Traduzione da Consortium News, 3 giugno 2017.
Jared Kushner non ha reso un gran favore al suocero quando ha infilato il presidente Trump nell'infinito "processo di pace" tra sionisti e palestinesi. Stando all'interpretazione di un giornalista sionista i consiglieri di Trump avevano per questo fatto in modo che i sauditi "[lo] abbracciassero, [gli] facessero attorno la danza delle spade, mettessero sul tavolo un bell'assegno per l'accordo sulle armi e [si aspettassero in cambio] la creazione di un asse anti sciita ed anti iraniano [fondato su di loro]."
Esattamente: al proverbiale venditore (Trump) hanno venduto il Colosseo e a venderglielo ci ha pensato il genero, convinto che conoscere da anni il primo ministro sionista Benjamin Netanyahu facesse di lui l'elemento ideale per il processo di pace. A Riyadh Trump ha dunque porto incondizionato omaggio alla narrativa sunnita che considera i sunniti vittime innocenti e gli sciiti una oscura, malvagia e sovversiva quinta colonna da ricondurre nel proprio recinto.
Trump si è dunque chiaramente schierato nella contesa geostrategica che esiste tra i paesi del Nord della regione e gli Stati del Golfo. Invece di rimanersene appartato e al di sopra del conflitto mediorientale, si è fatto convincere a comportarsi in modo opposto e si è buttato a pesce dalla parte dei sunniti, in parte forse per fare il contrario di quanto fatto dal presidente Obama con l'Iran.
Per quale motivo? Senza dubbio i quattrini -sempre che arrivino sul serio- faranno comodo. Essenzialmente però Kushner ha persuaso il suocero che lisciare il pelo ai sauditi e demonizzare gli iraniani rappresentava il prezzo da pagare per entrare nel processo di pace tra sionisti e palestinesi; se il colpo riuscisse, rappresenterebbe l'eredità politica che la politica estera di Trump consegnerebbe alla storia.
Un fallimento a lungo termine
Secondo l'autorevole giornalista sionista Ben Caspit che scrive su Maariv, "A Washington qualcuno ha guardato una cartina e ha fatto il compitino. Se ne conclude che ci si sono messi in due, Jared Kushner e Jason Greenblat [il Rappresentante Straordinario di Trump per i Negoziati Internazionali]. Si sono messi ad ascoltare la gente di Obama e anche qualche sionista di quelli che hanno passato tutto il proprio tempo e speso tutte le proprie energie e la propria stessa salute nel processo di pace durante gli ultimi otto anni, e che gli hanno spiegato in che modo accostarsi alla fumante ed esplosiva polveriera del conflitto mediorientale."
Probabilmente hanno conferito davvero con quegli esperti di "processo di pace" che per tutti gli ultimi venticinque anni hanno negato il suo palese fallimento. Quindi anch'essi non hanno voluto riconoscere i quattro fondamentali difetti dei principi di Oslo. Si ripete invece lo stesso approccio difettoso, sperando tutte le volte che il risultato sia diverso.
Nel corso degli ultimi decenni l'Europa e l'AmeriKKKa hanno condiviso la stessa inveterata convinzione: lo stato sionista, che gli serva o meno, deve mantenere al suo interno una maggioranza ebraica. Col passare del tempo e con il crescere della popolazione palestinese lo stato sionista si troverà ad un certo punto a dover acconsentire ad uno "stato" palestinese proprio per mantenere questa maggioranza ebraica. Insomma, solo consentendo ai palestinesi di avere un proprio stato o in qualche modo rinunciando a controllare parte del popolo palestinese lo stato sionista conserverà il proprio carattere di maggioranza ebraica. Questo è il primo principio.
A prima vista il concetto sembra evidente, al punto che la maggior parte degli ameriKKKani e degli europei rifiuta di metterlo in discussione. Solo che la recente pubblicazione di resoconti delle discussioni tenute all'interno del governo sionista dopo la vittoria nella guerra dei sei giorni del 1967 indica chiaramente che già allora i leader sionisti avevano afferrato questo dilemma fondamentale: avevano udito le ammonizioni che all'epoca gli Stati Uniti rivolgevano loro sulla necessità di riassorbire un milione di palestinesi assoggettati, ma erano rimasti elusivi, cercando di conservare tutti i territori occupati nel corso della guerra.
Il ministro degli esteri sionista dell'epoca Abba Eban disse: "[Gli ameriKKKani] sono dell'idea di dire di sì a Gerusalemme, ma no ai territori. Insistono sul fatto che sarebbe una cosa molto negativa che il mondo si facesse l'impressione che vogliamo davvero tenere tutti i territori."
Mentre tranquilli sionisti
Il primo assunto ci porta al secondo, che è quello della "dottrina della sicurezza innanzitutto". L'Europa e l'AmeriKKKa, insistendo affinché i palestinesi assecondino e tranquillizzino lo stato sionista circa le sue pretese necessità di sicurezza farebbero sì che lo stato sionista appoggi con fiducia la soluzione basata sui due stati.
