Traduzione da Strategic Culture, 18 maggio 2022.
L'esito del conflitto [in Ucraina] è ovviamente sicuro da ogni punto di vista anche se la guerra è lungi dal finire. È chiaro che la Russia prevarrà sul piano militare e anche su quello politico; il che significa che qualsiasi cosa si affermerà in Ucraina al termine delle azioni militari sarà dettata da Mosca, alle sue condizioni.
È evidente da questo punto di vista che la forma di governo in vigore a Kiev crollerebbe se fosse Mosca a dettare condizioni. E da un'altra prospettiva sarebbe l'intera agenda occidentale successiva al colpo di Stato di Maidan del 2014 a collassare. Ecco perché è praticamente impossibile una via d'uscita, a meno di una disfatta ucraina.
Questo momento segna quindi un punto di inflessione cruciale. Gli ameriKKKani potrebbero scegliere di porre fine al conflitto -e ci sono molte voci che chiedono un accordo o un cessate il fuoco, con l'intento umanamente comprensibile di porre fine all'inutile massacro di giovani ucraini inviati al "fronte" per difendere posizioni indifendibili per poi finire cinicamente uccisi senza alcun vantaggio militare, solo per mantenere la guerra in corso.
Per quanto razionali, gli argomenti a favore di un'uscita dal conflitto non colgono l'aspetto geopolitico più importante: l'Occidente ha investito in modo così pesante nella propria fantasiosa narrazione di un imminente e umiliante crollo russo da ritrovarsi impelagato. Non può impegnarsi maggiormente per il timore che la NATO non sia all'altezza di affrontare le forze russe (Putin ha sottolineato che la Russia non ha nemmeno iniziato a dispiegarle pienamente), e neppure arrivare a patti o arretrare, perché significherebbe perdere la faccia.
E "perdere la faccia" significa grosso modo perdere l'Occidente liberale.
L'Occidente è così finito ostaggio del proprio sfrenato trionfalismo, presentato come guerra dell'informazione.
Questo sciovinismo sfrenato è stato una sua scelta. I consiglieri di Biden tuttavia, interpretando le rune di guerra degli inarrestabili guadagni territoriali russi hanno iniziato a intrasentire che un'altra débacle in politica estera gli sta velocemente piombando addosso.
Si rendono conto che gli eventi, lungi dal riaffermare l'ordine basato sulla supremazia degli USA, mettono invece in evidenza agli occhi del mondo i limiti del potere statunitense, concedendo la ribalta non solo a una Russia che risorge, ma anche a un messaggio che per il resto del mondo ha una portata rivoluzionaria, anche se l'Occidente non ne ha ancora preso consapevolezza.
L'alleanza occidentale inoltre si sta disintegrando a causa della stanchezza per la guerra e del fatto che le economie europee devono fronteggiare la recessione. L'istintiva inclinazione contemporanea a prendere prima le decisioni e poi a pensarci su, come nel caso delle sanzioni europee, ha condotto l'Europa a una crisi esistenziale.
Il Regno Unito è il caso esemplare di un rompicapo europeo di più ampia portata. La classe politica britannica, spaventata e in disordine, ha dapprima "deciso" di far fuori il proprio leader; poi si è resa conto di non avere a disposizione un successore con la gravitas necessaria a gestire la nuova normalità e di non avere idea di come sfuggire alla trappola in cui si ritrova.
Non osano perdere la faccia per l'Ucraina e non hanno soluzioni per affrontare la recessione in arrivo che non siano un ritorno al thatcherismo. Lo stesso si può dire per la classe politica europea: è come un cervo abbagliato da una macchina che gli si avvicina velocemente.
Biden, e con lui e una certa rete che abbraccia Washington, Londra, Bruxelles, Varsavia e i Paesi baltici, vedono la Russia da un'altezza di trentamila piedi superiore a quella del conflitto ucraino. Secondo quanto riferito, Biden ritiene di trovarsi in una posizione equidistante tra due tendenze pericolose e minacciose che stanno travolgendo gli Stati Uniti e l'Occidente: Il trumpismo in patria e il putinismo all'estero. Entrambi, a suo avviso, rappresentano pericoli evidenti e concreti per l'ordine liberale basato sulla supremazia statunitense in cui (la squadra di governo di) Biden crede appassionatamente.
