Traduzione da Strategic Culture, 31 luglio 2023.
Biden: "Putin ha già perso la guerra... Putin ha un problema vero: come uscire da questa situazione? Che fare?". Il segretario Blinken ripete all'infinito lo stesso mantra: "La Russia ha perso". Lo stesso fa il capo dell'MI6 mentre Bill Burns, il capo della CIA, sostiene (con tanto di frecciatine) alla conferenza sulla sicurezza di Aspen che non solo Putin "ha perso", ma anche che sta perdendo la presa su uno stato russo che si sta frammentando e che sta probabilmente infilandosi nella spirale della disintegrazione.
Cosa sta succedendo? C'è chi pensa che un qualche problema psicologico o un caso di autoconvincimento di gruppo si siano manifestati ai vertici della Casa Bianca, con la conseguente formazione di una pseudo-realtà, separata dal mondo, ma modellata senza enfasi attorno a fini ideologici di più ampia portata.
La ripetizione a pappagallo di una narrativa di dubbia fondatezza, tuttavia, si trasforma agli occhi di chi sa come stanno le cose in quella che sembra proprio una illusione occidentale; il mondo come i vertici della Casa Bianca immaginano che sia o, più precisamente, come vorrebbero che fosse.
Questa pedissequa ripetizione non è chiaramente una "coincidenza". Un gruppo di alti funzionari che recitano una parte tutti insieme non sta esprimendo illusioni proprie. Sta mettendo in piedi una nuova narrativa. Il mantra "la Russia ha perso" definisce la meganarrativa che è stato deciso di introdurre. È il preludio di un vigoroso scaricabarile: Il Progetto Ucraina "sta fallendo perché gli ucraini non stanno applicando le dottrine impartite loro dagli addestratori della NATO; eppure, nonostante questo, la guerra ha dimostrato anche che Putin ha 'perso': e anche la Russia si è indebolita".
Questo è un altro esempio della fissazione dell'Occidente contemporaneo sull'idea che "le narrative vincono le guerre" e che le battute d'arresto sul campo di battaglia sono incidentali. Ciò che conta è avere un filo narrativo unitario articolato su tutto lo spettro, che affermi con fermezza che l'"episodio" Ucraina è ormai chiuso; una parentesi chiusa per il solo fatto che abbiamo tutti la pretesa di considerarla tale.
Il succo è che noi controlliamo la narrativa; diventa inevitabile che noi vinciamo e che la Russia perda. Il difetto di questo atteggiamento arrogante è, in primo luogo, che esso fa scendere i massimi esponenti dell'amministrazione statunitense in guerra contro la realtà; in secondo luogo, che il pubblico ha perso da tempo la fiducia nei media tradizionali.
Jonathan Turley è un noto studioso di diritto e docente a Georgetown che si è occupato molto di settori che vanno dal diritto costituzionale alla teoria del diritto; richiama l'attenzione sul fatto che "...in questo momento l'impegno dei membri del Congresso e dei media è volto a far sì che l'opinione pubblica passi a interessarsi di altro invece che dello scandalo della corruzione nella famiglia Biden". Il messaggio, scrive, "è chiaro... Tutti devono farsi da parte! ... [Tuttavia] le prove si accumulano e l'interesse del pubblico aumenta: è un po' tardi per le giravolte o per gli specchietti per le allodole".
"Questa settimana è probabile che lo scandalo metterà i Biden e il Paese davanti a una situazione ancora più grave. I media stanno assomigliando sempre di più a Leslie Nielsen in Una pallottola spuntata, con questo loro sbraitare che 'non c'è niente da vedere qui' davanti a una scena virtualmente apocalittica di incendi e devastazione".
Qual è il collegamento con l'Ucraina? Un anno fa, il professor Turley scrisse che l'establishment politico e mediatico avrebbe probabilmente usato un approccio atto a far rientrare lo scandalo delle accuse di corruzione man mano che le prove a carico si accumulavano. Turley suggeriva che il Dipartimento di Giustizia avrebbe ottenuto un "patteggiamento benevolo" per Hunter Biden per un paio di capi d'accusa per reati fiscali, con una pena detentiva minima o nulla. Ebbene, questo è esattamente ciò che si è verificato un anno dopo. Poi lo scandalo è rientrato, proprio come previsto: Hunter si è dichiarato colpevole di aver pagato le tasse in ritardo, intanto che un coro di membri della Camera e di mass media gli scrollava di dosso tutte le altre accuse di corruzione e statuiva con fermezza che la questione era chiusa: che si passasse ad altro. Turley osserva tuttavia che "il desiderio dei media di "voltare pagina" in merito a questo argomento sta raggiungendo un livello quasi di frenesia, proprio mentre stanno venendo fuori transazioni estere per milioni e decine di società di comodo, e vengono rese pubbliche e-mail compromettenti.
Non è chiaro se lo stratagemma funzionerà. I problemi sono già cominciati.
Gli elementi chiave dell'operazione sgonfiaggio si rivelano essere la negazione assoluta e perentoria del fatto che esista un qualsiasi problema e l'ostinato rifiuto di concedere anche solo una parvenza di plausibilità all'idea che ci si trovi davanti a un fallimento di un qualche genere. Di farsi un esame di coscienza non se ne parla neppure.
Questo è stato il modus operandi anche per quanto riguarda la débacle del Nordstream (la distruzione del gasdotto verso la Germania): non ammettere nulla e chiedere alla CIA di preparare una versione dei fatti per far sgonfiare lo scandalo. In questo caso, un diversivo assurdo in cui c'entrano uno yacht e certi perfidi sub che scendono a 80-90 metri senza attrezzature speciali e senza gas appositi, per piazzare e far esplodere ordigni esplosivi. Non è stata svolta alcuna indagine vera e propria: "Non c'è niente da vedere".
