Traduzione da Strategic Culture, 6 giugno 2022.
La prima guerra mondiale ha segnato la fine di un ordine mercantilista che si era sviluppato sotto l'egida delle potenze europee. Cento anni dopo vigeva un ordine economico molto diverso, quello del cosmopolitismo neoliberale. Ritenuta dai suoi ideatori come un dato universale e immutabile, la globalizzazione ha affascinato il mondo per un lungo periodo, ma ha iniziato a superare il proprio apice proprio nel momento in cui l'Occidente dava sfogo al proprio trionfalismo davanti alla caduta del Muro di Berlino. La NATO, in quanto sistema regolatore dell'ordine, ha affrontato la propria "crisi d'identità" continuando a tappe forzate la propria espansione verso est, verso i confini occidentali della Russia, senza tenere in alcun conto la parola data e le virulente obiezioni di Mosca.
Questa radicale alienazione della Russia ha dato il via al suo spostamento verso la Cina. L'Europa e gli Stati Uniti tuttavia si sono rifiutati di considerare le questioni relative a un doveroso "equilibrio" all'interno delle strutture globali, e hanno semplicemente sorvolato sulle realtà di un ordine mondiale che stava attraversando una metamorfosi epocale con l'inarrestabile declino degli Stati Uniti già in evidenza, con l'Europa che mascherava i propri squilibri intrinseci dietro una unità di facciata, e nel contesto di una struttura economica iper-finanziarizzata che prosciugava in modo letale ogni sostanza dall'economia reale.
L'attuale guerra in Ucraina è quindi semplicemente un'appendice, un acceleratore di questo processo di decomposizione dell'"ordine liberale". Non ne è il centro. Le esplosive dinamiche della disintegrazione odierna sono di origine fondamentalmente geostrategica, e possono essere viste come un contraccolpo dello squilibrio che esiste fra la ricerca di soluzioni su misura per la loro civiltà non occidentale da parte di popoli di diversa estrazione e un Occidente che si ostina a imporre un proprio ordine non negoziabile. L'Ucraina è quindi un sintomo, ma non è di per sé il disturbo più profondo.
Tom Luongo ha osservato -in relazione agli eventi tumultuosi e confusi di oggi- che ciò che teme di più è che molte persone analizzino l'intersezione tra geopolitica, mercati e ideologia, e che lo facciano con una forte sicumera. "L'opinionocrazia presenta una incredibile propensione a considerare tutto questo come normale; ci sono troppi 'calma e sangue freddo' e pochi 'tutti hanno un piano finché non vengono presi a pugni in bocca'".
Ciò che la replica di Luongo non spiega appieno è la strepitante indignazione con cui viene accolto qualsiasi dubbio nei confronti della opinionocrazia che ha tanto credito al momento. È evidente che esiste un timore più profondo, che serpeggia nel profondo della psiche occidentale e che non viene esplicitato del tutto.
Wolfgang Münchau, ex del Financial Times che ora scrive per EuroIntelligence, spiega come questo Zeitgeist elevato a canone abbia implicitamente imprigionato l'Europa in una gabbia di dinamiche avverse che minacciano la sua economia, la sua autonomia, il suo globalismo e il suo stesso essere.
Münchau racconta come sia la pandemia che l'Ucraina gli abbiano indicato che una cosa è ribadire "come un cliché" il globalismo interconnesso, e "un'altra è osservare cosa accade realmente sul campo quando queste connessioni vengono strappate... Le sanzioni occidentali si basavano su una premessa formalmente corretta ma fuorviante -una premessa a cui io stesso ho creduto- almeno fino a un certo punto: la Russia dipende da noi più di quanto noi dipendiamo dalla Russia... La Russia, tuttavia, è un fornitore di beni primari e secondari da cui il mondo è diventato dipendente. E quando il più grande esportatore di queste materie prime viene tolto di mezzo, il resto del mondo si trova alle prese con una scarsità materiale vera e con prezzi in aumento". Continua:
Questa radicale alienazione della Russia ha dato il via al suo spostamento verso la Cina. L'Europa e gli Stati Uniti tuttavia si sono rifiutati di considerare le questioni relative a un doveroso "equilibrio" all'interno delle strutture globali, e hanno semplicemente sorvolato sulle realtà di un ordine mondiale che stava attraversando una metamorfosi epocale con l'inarrestabile declino degli Stati Uniti già in evidenza, con l'Europa che mascherava i propri squilibri intrinseci dietro una unità di facciata, e nel contesto di una struttura economica iper-finanziarizzata che prosciugava in modo letale ogni sostanza dall'economia reale.