Altre voci -principalmente povenienti dal settore realista della politica statunitense- non sono così infatuate dalla Russia; per queste, i "veri uomini" devono affrontare la Cina. Vogliono mantenere il conflitto ucraino in una situazione di stallo, se possibile, per salvare la faccia inviando più armi, mentre si procede a rivolgere energie contro la Cina.
In un discorso allo Hudson Institute, Mike Pompeo ha fatto una dichiarazione di politica estera che guardava chiaramente al 2024 e alla sua candidatura a vicepresidente. Al centro del discorso c'era la Cina, ma è interessante ciò che ha detto sull'Ucraina: L'importanza di Zelensky per gli Stati Uniti dipendeva dal fatto che egli continuasse la guerra, cioè che salvasse la faccia dell'Occidente. Non ha parlato esplicitamente di inviare truppe sul terreno ma era chiaro che non era a favore di un tale passo.
Il suo messaggio è stato: armi, armi, armi per l'Ucraina, e "guardare avanti" fin da adesso, concentrandosi sulla Cina. Pompeo ha insistito sul fatto che gli Stati Uniti riconoscano subito Taiwan dal punto di vista diplomatico, a prescindere da ciò che accadrà. E ha inserito la Russia nel discorso dicendo semplicemente che Russia e Cina dovrebbero essere trattate come un'unica entità.
Biden, tuttavia, sembra intenzionato a lasciar passare il momento e a proseguire con l'attuale linea. Questo è anche ciò che vogliono i molti che sono rimasti con le mani in pasta. Il punto è che le opinioni dello Stato profondo sono contrastanti e gli influenti banchieri di Wall Street non sono certo entusiasti delle idee di Pompeo. Preferirebbero una de-escalation con la Cina. Continuare sulla stessa linea è quindi l'opzione più facile, mentre l'attenzione del fronte interno degli Stati Uniti si concentra sui problemi economici.
Il punto è che l'Occidente è completamente bloccato: non può andare avanti, né tornare indietro.
Le sue strutture politiche ed economiche glielo impediscono. Biden è fissato sull'Ucraina; l'Europa è fissata sull'Ucraina e sulla sua bellicosità contro Putin; il Regno Unito, idem; e l'Occidente è bloccato nei rapporti con la Russia e con la Cina. Ma soprattutto, nessuno è in grado di prendere in considerazione le insistenti richieste di Russia e Cina per una ristrutturazione dell'architettura della sicurezza globale.
Se non possono muoversi sul piano della sicurezza -per paura di perdere la faccia- non saranno in grado di interiorizzare il fatto (o anche solo di stare a sentire, dato il radicato cinismo che accoglie ogni parola pronunciata dal Presidente Putin) che l'agenda della Russia va ben oltre l'architettura della sicurezza. Ad esempio, l'esperto diplomatico e commentatore indiano MK Badrakhumar scrive:
Il professor Hudson sostiene (qui una parafrasi e una riformulazione del suo pensiero) che esistono essenzialmente due grandi modelli economici che si sono succeduti nella storia: "Da un lato, vediamo le società del Vicino Oriente e dell'Asia organizzate per mantenere l'equilibrio e la coesione sociale, subordinando il debito e la ricchezza mercantile al benessere generale della comunità nel suo complesso".
Tutte le società antiche diffidavano della ricchezza, perché tendeva all'accumulazione a spese della società in generale e portava alla polarizzazione sociale e a gravi disuguaglianze.
Guardando alla storia antica, possiamo notare -afferma Hudson- che l'obiettivo principale dei governanti, da Babilonia all'Asia meridionale e orientale, era quello di impedire che si affermasse un'oligarchia mercantile e creditrice che concentrasse la proprietà della terra nelle proprie mani. Questo è un modello storico.