Solo che, come attestano gli avvenimenti in Germania, a questa storia non crede nessuno; la coalizione di Berlino si trova in gravi difficoltà.
Adesso invece lo stesso copione viene applicato all'Ucraina: Il "coro" sbraita: "Putin ha perso" nonostante l'Ucraina abbia perso la possibilità di indebolire la Russia in modo sostanziale. Chiaramente, la speranza è che la squadra di Biden possa uscire indenne da una sconfitta devastante grazie al fatto che l'operazione sgonfiaggio è stata avviata ampiamente per tempo, dopo la "scadenza" estiva fissata dalla NATO per una "vittoria".
Abbiamo dato loro tutto, eppure gli ucraini hanno voltato le spalle ai nostri consigli di provata esperienza su come "vincere" e di conseguenza non sono arrivati a nulla.
"La controffensiva dell'Ucraina non sta facendo progressi perché il suo esercito non sta mettendo interamente in pratica l'addestramento ricevuto dalla NATO, secondo certe indiscrezioni su una valutazione dei servizi tedeschi... I soldati ucraini addestrati dall'Occidente mostrano di 'stare imparando molto bene', ma restano delusi da comandanti che nei campi di addestramento [della NATO] non ci sono stati, aggiungono... Nell'esercito ucraino si preferisce promuovere soldati con esperienza di combattimento piuttosto che quelli che hanno ricevuto un addestramento secondo gli standard della NATO".
Ah, ma bene. Come in Afghanistan?
La guerra in Afghanistan è stata anche una sorta di crogiolo. In senso stretto, l'Afghanistan è stato trasformato in un banco di prova per ogni singola innovazione nella gestione tecnocratica dei progetti della NATO: ogni innovazione vi veniva annunciata come se fosse l'anticipazione di un futuro rivoluzionario. Finanziamenti a pioggia, edifici venuti su come funghi, un esercito di tecnocrati globalizzati arrivato sul posto a supervisionare il processo. I big data, l'intelligenza artificiale e l'utilizzo in tempo reale di una serie sempre più ampia di strumenti tecnici di sorveglianza e di ricognizione avrebbero fatto crollare le vecchie dottrine militari. Doveva essere una vetrina per il managerialismo tecnologico. Si presumeva che un modo di fare la guerra all'insegna della tecnologia e della scienza avrebbe prevalso.
La tecnocrazia come unico mezzo per costruire un efficiente esercito in stile NATO invece ha portato in Afghanistan a mettere in piedi una schifezza che è crollata nel giro di pochi giorni: una "sconfitta su base digitale", come l'ha descritta un veterano afghano degli Stati Uniti. In Ucraina, l'esercito si è trovato tra la padella e la brace: non hanno avuto successo né l'attacco delle forze corazzate contro le difese russe, secondo la dottrina della NATO, né l'alternativa rappresentata dagli attacchi della fanteria leggera.
L'Ucraina sta subendo, piuttosto, una sconfitta in cui la NATO è stata determinante.
Per quale motivo allora si decide di negare l'evidenza e si insiste sprezzantemente ad affermare che Putin ha perso? Non conosciamo, ovviamente, le motivazioni recondite dei vertici dell'amministrazione Biden. Tuttavia l'apertura di negoziati con Mosca nella speranza di ottenere un cessate il fuoco o il congelamento del conflitto (per rafforzare la narrativa) rivelerebbe probabilmente che Mosca non transige sulla piena capitolazione di Kiev. E questo si scontrerebbe con la storia che Putin ha perso la guerra.
Forse il calcolo consiste nello sperare che, da qui all'inverno, l'interesse del pubblico verso l'Ucraina sarà stato talmente distolto da altre questioni da far concludere che l'opinione pubblica ha ormai voltato pagina, lasciando il peso della colpa ai comandanti ucraini che hanno mostrato "notevoli carenze nella leadership" che hanno portato a "decisioni sbagliate e pericolose", prese senza tenere conto dell'addestramento ricevuto secondo gli standard della NATO.
Il professor Turley conclude che
tutto questo non funzionerà, ovviamente. Il pubblico ha perso fiducia nei media. In effetti, il movimento 'Forza Brandon' è tanto una presa in giro dei media quanto una punzecchiatura contro Biden. I sondaggi dimostrano che l'opinione pubblica non sta affatto interessandosi di altro [rispetto alle accuse mosse contro Hunter] e considera questo scandalo come una cosa grave. La maggioranza ritiene che Hunter abbia ricevuto una protezione speciale rispetto al lavoro degli inquirenti. I media possono anche continuare a sopprimere le prove e le accuse all'interno delle loro camere a eco, ma la verità, come l'acqua, una via d'uscita la trova.
In effetti, gli eventi si stanno facendo strada, con o senza i media.
Ed ecco il punto cruciale: Turley ritiene che l'affare Biden costituisca "un episodio rivelatore della lacerazione interna agli Stati Uniti"; allo stesso modo, l'Occidente si trova di fronte a un'ulteriore sconfitta strategica derivante dal suo progetto ucraino. Questa sconfitta non riguarda solo l'Ucraina come campo di battaglia, ma va a infrangere il mito dell'onnipotenza della NATO e ha messo in crisi la narrativa sugli armamenti "magici" dell'Occidente. Ha fatto crollare l'immagine dell'eccellenza occidentale.
La posta in gioco non è mai stata così alta. Ma la classe dirigente ci aveva pensato bene, al momento di lanciarsi con tanta leggerezza in questo sfortunato "progetto" ucraino? Era consapevole del fatto che esisteva la possibilità di un fallimento?