Una domenica piovosa a Firenze, quella del 26 maggio 2019.
Il seggio è allestito in una scuola elementare; gentilissimi, i custodi hanno lasciato una scatola di frutta con un cartellino che invita tutti a servirsene.
Il pomeriggio precedente si era provveduto a tutte le operazioni preliminari, con la verifica e la timbratura delle schede, il posizionamento dei sigilli dove servivano e tutto quanto il resto.
Alle sette del mattino si ammettono gli elettori. Comincia una processione, a tratti anche intensa, composta praticamente per intero da ultrasettantenni con le tessere elettorali cariche di bolli. In Comune sono consapevoli della situazione e hanno fatto avere ai presidenti di seggio uno stampato da consegnare a chi si trova in questa situazione: ci sono le istruzioni e gli indirizzi per provvedere al rinnovo in tempo, senza intasare le strutture all'ultimo minuto. Alla fine della giornata si saranno raccolte almeno una trentina di attestazioni pronunciate con sicurezza da gente convintissima che la cosa non la riguardava dal momento che non sarebbe arrivata viva al giro successivo. La trentunesima viene accolta da chi scrive con un'apertissima manifestazione di insofferenza.
A votare si presentano ipovendenti e non deambulanti (questa la definizione giuridica) accompagnati e, sempre accompagnate, persone dal comportamento non perfettamente lucido. Per loro è la cabina 1, vicinissima all'entrata.
Il tempo passa in modo regolare e piuttosto noioso: solo nel primo pomeriggio si presenta un diversivo.
Un signore nella media -vale a dire appena uscito dal circolo pensionati, ed è una valutazione generosa- fa l'atto di avventarsi sull'altro scrutatore lamentando la perdita di un telefono e minacciando l'intervento della gendarmeria.
L'altro scrutatore lo guarda senza capire; un vecchio cellulare è da ore su un tavolo senza che nessuno lo abbia reclamato, figuriamoci impossessarsene.
Il tale fa finta di vederlo solo allora, e se ne va dopo aver profuso ringraziamenti. Se avesse scelto lo scrivente come comprimario alla scenaggiata ne avrebbe avuto un gelido "ma cosa vuoi denunciare che come ti danno una guardata ci finisci tu in centrale..."
Arriva, unica, una ragazza di diciotto anni che vota per la prima volta. Probabilmente anche per l'ultima, in considerazione del fatto che l'ambiente della politica rappresentativa viene considerato infrequentabile da moltissime persone serie.
Alla fine della giornata l'affluenza risulta molto più alta della media peninsulare: quasi venti punti in più.
Solo che scorrendo l'elenco degli iscritti si nota l'assenza quasi totale delle classi comprese fra il 1980 e il 2001.
I giovani non votano, e basta.
Non è certo il caso di chiedersi il perché: se almeno venti milioni di sudditi non partecipano alle consultazioni deve esserci più di un motivo ed è verosimile che i motivi non siano gli stessi dappertutto e per tutte le classi, anche se per l'esperienza di chi scrive è sicuro che una parte consistente degli astenuti, almeno a Firenze, consideri l'offerta politica contemporanea inaccettabile, se non proprio ripugnante e/o offensiva.
Lo spoglio rivela tracce dell'umanità che è passata per il seggio. Preferenze sbagliate o strampalate (un "Berlusconi" vergato in corsivo tremolante fra le preferenze per le elezioni di quartiere), croci vergate con rabbia fin quasi a forare la scheda, qualche sporadico insulto, voti doppi su liste opposte destinati a finire tra le schede nulle.
Il lavoro di presidio, di spoglio, di verbalizzazione e di chiusura del seggio tiene impegnate sei persone per un numero di ore decisamente sproporzionato a quello che potremmo definire più una mancia di incoraggiamento che una retribuzione. Parte degli interessati, componenti del bigio e diffuso numero del genere mogliaccàsa figliascuola e il resto tuttolavoro, non manca di farlo notare ad alta voce più volte prima che arrivi la fine della sfacchinata, con la consegna dei verbali a notte fatta da un pezzo.
Restano i risultati.
Firenze ha, all'apparenza, sorpreso: il politicame "occidentalista" ha raccolto suffragi magrissimi, una specie di Kobarid inattesa. Qualcosa non deve aver funzionato: questa volta in quell'ambiente doveva maturare il passaggio di bandiera dai liberisti in cravatta ai sovranisti con le pezze al culo. E il passaggio, difficile, è stato affrontato more solito con una eterodirezione che ha imposto al povero Ubaldo Bocci una linea politica tra l'incolore e il ridicolo.
Questo però stupisce solo chi non conosce la realtà locale. A Firenze, chi vuol fare politica di destra si iscrive da decenni al partito di maggioranza; in caso contrario non il rischio, ma la certezza, è quello di fare la figura del ben vestito appena piovuto dalla luna.
L'attribuzione causale di chi scrive è più spiccia e senz'altro errata, ma si basa sull'assunto che Firenze sia una cosa, lo stato che occupa la penisola italiana un'altra.