Il grande problema che il Vicino Oriente dell'Età del Bronzo aveva risolto - al contrario dell'antichità classica e della civiltà occidentale- era come gestire l'aumento dei debiti (tramite periodici giubilei) senza polarizzare la società e, in ultima analisi, impoverire l'economia riducendo la maggior parte della popolazione a dipendere dal debito.
Uno dei punti fermi in Hudson è il modo in cui la Cina ha strutturato la propria economia come un'economia "a basso costo": alloggi a basso costo, istruzione, cure mediche e trasporti sovvenzionati. Questo significa che i consumatori hanno un po' di reddito libero a disposizione e che la Cina nel suo complesso ne guadagna in competitività. Il modello occidentale finanziato dal debito invece è ad alto costo, con fasce di popolazione sempre più impoverite e prive di reddito da utilizzare a propria discrezione una volta pagati dopo aver pagato costi su cui grava il debito.
La periferia dell'Occidente invece, non avendo la tradizione del Vicino Oriente, si è "convertita" al consentire a una ricca oligarchia di creditori di prendere il potere e di concentrare nelle proprie mani la proprietà della terra e dei beni. Per motivi di pubbliche relazioni ha affermato di essere una "democrazia" e ha denunciato qualsiasi protezione regolamentata dai governi come autocratica per definizione. Questo è il secondo grande modello, ma il suo eccesso di debito lo ha spinto in una spirale inflazionistica ed è bloccato anch'esso, senza i mezzi per fare un passo avanti.
A Roma si verificò qualcosa del genere. E ne stiamo ancora vivendo le conseguenze. Far dipendere i debitori dai ricchi creditori è ciò che gli economisti di oggi chiamano "libero mercato". È un mercato privo di controlli e contrappesi pubblici contro la disuguaglianza, la frode o la privatizzazione della cosa pubblica.
Questa etica neoliberista a favore dei creditori, sostiene il professor Hudson, è alla base dell'attuale nuova guerra fredda. Quando il presidente Biden descrive questo grande conflitto mondiale volto a isolare Cina, Russia, India, Iran e i loro partner commerciali euroasiatici, lo definisce nei termini di una lotta per l'esistenza tra "democrazia" e "autocrazia".
Per democrazia intende l'oligarchia. E per "autocrazia" intende qualsiasi governo abbastanza forte da impedire a un'oligarchia finanziaria di prendere il controllo del governo e della società e di imporre le regole neoliberali. Anche con la forza, come ha fatto Putin. L'ideale "democratico" è quello di far assomigliare il resto del mondo alla Russia di Boris Eltsin, dove i neoliberisti ameriKKKani hanno avuto mano libera nella spoliazione dell'intera proprietà pubblica della terra, dei diritti minerari e dei servizi pubblici di base.
Oggi tuttavia abbiamo a che fare con varie sfumature di grigio: negli Stati Uniti non esiste un vero e proprio mercato libero, mentre la Cina e la Russia sono economie miste, anche se tendono a dare la priorità alla responsabilità per il benessere della comunità nel suo complesso piuttosto che pensare che gli individui lasciati al proprio egoismo possano in qualche modo massimizzare il benessere del paese.
Ecco il punto: L'economia di Adam Smith e l'individualismo sono radicati nello spirito occidentale, e questo non cambierà. Tuttavia, la nuova politica del Presidente Putin di ripulire le stalle di Augia dal "capitale occidentale predatorio" e l'esempio dato dalla Russia della sua metamofosi verso un'economia ampiamente autosufficiente e immune dall'egemonia del dollaro è musica alle orecchie del Sud del mondo, e anche per gran parte del resto del pianeta.
Russia e Cina sono al primo posto nel contestare il "diritto" dell'Occidente di stabilire regole e di detenere il monopolio del dollaro come mezzo con cui si regge il commercio internazionale; con i BRICS e l'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai che acquisiscono sempre maggior peso, i discorsi di Putin si rivelano un programma rivoluzionario.