L'attuale guerra in Ucraina è quindi semplicemente un'appendice, un acceleratore di questo processo di decomposizione dell'"ordine liberale". Non ne è il centro. Le esplosive dinamiche della disintegrazione odierna sono di origine fondamentalmente geostrategica, e possono essere viste come un contraccolpo dello squilibrio che esiste fra la ricerca di soluzioni su misura per la loro civiltà non occidentale da parte di popoli di diversa estrazione e un Occidente che si ostina a imporre un proprio ordine non negoziabile. L'Ucraina è quindi un sintomo, ma non è di per sé il disturbo più profondo.
Tom Luongo ha osservato -in relazione agli eventi tumultuosi e confusi di oggi- che ciò che teme di più è che molte persone analizzino l'intersezione tra geopolitica, mercati e ideologia, e che lo facciano con una forte sicumera. "L'opinionocrazia presenta una incredibile propensione a considerare tutto questo come normale; ci sono troppi 'calma e sangue freddo' e pochi 'tutti hanno un piano finché non vengono presi a pugni in bocca'".
Ciò che la replica di Luongo non spiega appieno è la strepitante indignazione con cui viene accolto qualsiasi dubbio nei confronti della opinionocrazia che ha tanto credito al momento. È evidente che esiste un timore più profondo, che serpeggia nel profondo della psiche occidentale e che non viene esplicitato del tutto.
Wolfgang Münchau, ex del Financial Times che ora scrive per EuroIntelligence, spiega come questo Zeitgeist elevato a canone abbia implicitamente imprigionato l'Europa in una gabbia di dinamiche avverse che minacciano la sua economia, la sua autonomia, il suo globalismo e il suo stesso essere.
Münchau racconta come sia la pandemia che l'Ucraina gli abbiano indicato che una cosa è ribadire "come un cliché" il globalismo interconnesso, e "un'altra è osservare cosa accade realmente sul campo quando queste connessioni vengono strappate... Le sanzioni occidentali si basavano su una premessa formalmente corretta ma fuorviante -una premessa a cui io stesso ho creduto- almeno fino a un certo punto: la Russia dipende da noi più di quanto noi dipendiamo dalla Russia... La Russia, tuttavia, è un fornitore di beni primari e secondari da cui il mondo è diventato dipendente. E quando il più grande esportatore di queste materie prime viene tolto di mezzo, il resto del mondo si trova alle prese con una scarsità materiale vera e con prezzi in aumento". Continua:
Ci abbiamo pensato bene? I ministeri degli Esteri che hanno messo a punto le sanzioni hanno discusso in un qualche momento di cosa avremmo fatto se la Russia avesse bloccato il Mar Nero e non avesse permesso al grano ucraino di lasciare i porti?... Oppure, abbiamo pensato di poter affrontare nel migliore dei modi la crisi di una carestia mondiale puntando il dito contro Putin"?
"Il blocco ci ha insegnato molto sulla nostra vulnerabilità a scosse violente nella catena di approvvigionamento. Ha ricordato agli europei che ci sono solo due modi per spedire grandi quantità di merci in Asia e per riceverne: o con i container, o con la ferrovia che attraversa la Russia. Non avevamo un piano per una pandemia, non avevamo un piano per una guerra e non avevamo un piano per quando si verificano entrambe contemporaneamente. I container sono bloccati a Shanghai e lLe ferrovie sono chiuse a causa della guerra".
"Non sono sicuro che l'Occidente sia pronto ad affrontare le conseguenze delle proprie azioni: inflazione persistente, riduzione della produzione industriale, diminuzione della crescita e aumento della disoccupazione. Le sanzioni economiche mi sembrano l'ultima spiaggia di un Occidente che è un concetto disfunzionale. La guerra in Ucraina funziona come catalizzatore di una deglobalizzazione su vasta scala.
Il vaticinio di Münchau è che se non si trova un accordo con Putin che preveda la rimozione delle sanzioni esiste "il pericolo che il mondo diventi oggetto di due blocchi commerciali: l'Occidente e il resto del mondo. Le catene di approvvigionamento saranno riorganizzate per rimanere all'interno di ciascun blocco. L'energia, il grano, i metalli e le terre rare della Russia saranno ancora consumati -ma non in Occidente- e noi continueremo [soltanto] a mangiare i Big Mac".
