Traduzione da Strategic Culture, 15 gennaio 2020.
 
L'Iran non è alle corde. Il generale Hajizadeh, comandante delle forze aerospaziali del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica, ha detto in una riunione tenutasi il 14 gennaio che l'attacco [missilistico contro una base statunitense in Iraq, N.d.T.] "costituisce il punto di partenza di un'operazione in grande stile". Ha anche percisato che "gli attacchi non avevano lo scopo di causare perdite: abbiamo [piuttosto] voluto sferrare un colpo alla macchina bellica del nemico". Anche il Pentagono sta dicendo che l'Iran ha deliberatamente evitato di colpire le truppe USA che c'erano nelle basi. In pratica, il Pentagono ammette che l'Iran riesce a guidare con estrema accuratezza missili diretti a diverse centinaia di miglia di distanza e che lo ha fatto senza che un solo missile venisse intercettato dalle forze statunitensi. Evitare di colpire uomini in una grande base militare costituisce un risultato eccellente, che fa pensare che i missili iraniani abbiano un margine di precisione che si aggira sul metro o due, non sui dieci metri.
Non è forse un dato essenziale? Fa pensare che i progressi dei sistemi di guida iraniani li mettono ora in condizioni di sferrare attacchi di estrema precisione. Non abbiamo forse assistito a qualcosa di simile recentemente in Arabia Saudita, ad Abaqiq? E Abaqiq non ha forse messo in chiaro che i costosi sistemi di difesa aerea statunitensi non funzionano? Il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica ha fornito soddisfacenti dimostrazioni del fatto che è in grado, al pari dei suoi alleati, di bucare i sistemi di difesa aerea di fabbricazione statunitense tramite missili "intelligenti" di produzione locale e tramite sistemi di contromisure elettroniche.
In breve le basi statunitensi nella regione sono diventate delle infrastrutture vulnerabili, e non dei punti di forza. Lo stesso vale per quelle costose flotte da battaglia dotate di portaerei. A chi capisce -o vuole capire- gli iraniani hanno mandato un messaggio chiaro e molto pertinente. A chi si intende meno di strategia potrebbe sembrare che l'Iran abbia sferrato un pugno che si è rivelato debole. Ma veramente, quando si è appena dimostrato di essere in grado di sovvertire lo status quo sul piano militare, non c'è bisogno di squilli di trombe. L'arrivo di un simile messagigo è di per sé un colpo a una macchina militare. Un colpo calibrato con cura, che ha evitato che si arrivasse alla guerra. Trump ha abbassato la guardia... e lo ha definito un successo.
Quindi è tutto finito, tutto fatto, tutto sepolto? Finito cosa? Non è finito niente. Sia la Guida Suprema che il generale Hajizadeh hanno detto esplicitamente che l'attacco non è che il primo passo, "un inizio". La maggior parte degli addetti ai lavori tuttavia, sia in Occidente che, in qualche caso, nello stato sionista, è per cultura insensibile alle sfumature linguistiche quando si tratta di gestione di una guerra asimmetrica da parte dell'Iran; anche quando la cosa è affrontata in modo esplicito.
Guerra asimmetrica non significa esercitarsi a chi se la tira di più. Invece, è come nella storia di David e Golia. Golia può sfracellare David con un pugno solo, ma David è agile, veloce, e si mette a danzare attorno al gigante appena fuori dalla sua portata. David ha una buona resistenza, mentre il gigante si muove pesantemente, e facilmente si esaspera e si stanca. Alla fine basta un sasso ben piazzato -neanche un colpo di cannone- per abbatterlo.
Si ascolti da vicino il messaggio dell'Iran: se gli USA si ritireranno dall'Iraq, come chiesto dal parlamento iracheno, e rispetteranno gli accordi presi col governo di Baghdad per abbandonare poi la regone, la situazione militare migliorerà. Se gli USA insisteranno a rimanere in Iraq, le forze statunitensi saranno sottoposte a pressioni politiche e militari affinché se ne vadano, ma non da parte dell'Iran. A farlo saranno gli abitanti di quei paesi in cui i militari statunitensi sono di stanza. E i soldati statunitensi possono finire uccisi, ma non da missili iraniani. Scegliere, tocca all'AmeriKKKa. L'Iran ha l'iniziativa.
I leader iraniani sono stati molto espliciti. Lo schiaffo rappresentato dall'attacco contro la base di Ain al Assad non è la ritorsione per l'assassinio mirato del generale Soleimani. La campagna condotta con una guerra amorfa, un po' militare e un po' politica, contro la presenza ameriKKKana in Medio Oriente è invece l'iniziativa indicata come adatta a ricordarlo.