Rimane un problema: come realizzare una metamorfosi "rivoluzionaria" senza incorrere in una guerra con l'Occidente. Gli Stati Uniti e l'Europa sono bloccati. Non sono in grado di rinnovarsi, perché le contraddizioni politiche ed economiche strutturali hanno bloccato il loro paradigma. Come fare allora per "sbloccare" la situazione senza una guerra?
La chiave, paradossalmente, potrebbe risiedere nella profonda comprensione da parte di Russia e Cina dei difetti del modello economico occidentale. L'Occidente ha bisogno di una catarsi per "liberarsi". La catarsi può essere definita come un processo di liberazione e quindi di sollievo da emozioni forti o represse legate a delle credenze.
Per evitare la catarsi militare, sembra che la leadership russa e cinese -avendo presenti le storture del modello economico occidentale- debba imporre all'attenzione dell'Occidente una catarsi economica. Sarà senza dubbio dolorosa, ma meglio della catarsi nucleare. Possiamo ricordare il finale della poesia di Kostas Kavafis Aspettando i barbari,
L'esito del conflitto [in Ucraina] è ovviamente sicuro da ogni punto di vista anche se la guerra è lungi dal finire. È chiaro che la Russia prevarrà sul piano militare e anche su quello politico; il che significa che qualsiasi cosa si affermerà in Ucraina al termine delle azioni militari sarà dettata da Mosca, alle sue condizioni.
È evidente da questo punto di vista che la forma di governo in vigore a Kiev crollerebbe se fosse Mosca a dettare condizioni. E da un'altra prospettiva sarebbe l'intera agenda occidentale successiva al colpo di Stato di Maidan del 2014 a collassare. Ecco perché è praticamente impossibile una via d'uscita, a meno di una disfatta ucraina.
Questo momento segna quindi un punto di inflessione cruciale. Gli ameriKKKani potrebbero scegliere di porre fine al conflitto -e ci sono molte voci che chiedono un accordo o un cessate il fuoco, con l'intento umanamente comprensibile di porre fine all'inutile massacro di giovani ucraini inviati al "fronte" per difendere posizioni indifendibili per poi finire cinicamente uccisi senza alcun vantaggio militare, solo per mantenere la guerra in corso.
Per quanto razionali, gli argomenti a favore di un'uscita dal conflitto non colgono l'aspetto geopolitico più importante: l'Occidente ha investito in modo così pesante nella propria fantasiosa narrazione di un imminente e umiliante crollo russo da ritrovarsi impelagato. Non può impegnarsi maggiormente per il timore che la NATO non sia all'altezza di affrontare le forze russe (Putin ha sottolineato che la Russia non ha nemmeno iniziato a dispiegarle pienamente), e neppure arrivare a patti o arretrare, perché significherebbe perdere la faccia.
E "perdere la faccia" significa grosso modo perdere l'Occidente liberale.
L'Occidente è così finito ostaggio del proprio sfrenato trionfalismo, presentato come guerra dell'informazione.
Questo sciovinismo sfrenato è stato una sua scelta. I consiglieri di Biden tuttavia, interpretando le rune di guerra degli inarrestabili guadagni territoriali russi hanno iniziato a intrasentire che un'altra débacle in politica estera gli sta velocemente piombando addosso.
Si rendono conto che gli eventi, lungi dal riaffermare l'ordine basato sulla supremazia degli USA, mettono invece in evidenza agli occhi del mondo i limiti del potere statunitense, concedendo la ribalta non solo a una Russia che risorge, ma anche a un messaggio che per il resto del mondo ha una portata rivoluzionaria, anche se l'Occidente non ne ha ancora preso consapevolezza.
L'alleanza occidentale inoltre si sta disintegrando a causa della stanchezza per la guerra e del fatto che le economie europee devono fronteggiare la recessione. L'istintiva inclinazione contemporanea a prendere prima le decisioni e poi a pensarci su, come nel caso delle sanzioni europee, ha condotto l'Europa a una crisi esistenziale.
Il Regno Unito è il caso esemplare di un rompicapo europeo di più ampia portata. La classe politica britannica, spaventata e in disordine, ha dapprima "deciso" di far fuori il proprio leader; poi si è resa conto di non avere a disposizione un successore con la gravitas necessaria a gestire la nuova normalità e di non avere idea di come sfuggire alla trappola in cui si ritrova.