Quindi, ancora una volta, andiamo in cerca una risposta: Perché le élite europeiste forniscono all'Ucraina un sostegno così convinto e appassionato e rischiano l'infarto per la veemenza che profondono nell'odio verso Putin? Dopo tutto, la maggior parte degli europei e degli ameriKKKani fino a quest'anno non sapeva praticamente nulla dell'Ucraina.
E la risposta la conosciamo: la loro paura più profonda è che tutti i punti di riferimento della vita liberale stiano per essere spazzati via per sempre, per ragioni che essi non capiscono. E che Putin stia facendo proprio questo. Come faremo noi a destreggiarci nella vita, senza punti di riferimento? Che ne sarà di noi? Pensavamo che un'esistenza all'insegna dei valori liberali fosse ineluttabile. Esisterebbe un altro sistema di valori? Impossibile!
Quindi per gli europei la resa dei conti in Ucraina deve riaffermare l'identità europea anche a costo del benessere economico dei cittadini. Storicamente, guerre di questo tipo si sono per lo più concluse con una sporca soluzione diplomatica e un esito di questo genere sarebbe probabilmente sufficiente alla leadership dell'Unione Europea per poter parlare di vittoria.
E anche soltanto la scorsa settimana l'Unione Europea ha fatto forti pressioni diplomatiche per convincere Putin ad arrivare a un accordo.
Solo che, parafrasando ed elaborando Münchau, una cosa è proclamare auspicabile "come cliché" un cessate il fuoco negoziato. "Un'altra è prendere atto di ciò che accade effettivamente sul terreno quando per mettere le carte in tavola si sparge del sangue...".
Le iniziative diplomatiche occidentali si basano sul fatto che la Russia ha bisogno di una "via d'uscita", più di quanto ne abbia bisogno l'Europa. Ma è vero, questo?
Parafrasando ancora Münchau: "Ci abbiamo pensato bene? I ministeri degli Esteri che hanno elaborato i piani per addestrare e armare un'insurrezione ucraina nel Donbass nella speranza di indebolire la Russia hanno discusso in un qualche momento l'effetto che la loro guerra e il loro esplicito disprezzo per la Russia avrebbero potuto avere sull'opinione pubblica russa? O cosa avremmo fatto se la Russia avesse semplicemente deciso di muoversi sul terreno fino a quando non avesse portato a termine il proprio progetto... E che Kiev perdesse, l'abbiamo preso in considerazione anche solo a livello di possibilità, per quello che avrebbe significato per un'Europa carica di sanzioni destinate a non finire mai"?
La speranza di una soluzione negoziale ha lasciato il posto, in Europa, a toni più cupi. Nei colloqui coi leader europei Putin è stato intransigente. A Parigi e a Berlino si sta facendo strada la consapevolezza che un accordo raffazzonato non è vantaggioso per Putin, e che non può neppure permetterselo. L'opinione pubblica russa non accetterà facilmente che il sangue dei suoi soldati sia stato versato invano, per arrivare a uno sporco compromesso solo per far sì che l'Occidente susciti una nuova insurrezione ucraina contro il Donbass tra un anno o due.
I leader dell'UE devono rendersi conto della situazione: Forse hanno perso il treno che li avrebbe portati a una "soluzione" politica. Ma non hanno perso i treni dell'inflazione, della contrazione economica e della crisi sociale sul piano interno. Questi sono treni che stanno andando nella loro direzione, e a tutto vapore. I ministeri degli Esteri dell'Unione Europea hanno riflettuto su questa eventualità, o si sono lasciati trasportare dall'euforia e dalla narrazione ufficiale -che proviene dai Paesi baltici e dalla Polonia- su quanto è cattivo Putin?
Ecco il punto: la fissazione per l'Ucraina non è altro che una pezza appiccicata sull'evidenza di un ordine mondiale che sta andando in malora. All'origine dei sommovimenti su vasta scala c'è questo; l'Ucraina non è che una piccola pedina sulla scacchiera e il suo esito non cambierà in maniera sostanziale questa realtà. Anche una "vittoria" in Ucraina non garantirebbe l'"immortalità" dell'ordine basato sulle regole neoliberali.
