Traduzione da Strategic Culture, 21 marzo 2022.
 
La guerra in corso in Ucraina è stata intesa da una parte -in Occidente inteso in senso ampio- in termini di espressione laica dell'odierna cultura occidentale. In genere è stata presentata come lo scontro fra questa cultura, genericamente presentata come "democrazia", con lo spirito autoritario di Russia, Iran e Cina; culture pregne di valori offensivi, nativisti e scorrettamente repressivi.
Si ritiene che Putin possa aver "sentito che in AmeriKKKa è il momento di una leadership politica debole e, come un giocatore di scacchi che vede un varco sulla scacchiera, ne approfitta per andare all'attacco". In Occidente va per la maggiore questo modo di vedere le cose e non è difficile capire perché questo punto di vista si è trasformato in un'opinione consolidata. Esso è in linea con lo spirito di oggi, secondo cui l'intera politica non è che un dispiegarsi manicheo di "buoni" che vedono le cose in modo "moderno" e culturalmente consapevole, e di quanti invece non sono riusciti a tagliare i ponti con il proprio passato.
Questo però non spiega completamente la frenetica ostilità che ha investito Putin, la Russia e a tutto ciò che è russo. Non si era più visto niente di simile dai tempi della seconda guerra mondiale, e anche allora non tutto ciò che era tedesco veniva ipso facto considerato espressione del Male.
Al netto delle passioni, questa lettura occidentale del mondo ha una sua logica di fondo. Ed è una logica ineluttabile e piena di pericoli. Per esempio, nel suo discorso al Congresso degli Stati Uniti Zelensky ha insistito sul fatto che c'è un paese che sta affrontando un'aggressione che non ha provocato, che ha attirato su di sé il sostegno e la simpatia dal resto del mondo, ma che non è un membro dell'alleanza NATO. Il messaggio era semplice e chiaro: "Vi invito [voi Occidente] a fare di più".
per tutta risposta l'ex Segretario alla Difesa Leon Panetta ha descritto questa settimana Zelensky definendolo "in questo momento probabilmente il più potente lobbista del mondo". Ancora una volta la logica dietro l'idea che la Russia abbia deliberatamente scatenato la più grande guerra di terra in Europa dai tempi della seconda guerra mondiale per conseguire un vantaggio tattico sulla scacchiera definisce ineluttabilmente anche l'inevitabile reazione: è necessario un maggiore sostegno militare a Kiev, in modo che Putin percepisca il pericolo sul terreno e si muova in modo da proteggere i pezzi di maggior valore.
Finora, il sostegno degli Stati Uniti è rimasto appena inferiore all'intervento diretto della NATO, ma giusto quel tanto. Le parole di Zelensky e il video che ha condiviso (anche se chiaramente realizzato da un'agenzia di PR professionisti: rasatura grossolana, maglietta mimetica eccetera), hanno avuto un impatto emotivo che ha trasformato questa sua comparsa -al pari di quelle organizzate in altre capitali- da qualcosa di ordinario a qualcosa di straordinario.
La domanda d'obbligo è quali saranno le conseguenze.
Panetta ha suggerito in risposta: "Se Putin sta raddoppiando la posta, anche gli Stati Uniti e la NATO devono raddoppiarla".
Occorre essere chiari: Panetta non è da solo. La guerra delle notizie e il bellicismo stanno prendendo piede. C'è chi esorta Zelensky a continuare con messaggi di questo genere, sostenendo che la ritrosia della NATO alla prospettiva di un intervento finirà per incrinarsi.
E se i calcoli sul consenso su cui si basa tutto questo fossero errati? Se rappresentassero una lettura potenzialmente catastrofica del comportamento di Putin e della sua squadra e -cosa più importante- del sentire della maggioranza dei russi?
Semplicemente, considerare il conflitto attraverso una lente così ristretta omette e cancella tutte le sfumature religiose, razziali, storiche, politiche e culturali insite nello scontro. Facilita uno stereotipo semplicistico che può condurre a un cattivo processo decisionale.
Se l'Occidente sbaglia a veder Putin tramite lo stereotipo del leader autoritario e senza principi che porta il suo paese in guerra per qualche effimero guadagno tattico contro l'Occidente, allora l'Occidente può sbagliarsi anche nel pensare di star combattendo una guerra tattica; e sbaglia di conseguenza a pensare che mosse tattiche consistenti nel caricare sofferenze su sofferenze sul piatto dei russi per influenzare la bilancia porteranno come risultato "a una deescalation da parte di un Putin azzoppato".