Non osano perdere la faccia per l'Ucraina e non hanno soluzioni per affrontare la recessione in arrivo che non siano un ritorno al thatcherismo. Lo stesso si può dire per la classe politica europea: è come un cervo abbagliato da una macchina che gli si avvicina velocemente.
Biden, e con lui e una certa rete che abbraccia Washington, Londra, Bruxelles, Varsavia e i Paesi baltici, vedono la Russia da un'altezza di trentamila piedi superiore a quella del conflitto ucraino. Secondo quanto riferito, Biden ritiene di trovarsi in una posizione equidistante tra due tendenze pericolose e minacciose che stanno travolgendo gli Stati Uniti e l'Occidente: Il trumpismo in patria e il putinismo all'estero. Entrambi, a suo avviso, rappresentano pericoli evidenti e concreti per l'ordine liberale basato sulla supremazia statunitense in cui (la squadra di governo di) Biden crede appassionatamente.
Altre voci -principalmente povenienti dal settore realista della politica statunitense- non sono così infatuate dalla Russia; per queste, i "veri uomini" devono affrontare la Cina. Vogliono mantenere il conflitto ucraino in una situazione di stallo, se possibile, per salvare la faccia inviando più armi, mentre si procede a rivolgere energie contro la Cina.
In un discorso allo Hudson Institute, Mike Pompeo ha fatto una dichiarazione di politica estera che guardava chiaramente al 2024 e alla sua candidatura a vicepresidente. Al centro del discorso c'era la Cina, ma è interessante ciò che ha detto sull'Ucraina: L'importanza di Zelensky per gli Stati Uniti dipendeva dal fatto che egli continuasse la guerra, cioè che salvasse la faccia dell'Occidente. Non ha parlato esplicitamente di inviare truppe sul terreno ma era chiaro che non era a favore di un tale passo.
Il suo messaggio è stato: armi, armi, armi per l'Ucraina, e "guardare avanti" fin da adesso, concentrandosi sulla Cina. Pompeo ha insistito sul fatto che gli Stati Uniti riconoscano subito Taiwan dal punto di vista diplomatico, a prescindere da ciò che accadrà. E ha inserito la Russia nel discorso dicendo semplicemente che Russia e Cina dovrebbero essere trattate come un'unica entità.
Biden, tuttavia, sembra intenzionato a lasciar passare il momento e a proseguire con l'attuale linea. Questo è anche ciò che vogliono i molti che sono rimasti con le mani in pasta. Il punto è che le opinioni dello Stato profondo sono contrastanti e gli influenti banchieri di Wall Street non sono certo entusiasti delle idee di Pompeo. Preferirebbero una de-escalation con la Cina. Continuare sulla stessa linea è quindi l'opzione più facile, mentre l'attenzione del fronte interno degli Stati Uniti si concentra sui problemi economici.
Il punto è che l'Occidente è completamente bloccato: non può andare avanti, né tornare indietro.
Le sue strutture politiche ed economiche glielo impediscono. Biden è fissato sull'Ucraina; l'Europa è fissata sull'Ucraina e sulla sua bellicosità contro Putin; il Regno Unito, idem; e l'Occidente è bloccato nei rapporti con la Russia e con la Cina. Ma soprattutto, nessuno è in grado di prendere in considerazione le insistenti richieste di Russia e Cina per una ristrutturazione dell'architettura della sicurezza globale.