I fumi nocivi emanati dal sistema finanziario globale non hanno alcun rapporti diretto con l'Ucraina, ma sono molto più significativi perché vanno al cuore dello sconquasso che sta percorrendo l'"ordine liberale" occidentale. Forse è questa paura primordiale inespressa, che spiega il plateale rancore nei confronti di qualsiasi cosa costituisca una deviazione dalla messaggistica sanzionatoria sull'Ucraina?
E il pregiudizio di Luongo sulla propensione a trovare tutto quanto normale non potrebbe rivelarsi più azzeccato (Ucraina a parte) che quando si affronta la curiosa auto-selettività del pensiero anglo-ameriKKKano riguardo all'ordine economico neoliberale.
Il sistema politico ed economico anglo-ameriKKKano, ha osservato James Fallows -ex addetto alla comunicazione per la Casa Bianca- come ogni sistema poggia su alcuni principi e su alcune credenze. "Anziché agire come se questi fossero i principi migliori, o quelli che le loro società preferiscono, i britannici e gli ameriKKKani spesso agiscono come se questi fossero gli unici principi possibili. E come se nessuno, se non per errore, possa sceglierne altri. L'economia politica diventa una questione essenzialmente religiosa, soggetta all'inconveniente che caratterizza ogni religione: l'incapacità di capire perché le persone al di fuori della fede possano agire come agiscono".
Quindi, ancora una volta, andiamo in cerca una risposta: Perché le élite europeiste forniscono all'Ucraina un sostegno così convinto e appassionato e rischiano l'infarto per la veemenza che profondono nell'odio verso Putin? Dopo tutto, la maggior parte degli europei e degli ameriKKKani fino a quest'anno non sapeva praticamente nulla dell'Ucraina.
E la risposta la conosciamo: la loro paura più profonda è che tutti i punti di riferimento della vita liberale stiano per essere spazzati via per sempre, per ragioni che essi non capiscono. E che Putin stia facendo proprio questo. Come faremo noi a destreggiarci nella vita, senza punti di riferimento? Che ne sarà di noi? Pensavamo che un'esistenza all'insegna dei valori liberali fosse ineluttabile. Esisterebbe un altro sistema di valori? Impossibile!
Quindi per gli europei la resa dei conti in Ucraina deve riaffermare l'identità europea anche a costo del benessere economico dei cittadini. Storicamente, guerre di questo tipo si sono per lo più concluse con una sporca soluzione diplomatica e un esito di questo genere sarebbe probabilmente sufficiente alla leadership dell'Unione Europea per poter parlare di vittoria.
E anche soltanto la scorsa settimana l'Unione Europea ha fatto forti pressioni diplomatiche per convincere Putin ad arrivare a un accordo.
Solo che, parafrasando ed elaborando Münchau, una cosa è proclamare auspicabile "come cliché" un cessate il fuoco negoziato. "Un'altra è prendere atto di ciò che accade effettivamente sul terreno quando per mettere le carte in tavola si sparge del sangue...".
Le iniziative diplomatiche occidentali si basano sul fatto che la Russia ha bisogno di una "via d'uscita", più di quanto ne abbia bisogno l'Europa. Ma è vero, questo?
Parafrasando ancora Münchau: "Ci abbiamo pensato bene? I ministeri degli Esteri che hanno elaborato i piani per addestrare e armare un'insurrezione ucraina nel Donbass nella speranza di indebolire la Russia hanno discusso in un qualche momento l'effetto che la loro guerra e il loro esplicito disprezzo per la Russia avrebbero potuto avere sull'opinione pubblica russa? O cosa avremmo fatto se la Russia avesse semplicemente deciso di muoversi sul terreno fino a quando non avesse portato a termine il proprio progetto... E che Kiev perdesse, l'abbiamo preso in considerazione anche solo a livello di possibilità, per quello che avrebbe significato per un'Europa carica di sanzioni destinate a non finire mai"?
La speranza di una soluzione negoziale ha lasciato il posto, in Europa, a toni più cupi. Nei colloqui coi leader europei Putin è stato intransigente. A Parigi e a Berlino si sta facendo strada la consapevolezza che un accordo raffazzonato non è vantaggioso per Putin, e che non può neppure permetterselo. L'opinione pubblica russa non accetterà facilmente che il sangue dei suoi soldati sia stato versato invano, per arrivare a uno sporco compromesso solo per far sì che l'Occidente susciti una nuova insurrezione ucraina contro il Donbass tra un anno o due.