La narrativa della sicurezza innanzitutto è convincente, così convincente che le politiche europee e statunitensi sono state orientate praticamente per intero verso l'obiettivo di realizzare con lo stato sionista queste condizioni di sicurezza. Si tratta di un obiettivo che è stato perseguito ad oltranza e anche oltre, al punto che qualunque sovranità residuale sopravvivesse alla realizzazione delle pretese di sicurezza dello stato sionista ammonterebbe a poco più che ad un proseguire dell'occupazione travestito da "stato" palestinese.
Eppure non era mai abbastanza, a frustrazione dei leader occidentali e nonostante qualunque garanzia ulteriore le forze di sicurezza palestinesi fossero in grado di offrire. I leader occidentali non hanno trovato soluzioni che non fossero il continuare a battere sul tasto di una ancor più stretta collaborazione in materia con lo stato sionista e di un ancor più stretto assecondarlo. Il presidente Trump pare dunque aver abbracciato la stessa linea: a quanto sembra lo ha fatto lanciando invettive contro il leader palestinese Abu Mazen e sottoponendolo ad una vera lavata di capo per aver istigato contro lo stato sionista e per aver aiutato finanziariamente le famiglie di detenuti per aver resistito all'occupazione.
Lo stato sionista non ha concesso l'instaurazione di uno stato palestinese nonostante le molte opportunità che si sono susseguite negli ultimi venticinque anni e non sembra a tutt'oggi più disposto a farlo. A volte ci si chiede per quale motivo non si è arrivati alla realizzazione di due stati nonostante si trattasse di una cosa basata su una logica stringente.
Forse è stato perché sia la premessa iniziale, che affermava che "lo stato sionista vuole senza dubbio l'instaurazione di uno stato palestinese", sia quella che indicava nell' instaurazione di affidabili condizioni di sicurezza per lo stato sionista la conditio sine qua non perché esso acconsentisse alla soluzione dei due stati sono, piuttosto semplicemente, entrambe sbagliate. Forse lo stato sionista ha sempre cercato il sistema di trattenere i territori e di inglobarne in qualche modo la loro popolazione. Le trascrizioni delle discussioni governative nel dopoguerra fanno pensare di sicuro a qualche cosa del genere.
I due Stati sono un miraggio
Anche le iniziative concretamente intraprese dai sionisti sul terreno non rafforzano certamente la convinzione che lo stato sionista si sia mai curato di assecondare la transizione verso una soluzione che contemplasse due stati dai confini certi, con uno stato palestinese sovrano. Al contrario, quanto accade in concreto porta in direzione opposta: lo stato sionista ha sempre agito in modo da inficiare una soluzione che contemplasse due stati dai confini definiti con certezza.
Esistono anche altri due postulati di questo "processo" contemplante lo stato sionista che meritano di essere indagati con occhio maggiormente critico: il primo -che piace soprattutto agli europei- afferma che l'AmeriKKKa è in grado di imporre una soluzione allo stato sionista. Per quanto attiene la mia esperienza di componente dello staff addetto al processo di pace col senatore George Mitchell, anche questa è una premessa errata. Per adattare al caso un modo di dire che viene da un altro contesto, lo stato sionista trova una maniera al giorno per eludere le pressioni statunitensi, che in ogni caso sono limitate da considerazioni di politica interna.
Infine, la politica istituzionale araba, intesa come contrapposta alla politica di strada- davvero desidera la concretizzazione di uno stato palestinese? Non ne sono sicuro. Penso che le cose le vadano abbastanza bene per come sono adesso. Presumere che esista un forte desiderio di instaurare uno stato palestinese potrebbe rivelarsi errato.
E allora, dove stanno le novità, nei piani di Trump o -meglio- di Kushner? Il 24 maggio 2017 Daniel Serioti di Israeln Hayom ha scritto: "Un funzionario di alto grado a Ramallah ha detto a Israel Hayom che nel corso dell'incontro che Trump ha avuto con il presidente dell'Autorità Palestinese Abu Mazen... [Trump] ha detto che intende condurre un processo di pace fondato essenzialmente sulle iniziative di pace dell'Arabia Saudita...