Se non possono muoversi sul piano della sicurezza -per paura di perdere la faccia- non saranno in grado di interiorizzare il fatto (o anche solo di stare a sentire, dato il radicato cinismo che accoglie ogni parola pronunciata dal Presidente Putin) che l'agenda della Russia va ben oltre l'architettura della sicurezza. Ad esempio, l'esperto diplomatico e commentatore indiano MK Badrakhumar scrive:
"Dopo Sakhalin-2, [su un'isola dell'Estremo Oriente russo] Mosca intende nazionalizzare anche il progetto di sviluppo di petrolio e gas Sakhalin-1, estromettendo gli azionisti statunitensi e giapponesi. La capacità di Sakhalin-1 è impressionante. Un tempo, prima che l'OPEC ponesse dei limiti ai quantitativi della produzione, la Russia estraeva fino a quattrocentomila barili al giorno: il livello di produzione recente è di circa duecentoventimila.E questo è solo la metà del tutto. Putin continua a ripetere nei suoi discorsi che l'Occidente è l'artefice del proprio debito e della propria crisi inflazionistica, e non la Russia; il che fa sorgere in Occidente dei grossi grattacapi. Lasciamo però che il professor Hudson spieghi perché gran parte del resto del mondo ritiene che l'Occidente abbia preso una piega sbagliata dal punto di vista economico. In breve sarebbero state le scelte sbagliate dell'Occidente a condurlo in un vicolo cieco, come sostiene Putin.
La tendenza generale a nazionalizzare le partecipazioni del capitale ameriKKKano, britannico, giapponese ed europeo nei settori strategici dell'economia russa sta prendendo solidità come nuova pratica politica. Le operazioni di pulizia dell'economia russa per liberarla dal capitale occidentale dovrebbero accelerare nel prossimo periodo.
Mosca era ben consapevole del carattere predatorio del capitale occidentale nel settore petrolifero russo -un'eredità dell'era di Boris Eltsin- ma ha dovuto convivere con questo sfruttamento per non inimicarsi altri potenziali investitori occidentali. Solo che tutto questo è ormai storia. L'inasprimento delle relazioni con l'Occidente, quasi al limite della rottura, ha liberato Mosca da questo retaggio di antiche inibizioni. Dopo essere salito al potere nel 1999, il presidente Vladimir Putin si è cimentato nell'immane compito di ripulire le stalle di Augia della collaborazione straniera in Russia nel settore petrolifero. Il processo di "decolonizzazione" è stato estremamente difficile, ma Putin è riuscito a portarlo a termine".
Il professor Hudson sostiene (qui una parafrasi e una riformulazione del suo pensiero) che esistono essenzialmente due grandi modelli economici che si sono succeduti nella storia: "Da un lato, vediamo le società del Vicino Oriente e dell'Asia organizzate per mantenere l'equilibrio e la coesione sociale, subordinando il debito e la ricchezza mercantile al benessere generale della comunità nel suo complesso".
Tutte le società antiche diffidavano della ricchezza, perché tendeva all'accumulazione a spese della società in generale e portava alla polarizzazione sociale e a gravi disuguaglianze.
Guardando alla storia antica, possiamo notare -afferma Hudson- che l'obiettivo principale dei governanti, da Babilonia all'Asia meridionale e orientale, era quello di impedire che si affermasse un'oligarchia mercantile e creditrice che concentrasse la proprietà della terra nelle proprie mani. Questo è un modello storico.
Il grande problema che il Vicino Oriente dell'Età del Bronzo aveva risolto - al contrario dell'antichità classica e della civiltà occidentale- era come gestire l'aumento dei debiti (tramite periodici giubilei) senza polarizzare la società e, in ultima analisi, impoverire l'economia riducendo la maggior parte della popolazione a dipendere dal debito.
Uno dei punti fermi in Hudson è il modo in cui la Cina ha strutturato la propria economia come un'economia "a basso costo": alloggi a basso costo, istruzione, cure mediche e trasporti sovvenzionati. Questo significa che i consumatori hanno un po' di reddito libero a disposizione e che la Cina nel suo complesso ne guadagna in competitività. Il modello occidentale finanziato dal debito invece è ad alto costo, con fasce di popolazione sempre più impoverite e prive di reddito da utilizzare a propria discrezione una volta pagati dopo aver pagato costi su cui grava il debito.
La periferia dell'Occidente invece, non avendo la tradizione del Vicino Oriente, si è "convertita" al consentire a una ricca oligarchia di creditori di prendere il potere e di concentrare nelle proprie mani la proprietà della terra e dei beni. Per motivi di pubbliche relazioni ha affermato di essere una "democrazia" e ha denunciato qualsiasi protezione regolamentata dai governi come autocratica per definizione. Questo è il secondo grande modello, ma il suo eccesso di debito lo ha spinto in una spirale inflazionistica ed è bloccato anch'esso, senza i mezzi per fare un passo avanti.