I leader dell'UE devono rendersi conto della situazione: Forse hanno perso il treno che li avrebbe portati a una "soluzione" politica. Ma non hanno perso i treni dell'inflazione, della contrazione economica e della crisi sociale sul piano interno. Questi sono treni che stanno andando nella loro direzione, e a tutto vapore. I ministeri degli Esteri dell'Unione Europea hanno riflettuto su questa eventualità, o si sono lasciati trasportare dall'euforia e dalla narrazione ufficiale -che proviene dai Paesi baltici e dalla Polonia- su quanto è cattivo Putin?
Ecco il punto: la fissazione per l'Ucraina non è altro che una pezza appiccicata sull'evidenza di un ordine mondiale che sta andando in malora. All'origine dei sommovimenti su vasta scala c'è questo; l'Ucraina non è che una piccola pedina sulla scacchiera e il suo esito non cambierà in maniera sostanziale questa realtà. Anche una "vittoria" in Ucraina non garantirebbe l'"immortalità" dell'ordine basato sulle regole neoliberali.
I fumi nocivi emanati dal sistema finanziario globale non hanno alcun rapporti diretto con l'Ucraina, ma sono molto più significativi perché vanno al cuore dello sconquasso che sta percorrendo l'"ordine liberale" occidentale. Forse è questa paura primordiale inespressa, che spiega il plateale rancore nei confronti di qualsiasi cosa costituisca una deviazione dalla messaggistica sanzionatoria sull'Ucraina?
E il pregiudizio di Luongo sulla propensione a trovare tutto quanto normale non potrebbe rivelarsi più azzeccato (Ucraina a parte) che quando si affronta la curiosa auto-selettività del pensiero anglo-ameriKKKano riguardo all'ordine economico neoliberale.
Il sistema politico ed economico anglo-ameriKKKano, ha osservato James Fallows -ex addetto alla comunicazione per la Casa Bianca- come ogni sistema poggia su alcuni principi e su alcune credenze. "Anziché agire come se questi fossero i principi migliori, o quelli che le loro società preferiscono, i britannici e gli ameriKKKani spesso agiscono come se questi fossero gli unici principi possibili. E come se nessuno, se non per errore, possa sceglierne altri. L'economia politica diventa una questione essenzialmente religiosa, soggetta all'inconveniente che caratterizza ogni religione: l'incapacità di capire perché le persone al di fuori della fede possano agire come agiscono".
Per essere più precisi, l'odierna visione del mondo anglo-ameriKKKana poggia sull'opera di tre uomini. Uno è Isaac Newton, il padre della scienza moderna. Uno è Jean-Jacques Rousseau, il padre della teoria politica liberale. (Se vogliamo mantenere la purezza anglo-ameriKKKana del discorso, possiamo considerare al suo posto John Locke). E uno è Adam Smith, il padre dell'economia del laissez-faire.
"Da questi titanici fondatori derivano i principi in base ai quali la società avanzata, nella visione angloameriKKKana, dovrebbe funzionare... E si suppone che riconosca che il futuro più prospero per il maggior numero di persone derivi dal libero funzionamento del mercato.
Nel mondo non anglofono, Adam Smith è solo uno dei tanti teorici che hanno avuto idee rilevanti sull'organizzazione dei sistemi economici. I filosofi illuministi, tuttavia, non sono stati gli unici a pensare a come dovrebbe essere organizzato il mondo. Durante il XVIII e il XIX secolo anche i tedeschi furono attivi, per non parlare dei teorici al lavoro nel Giappone Tokugawa, nella Cina tardo-imperiale, nella Russia zarista e altrove.
I tedeschi meritano di essere considerati rilevanti, più dei giapponesi, dei cinesi, dei russi e degli altri perché molte delle loro concezioni filosofiche resistono. Concezioni che non hanno attecchito in Inghilterra o in AmeriKKKa, ma sono state attentamente studiate, adattate e applicate in alcune parti dell'Europa e dell'Asia, in particolare in Giappone. Al posto di Rousseau e Locke i tedeschi proposero Hegel. Al posto di Adam Smith... hanno avuto Friedrich List.
L'approccio anglo-ameriKKKano si fonda sull'ipotesi della pura non prevedibilità e non pianificabilità dell'economia. Le tecnologie cambiano, i gusti cambiano, le circostanze politiche e umane cambiano. E poiché la vita è così fluida, questo significa che qualsiasi tentativo di pianificazione centrale è virtualmente destinato a fallire. Il modo migliore per "pianificare" è quindi quello di lasciare l'adattamento alle persone che hanno messo in gioco il proprio denaro. Se ogni individuo fa ciò che è meglio per lui o per lei, il risultato sarà -serendipicamente- ciò che è meglio per la nazione nel suo complesso.
