che conferiscono un significato alla vita umana. La cultura è diventata un costrutto superficiale di cui sbarazzarsi, o da cambiare.La élite culturale occidentale si sente a disagio con la narrazione della civiltà e ha perso l'entusiasmo di celebrarla. Il panorama culturale contemporaneo è saturo di una letteratura che mette in discussione l'autorità morale della civiltà e anzi la associa a caratteristiche negative.Decivilizzazione significa che anche le identità più fondanti -come quella di uomo e di donna- sono messe in discussione. In un momento in cui la risposta alla domanda 'cosa significa essere umani' diventa complicata, e in cui i presupposti della civiltà occidentale perdono la loro salienza, i sentimenti associati alla cultura woke possono prosperare.