A Roma si verificò qualcosa del genere. E ne stiamo ancora vivendo le conseguenze. Far dipendere i debitori dai ricchi creditori è ciò che gli economisti di oggi chiamano "libero mercato". È un mercato privo di controlli e contrappesi pubblici contro la disuguaglianza, la frode o la privatizzazione della cosa pubblica.
Questa etica neoliberista a favore dei creditori, sostiene il professor Hudson, è alla base dell'attuale nuova guerra fredda. Quando il presidente Biden descrive questo grande conflitto mondiale volto a isolare Cina, Russia, India, Iran e i loro partner commerciali euroasiatici, lo definisce nei termini di una lotta per l'esistenza tra "democrazia" e "autocrazia".
Per democrazia intende l'oligarchia. E per "autocrazia" intende qualsiasi governo abbastanza forte da impedire a un'oligarchia finanziaria di prendere il controllo del governo e della società e di imporre le regole neoliberali. Anche con la forza, come ha fatto Putin. L'ideale "democratico" è quello di far assomigliare il resto del mondo alla Russia di Boris Eltsin, dove i neoliberisti ameriKKKani hanno avuto mano libera nella spoliazione dell'intera proprietà pubblica della terra, dei diritti minerari e dei servizi pubblici di base.
Oggi tuttavia abbiamo a che fare con varie sfumature di grigio: negli Stati Uniti non esiste un vero e proprio mercato libero, mentre la Cina e la Russia sono economie miste, anche se tendono a dare la priorità alla responsabilità per il benessere della comunità nel suo complesso piuttosto che pensare che gli individui lasciati al proprio egoismo possano in qualche modo massimizzare il benessere del paese.
Ecco il punto: L'economia di Adam Smith e l'individualismo sono radicati nello spirito occidentale, e questo non cambierà. Tuttavia, la nuova politica del Presidente Putin di ripulire le stalle di Augia dal "capitale occidentale predatorio" e l'esempio dato dalla Russia della sua metamofosi verso un'economia ampiamente autosufficiente e immune dall'egemonia del dollaro è musica alle orecchie del Sud del mondo, e anche per gran parte del resto del pianeta.
Russia e Cina sono al primo posto nel contestare il "diritto" dell'Occidente di stabilire regole e di detenere il monopolio del dollaro come mezzo con cui si regge il commercio internazionale; con i BRICS e l'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai che acquisiscono sempre maggior peso, i discorsi di Putin si rivelano un programma rivoluzionario.
Rimane un problema: come realizzare una metamorfosi "rivoluzionaria" senza incorrere in una guerra con l'Occidente. Gli Stati Uniti e l'Europa sono bloccati. Non sono in grado di rinnovarsi, perché le contraddizioni politiche ed economiche strutturali hanno bloccato il loro paradigma. Come fare allora per "sbloccare" la situazione senza una guerra?
La chiave, paradossalmente, potrebbe risiedere nella profonda comprensione da parte di Russia e Cina dei difetti del modello economico occidentale. L'Occidente ha bisogno di una catarsi per "liberarsi". La catarsi può essere definita come un processo di liberazione e quindi di sollievo da emozioni forti o represse legate a delle credenze.
Per evitare la catarsi militare, sembra che la leadership russa e cinese -avendo presenti le storture del modello economico occidentale- debba imporre all'attenzione dell'Occidente una catarsi economica. Sarà senza dubbio dolorosa, ma meglio della catarsi nucleare. Possiamo ricordare il finale della poesia di Kostas Kavafis Aspettando i barbari,
Perché è scesa la notte e i barbari non sono venuti.
E alcuni dei nostri uomini appena arrivati dal confine dicono
che non ci sono più barbari.
Che ne sarà di noi senza barbari?
Quella gente, bene o male, era una soluzione.