Anche se List non usava questo termine, la scuola tedesca era scettica nei confronti della serendipity e si preoccupava maggiormente dei "fallimenti del mercato", ovvero dei casi in cui le normali forze del mercato producono un risultato chiaramente indesiderabile. List sosteneva che le società non passavano automaticamente dall'agricoltura al piccolo artigianato alle grandi industrie solo perché milioni di piccoli commercianti prendevano decisioni per conto proprio. Se ogni persona mettesse il proprio denaro dove il rendimento è maggiore, il denaro potrebbe non andare automaticamente dove potrebbe portare il massimo beneficio alla nazione.
Perché ciò avvenga servono un piano, una spinta, un atto del potere centrale. List attinse a piene mani dalla storia del suo tempo, in cui il governo britannico incoraggiava deliberatamente l'industria manifatturiera britannica e il nascente governo ameriKKKano scoraggiava di proposito i concorrenti stranieri.
L'approccio anglo-ameriKKKano presuppone che la misura ultima di una società sia il suo livello di consumo. Nel lungo periodo, sosteneva List, il benessere di una società e la sua ricchezza complessiva non sono determinati da ciò che la società può acquistare, ma da ciò che può produrre (cioè il valore proveniente dall'economia reale e autosufficiente). La scuola tedesca sosteneva che enfatizzare il consumo avrebbe finito per portare all'autodistruzione. Avrebbe allontanato il sistema dalla creazione di ricchezza e, in ultima analisi, avrebbe reso impossibile consumare tali quantità o dare lavoro a tante persone.
List era preveggente. Aveva ragione. Quello da lui indicato è il difetto del modello anglosassone oggi evidente con chiarezza. Un difetto aggravato dalla successiva e massiccia finanziarizzazione che ha portato a una struttura dominata da una super-sfera effimera e derivata che ha privato l'Occidente della sua economia reale creatrice di ricchezza, trasferendone i resti e le linee di approvvigionamento fuori dai suoi confini. L'autosufficienza si è erosa e la base di creazione della ricchezza, che si sta restringendo, sostiene una percentuale sempre minore di popolazione per mezzo di lavori adeguatamente retribuiti.
Questo modello non risponde più allo scopo ed è in crisi. Un dato di fatto ampiamente compreso ai vertici del sistema. Riconoscerlo, tuttavia, sembrerebbe andare contro gli ultimi due secoli di economia, raccontati come una lunga progressione verso la razionalità e il buon senso anglosassone. Una narrativa che è alla base della "storia" anglosassone.
Una storia che la crisi finanziaria potrebbe stravolgere completamente.
Come mai? L'ordine liberale poggia su tre pilastri, tre pilastri interconnessi e parimenti fondamentali: Le "leggi" di Newton sono state ideate per conferire al modello economico anglosassone la (dubbia) pretesa di essere fondato su leggi empiriche, come se si trattasse di fisica. Rousseau, Locke e i loro seguaci elevarono l'individualismo a principio politico; da Smith derivò il nucleo logico del sistema angloamericano: se ogni individuo fa ciò che è meglio per sé, il risultato sarà quello migliore per la nazione nel suo complesso.
L'aspetto più importante di questi pilastri è la loro equivalenza morale e la loro interconnessione. Se si elimina un pilastro perché non valido, l'intero edificio noto come "valori europei" viene meno. Ha una sua coerenza solo se resiste nel suo insieme.
E il timore non dichiarato di queste élite occidentali è che durante questo lungo periodo di supremazia anglosassone... ci sia sempre stata una scuola di pensiero alternativa alla loro. List non si preoccupava della moralità del consumo. Era invece interessato al benessere sia strategico che materiale. In termini strategici, le nazioni finivano per essere dipendenti o sovrane in base alla loro capacità di produrre beni per se stesse.