Ciò che avremmo allora sarebbe una guerra totale con da una parte una Russia che si difende o cessa di esistere e dall'altro lato un "occidente" impelagato dalla logica del suo stesso costrutto, e che si avvicina alla propria "guerra santa", pur laicizzata.
Le parole e il video di Zelensky hanno avuto un forte impatto emotivo nelle capitali occidentali; un impatto chiaramente teso ad alimentare un'atmosfera accesamente emotiva fin quasi al punto di rottura. Questa carica emotiva è benzina sul fuoco per l'angosciosa consapevolezza del declino ameriKKKano, per la consapevolezza che sempre meno paesi si inchinano istintivamente agli Stati Uniti con la condiscendenza con cui lo facevano in passato. È inquietante. Può scatenare l'aggressività che porta a desiderare di colpire di nuovo chiunque osi sminuire l'idea che essi siano un paese indicato dal destino.
Questi contenuti carichi di emotività stanno già accecando i commentatori occidentali di fronte a dati di fatto sul terreno che vengono ignorati e cancellati dalla quotidiana denuncia di atrocità strazianti. Nell'Occidente di oggi, l'analisi è diventata una mera questione di cosa sia culturalmente corretto, e ogni cenno alla realtà sul terreno è diventata quasi un delitto. È il contesto perfetto perché si facciano errori.
Quale può esserne il risultato, a stretto rigore di logica: quello di un Occidente che si impegna in una guerra totale?
Un regista russo più volte premiato, Nikita Mikhalkov, ha tenuto al popolo russo un proprio discorso, quasi un parallelo di quello che Zelensky ha tenuto al Congresso:
"Guardate a noi [il popolo russo] e ricordate che faranno la stessa cosa a voi quando mostrerete debolezza ... Fratelli, ricordate il destino della Jugoslavia e non permettegli di fare lo stesso con voi. Sono personalmente convinto che questa non è una guerra tra Russia e Ucraina, non è una guerra tra Russia, Europa e AmeriKKKa. Non è una guerra per quella democrazia cui i nostri partner vogliono convincerci. Questo è un tentativo globale, e forse l'ultimo della civiltà occidentale, di attaccare il mondo russo, l'etica ortodossa, nei loro valori tradizionali. Chi è cresciuto in questi valori non sarà mai d'accordo con quello che ci propongono, dai matrimoni omosessuali alla legalizzazione del fascismo. La guerra è una cosa terribile. Non conosco una persona normale che pensi che la guerra sia una buona cosa. Ma l'Ucraina, l'America e l'Europa hanno cominciato a prepararsi per questa guerra già nel 1991... Ci sono due modi per uscire da questa situazione: o ci difenderemo, o cesseremo di esistere. Per concludere, ecco le sagge parole di un uomo avveduto: "Meglio la forca perché si è stati leali, che la ricompensa perché si è tradito".
Mikhalkov non esprime concetti aberranti. La dottoressa Mariya Matskevich dell'Istituto di Sociologia dell'Accademia Russa delle Scienze spiega che gran parte della popolazione russa considera la guerra in Ucraina come "una lotta santa" e "una guerra della Russia contro tutto il resto del mondo". Aggiunge che questa è una posizione che molti russi trovano molto più congeniale rispetto a una qualsiasi cooperazione con il mondo esterno, e nota che i sondaggi riflettono costantemente -e generalmente in modo accurato- questo modello, così come la convinzione diffusa che ciò che la Russia sta facendo in Ucraina è difendersi da un'aggressione occidentale. Per questo motivo in Russia il sostegno popolare per Putin, per il suo governo e anche per il suo partito Russia Unita è aumentato dopo l'inizio delle ostilità.
La nozione di "guerra totale" è stata ribadita energicamente in una trasmissione televisiva in prima serata da un importante pensatore e autore russo, il professor Dugin. Le sue opinioni hanno ottenuto ampio sostegno: - La guerra in Ucraina non è solo questione di vita o di morte per lo stato russo, ma è questione di vita o di morte per il popolo russo, per la sua cultura e la sua civiltà.
- La realizzazione di un nuovo ordine mondiale passa per una vittoria russa in Ucraina.
- Fino ad ora, l'Occidente non ha mai considerato la Russia come un interlocutore alla pari. La guerra in Ucraina è destinata a cambiare questo dato di fatto.