Ed ecco David che danza attorno a Golia. L'uccisione di Soleimani ha attivato e mobilitato milioni di persone restituendo vigore alla resistenza. Non solo a quella sciita, tra l'altro. Il parlamento iracheno ha votato a favore dell'allontanamento delle forze armate straniere; la risposta del Presidente Trump è stata quella di trattare la sovranità irachena come spazzatura, e questo ha fatto sì che emergesse un nuovo paradigma politico che neppure il più filoameriKKKano degli iracheni può facilmente ignorare. Quella di allontanare i militari stranieri è, ed è questo l'elemento notevole, una missione senza connotazioni settarie.
Lo stato sionista, dopo che all'inizio i sostenitori di Netanyahu si sono congratulati con se stessi, ha capito che l'Iran ha fatto un passo avanti, e non un passo indietro. Scrive Ben Caspit, che ha una lunga esperienza in materia di sicurezza nello stato sionista: 
"La lettera del generale William H. Sili, comandante delle operazioni militari statunitensi in Iraq, è stata fatta filtrare e poi rapidamente diffusa tra gli altri gradi della sicurezza dello stato sionista il 6 gennaio... Il testo della lettera affermava che gli ameriKKKani stavano preparando un immediato ritiro dall'Iraq e ha fatto scattare l'allarme a tutti i piani, al Ministero della Difesa di Tel Aviv. Di più: nello stato sionista lo scritto stava per mettere in moto uno scenario da incubo in cui, in vista delle imminenti elezioni, il Presidente Donald Trump avrebbe rapidamente fatto evacuare i soldati statunitensi presenti in Iraq e in Siria.
In contemporanea l'Iran ha annunciato che avrebbe immediatamente interrotto ogni impegno in materia di accordi sul nucleare con le superpotenze, ritornando ad arricchire uranio ad alto livello in quantità illimitate e riprendendo con maggior vigore i propri sforzi per sviluppare capacità nucleari di tipo militare. 'In queste condizioni,' ha detto un alto funzionario della difesa [a Caspit], 'ci ritroviamo davvero da soli, e nel momento più critico. Non esiste scenario peggiore di questo, per la sicurezza nazionale dello stato sionista... Non è chiaro quando sia stata scritta questa lettera, non è chiaro perché sia filtrata, non è chiaro -innanzitutto- perché sia stata scritta. In generale non c'è nulla di chiaro nel comportamento degli ameriKKKani in Medio Oriente. Ogni mattina ci svegliamo e c'è qualche dubbio nuovo.'"
L'impeachment del Presidente USA lanciato alla Camera ha lasciato Trump molto vulnerabile al superstite gruppo di sionisti e di evangelici che si trova in Senato; i loro voti gli saranno in ogni caso indispensabili quando la questione vi verrà discussa. Così in una prova in cui Trump deve impedire che i democratici si alleino con i repubblicani ribelli per arrivare a quei due terzi dei voti che significherebbero un verdetto di colpevolezza. La pressione dello impeachment è stata usata varie volte per spingere Trump a comportarsi circa il Medio Oriente in modo diametralmente opposto agli interessi del suo elettorato -a tutt'oggi impegnato a mantenere in piedi mercati traballanti- e a mantenere un dialogo per arrivare ad accordi commerciali con la Cina.
Adesso Trump, parlandone in termini di campagna elettorale, ha bisogno soprattutto di allentare la tensione con l'Iran, cosa che allevierebbe la pressione politica dei neoconservatori e degli evangelici permettendogli di mettere in vetrina, invece, i mercati inflazionati.
E questo è proprio quello che Trump non otterrà.
I suoi tentativi di mettere un argine alla reazione dell'Iran davanti all'assassinio di Soleimani sono stati esplicitamente respinti da Tehran. I suoi dispacci non sono stati neanche aperti, né si è lasciato che i mediatori ne parlassero. Non c'è posto per il dialogo, a meno che Trump non faccia alleviare le sanzioni e gli USA non tornino a rispettare gli accordi sul nucleare. E questo non succederà mai. Adesso ci saranno pressioni immense da parte di tutte le lobby dello stato sionista affinché l'AmeriKKKa resti in Iraq e in Siria, con buona pace di Caspit e delle sue considerazioni. E lo spettro della vendetta per la morte di Soleimani perseguiterà per i prossimi mesi, se non per i prossimi anni, i militari di stanza nella regione.
Saggiamente l'Iran ha rifiutato un confronto militare diretto, stato contro stato, in favore di una più sottile e micidiale guerra contro la presenza USA in Medio Oriente. Una guerra che, in caso di successo, darà un nuovo volto a tutta la regione.
No, non è finita. Anzi, peggiorerà al modo in cui peggiorano le guerre asimmetriche. E Trump resterà schiacciato nella morsa dei senatori canaglia.