La settimana scorsa Putin ha detto a Scholtz e Macron che le crisi che si sono trovati davanti, compresa la penuria di derrate alimentari, derivavano dalle loro strutture e dalle loro politiche economiche errate. Putin avrebbe potuto citare un aforisma di List:
Anche se List non usava questo termine, la scuola tedesca era scettica nei confronti della serendipity e si preoccupava maggiormente dei "fallimenti del mercato", ovvero dei casi in cui le normali forze del mercato producono un risultato chiaramente indesiderabile. List sosteneva che le società non passavano automaticamente dall'agricoltura al piccolo artigianato alle grandi industrie solo perché milioni di piccoli commercianti prendevano decisioni per conto proprio. Se ogni persona mettesse il proprio denaro dove il rendimento è maggiore, il denaro potrebbe non andare automaticamente dove potrebbe portare il massimo beneficio alla nazione.
Perché ciò avvenga servono un piano, una spinta, un atto del potere centrale. List attinse a piene mani dalla storia del suo tempo, in cui il governo britannico incoraggiava deliberatamente l'industria manifatturiera britannica e il nascente governo ameriKKKano scoraggiava di proposito i concorrenti stranieri.
L'approccio anglo-ameriKKKano presuppone che la misura ultima di una società sia il suo livello di consumo. Nel lungo periodo, sosteneva List, il benessere di una società e la sua ricchezza complessiva non sono determinati da ciò che la società può acquistare, ma da ciò che può produrre (cioè il valore proveniente dall'economia reale e autosufficiente). La scuola tedesca sosteneva che enfatizzare il consumo avrebbe finito per portare all'autodistruzione. Avrebbe allontanato il sistema dalla creazione di ricchezza e, in ultima analisi, avrebbe reso impossibile consumare tali quantità o dare lavoro a tante persone.
List era preveggente. Aveva ragione. Quello da lui indicato è il difetto del modello anglosassone oggi evidente con chiarezza. Un difetto aggravato dalla successiva e massiccia finanziarizzazione che ha portato a una struttura dominata da una super-sfera effimera e derivata che ha privato l'Occidente della sua economia reale creatrice di ricchezza, trasferendone i resti e le linee di approvvigionamento fuori dai suoi confini. L'autosufficienza si è erosa e la base di creazione della ricchezza, che si sta restringendo, sostiene una percentuale sempre minore di popolazione per mezzo di lavori adeguatamente retribuiti.
Questo modello non risponde più allo scopo ed è in crisi. Un dato di fatto ampiamente compreso ai vertici del sistema. Riconoscerlo, tuttavia, sembrerebbe andare contro gli ultimi due secoli di economia, raccontati come una lunga progressione verso la razionalità e il buon senso anglosassone. Una narrativa che è alla base della "storia" anglosassone.
Una storia che la crisi finanziaria potrebbe stravolgere completamente.
Come mai? L'ordine liberale poggia su tre pilastri, tre pilastri interconnessi e parimenti fondamentali: Le "leggi" di Newton sono state ideate per conferire al modello economico anglosassone la (dubbia) pretesa di essere fondato su leggi empiriche, come se si trattasse di fisica. Rousseau, Locke e i loro seguaci elevarono l'individualismo a principio politico; da Smith derivò il nucleo logico del sistema angloamericano: se ogni individuo fa ciò che è meglio per sé, il risultato sarà quello migliore per la nazione nel suo complesso.
L'aspetto più importante di questi pilastri è la loro equivalenza morale e la loro interconnessione. Se si elimina un pilastro perché non valido, l'intero edificio noto come "valori europei" viene meno. Ha una sua coerenza solo se resiste nel suo insieme.
E il timore non dichiarato di queste élite occidentali è che durante questo lungo periodo di supremazia anglosassone... ci sia sempre stata una scuola di pensiero alternativa alla loro. List non si preoccupava della moralità del consumo. Era invece interessato al benessere sia strategico che materiale. In termini strategici, le nazioni finivano per essere dipendenti o sovrane in base alla loro capacità di produrre beni per se stesse.
La settimana scorsa Putin ha detto a Scholtz e Macron che le crisi che si sono trovati davanti, compresa la penuria di derrate alimentari, derivavano dalle loro strutture e dalle loro politiche economiche errate. Putin avrebbe potuto citare un aforisma di List:
L'albero che porta il frutto ha un valore maggiore del frutto stesso... La prosperità di una nazione non è... maggiore nella proporzione in cui ha accumulato più ricchezza (cioè valori di scambio), ma nella proporzione in cui ha sviluppato maggiormente i le sue potenzialità di produzione.Probabilmente a Scholtz e Macron il messaggio non è piaciuto affatto. Si rendono conto che all'egemonia neoliberale occidentale è stata strappata la barra del timone.