Si può essere d'accordo o meno con questi punti di vista, ma non è questo l'essenziale. L'essenziale è se questo modo di intendere le cose sia quello del popolo russo oppure no. Se lo è, allora Putin e la Russia non si tireranno certo indietro dopo un'altra bordata di sanzioni occidentali, e nemmeno per i nuovi droni o le nuove armi fornite a Kiev: la guerra totale è, ovviamente, una lotta per l'esistenza. Fino alla fine.
Un eminente accademico serbo, il professor Vladusic, colloca tutto questo in un contesto più ampio:
 
 "C'è una mappa delle civiltà in Lo scontro di civiltà di Huntington: su quella mappa Ucraina e Russia sono dipinte dello stesso colore, perché appartengono alla stessa civiltà ortodossa. E proprio accanto all'Ucraina inizia il colore scuro con cui Huntington contrassegna la civiltà occidentale:
"[Considerando] la guerra con gli occhi di Huntington, ecco a quale conclusione giungo: la guerra tra Russia e Ucraina è una grande catastrofe per la civiltà ortodossa. L'ipotetica scomparsa della Russia sarebbe anche la fine della civiltà ortodossa, perché non c'è un altro paese ortodosso sufficientemente potente per difendere altre nazioni ortodosse. Huntington mi suggerisce poi che non è mai successo nella storia che un paese passasse da una civiltà all'altra, non perché alcuni paesi non ci abbiano provato, ma perché, semplicemente, le altre civiltà non li hanno mai accettati in via definitiva. Senza la Russia, la quotazione sul piano geopolitico dei restanti paesi ortodossi crollerebbe così tanto che le altre civiltà, nella migliore delle ipotesi, li farebbero scendere al livello di colonie in via di estinzione. Questo, naturalmente, vale anche per l'Ucraina. Nel momento in cui la Russia fosse sconfitta -sconfitta che significherebbe molto probabilmente la sua divisione in più stati- lo stesso destino toccherebbe probabilmente all'Ucraina. E sappiamo tutti cosa significa la parola balcanizzazione".
 
Sembra che la guerra totale possa diventare inevitabile. Le due diverse interpretazioni della "realtà" non si toccano in nessun punto. La logica è ineluttabile. All'interno di queste architetture dell'odio, fatti storici selezionati o inventati sulla Russia, la sua cultura e la sua natura etnica vengono considerati al di fuori del loro contesto e inseriti in strutture concettuali preconfezionate al fine di accusare il presidente Putin di essere un "delinquente" e un "criminale di guerra".
Se imboccheremo questa direzione, sarà per colpa dell'errore potenzialmente catastrofico di percepire la Russia come un mero attore transazionale; un approccio che deriva dal fatto che l'Occidente sta rinunciando a suo stesso retaggio culturale. Il processo è semplice: in passato un'opera d'arte, un grande libro, veniva letto per gettare luce e comprensione sugli eventi passati. Oggi viene inteso solo come espressione della cultura contemporanea. Basta presentare questa cultura come politicamente scorretta (come bianca, misogina o colonialista), e immediatamente diventa politicamente scorretta, il che significa che diventa criminale qualsiasi menzione di essa.
Come si può dunque comprendere la storia russa?
Non si può, e basta.
Non si può comprendere come la Russia possa intendere la storia come un lungo, millenario susseguirsi di tentativi di arrivare alla sua cancellazione, come espressione di un antagonismo e di un razzismo antislavo dalle radici altrettanto antiche; non si può comprendere come i russi possano vedere il recente intervento degli Stati Uniti nell'ortodossia tradizionale attraverso il patriarcato di Costantinopoli come l'intento di favorire uno scisma nella comunità ortodossa, sia per minare il patriarcato di Mosca (il baluardo del pensiero sociale tradizionale), sia per infondere i semi del liberalismo occidentale e i valori culturali occidentali nelle chiese ortodosse nazionali. Molti russi pii vedono il conflitto ucraino come una "guerra santa" per preservare l'ethos tradizionalista da un impulso culturale occidentale e nichilista.
Si potrebbe anche capire che molti russi considerano la rivoluzione bolscevica, l'intervento neo-liberale degli Stati Uniti dell'era Eltsin e la woke culture di oggi come tutta farina dello stesso sacco, con il bolscevismo considerato null'altro che una woke culture di prima edizione. Come tutto questo cioè non sia considerato altro che una lotta per cancellare la civiltà russa e l'ethos ortodosso.
Noi possiamo anche avere un'idea differente della storia, ma è possibile che i concetti qui espressi rappresentino fedelmente la concezione della maggior parte dei russi. Questo è il punto. Ed è denso di implicazioni sia per la guerra che per la pace.