Il Presidente Trump ha detto a quello dell'Autorità Palestinese che il piano che stava concretizzando si sarebbe basato innanzitutto sulla promozione di un piano regionale complessivo, come parte dell'iniziativa di pace dei sauditi. Il funzionario palestinese ha detto che Trump ha riferito con enfasi ad Abu Mazen che questo non significava rinunciare all'idea dei due stati come base per un futuro accordo fra stato sionista e Autorità Palestinese in cui lo stato palestinese verrebbe instaurato accanto a quello sionista, nonostante il presidente ameriKKKano gradirebbe mettere sul tavolo anche altre prospettive.La possiblità più importante è quella di promuovere innanzitutto il processo di pace patrocinato dall'Arabia Saudita, e solo dopo il raggiungimento di un accordo provvisorio nel cui contesto le parti discuterebbero il modo di concordare uno status permanente che permetterebbe l'instaurazione di uno stato palestinese indipendente e la dichiazione della fine del conflitto da parte di entrambe.Il funzionario palestinese ha affermato che il Presidente Trump ha descritto i fondamenti del piano che sta tratteggiando mantenendosi molto sulle generali, e che non ha fornito alcun dettaglio, anche se a suo dire gli ameriKKKani vorrebbero promuovere l'iniziativa di pace dei sauditi in modo che esso contemplerebbe per prima cosa l'intrapresa della normalizzazione dei rapporti tra stato sionista e paesi arabi moderati.Inoltre... gli ameriKKKani prenderanno iniziative volte a promuovere diretti e serrati negoziati tra stato sionista e palestinesi da tenersi secondo un preciso calendario e nei quali le parti dovranno agire per risolvere questioni fondamentali, prima tra tutte la definizione delle frontiere del futuro stato, lo status di Gerusalemme e dei luoghi santi, il destino degli insediamenti al di fuori dei grandi blocchi, il diritto al ritorno ed altro.
Poche novità
Insomma, la "novità" è data da una alleanza regionale tra sunniti e stato sionista che dovrebbe servire dapprincipio a normalizzare le relazioni con lo stato sionista, ma che poi potrebbe evolvere in una "alleanza regionale di difesa", "sotto patrocinio ameriKKKano e con il pieno sostegno militare e diplomatico ameriKKKano", esplicitamente diretta contro l'Iran e contro i suoi alleati.
Nulla che sia veramente nuovo. CI sono già state prima iniziative del tipo "dentro-fuori" e "fuori-dentro". A fare la differenza in questa versione Trump/Kushner è il fatto che l'ultima iniziativa del re saudita Abdullah diceva che prima lo stato sionista deve consentire l'instaurazione di uno stato palestinese e che poi sarebbe venuta la normalizzazione dei rapporti con lo stato sionista. Sembra che Trump abbia invertito le cose: prima la normalizzazione dei rapporti e poi un accordo provvisorio con i palestinesi.
Di fatto pare una riedizione della dottrina della sicurezza innnanzitutto: i paesi arabi, assecondando l'autocertificata pretesa sionista di temere per la propria sicurezza, consentirebbero allo stato sionista -tramite la normalizzazione dei rapporti- di permettere con maggior fiducia il passaggio ad una soluzione "ad interim" per lo stato palestinese, e magari anche ad una soluzione definitiva.
Ci troviamo qui davanti al sempiterno problema: i leader arabi non possono permettersi di normalizzare i rapporti con lo stato sionista se esso non fa concessioni ai palestinesi, e se i palestinesi acconsentono a loro volta, fino a quando non cesserà la costruzione degli insediamenti. Cosa che i sionisti non intendono fare.
Un altro motivo per pensare che il piano non arriverà a nulla, dopo che il Primo Ministro Netanyahu farà comunque in modo da tirarla per le lunghe, è che anche se è vero che oggi come oggi i palestinesi sono deboli e divisi, paradossalmente Netanyahu è ancora più debole. Qualunque concessione ad Abu Mazen, per trascurabile che sia, potrebbe far cadere il suo governo. La destra di Netanyahu non vede alcuna ragione per fare concessioni ai palestinesi, neppure a livello simbolico. Perché dovrebbe? E' sul punto di prendersi tutto...
La trappola scatta
L'alleanza regionale tra sionisti e sunniti e la ripresa del processo di pace costituiscono una trappola, e Trump è stato persuaso ad infilarcisi. Si tratta di una trappola perché una volta accettato questo stato di cose il processo di pace manda in naftalina ogni altro processo politico. Quanto spesso hanno detto "non si può fare questo, non si può fare quello" per non mettere a rischio il peraltro inconcludente "processo di pace".
Un processo di pace fornisce allo stato sionista il modo di esercitare pressioni anestetiche in tutto il Medio Oriente, ed è sempre stato così. Si tratta di una trappola perché ancora Trump a cercare di assecondare l'iranofobia dei sauditi, e l'iranofobia dei sauditi si rivelerà priva di limiti proprio come il "bisogno di sicurezza" dei sionisti.
Queste vulnerabilità indeboliranno le possibilità di Trump di sconfiggere lo Stato Islamico e di arrivare alla distensione con la Russia. La Russia ha cercato di portare sciiti e turchi al travolo delle trattative in Siria. Il ruolo di Trump era quello di aiutare a portare alle trattative i sunniti, per creare un accordo regionale più ampio. Adesso è meno probabile che la cosa riesca, perché l'Arabia Saudita usa la visita di Trump per indebolire l'Iran.
Con l'omaggio di Trump alla causa sunnita, è più probabile che la spaccatura tra sunniti e sciiti si approfondisca, che non che si riesca a cicatrizzarne la piaga. Dal punto di vista del mero realismo politico, Trump crede davvero che l'Arabia Saudita e i suoi alleati riusciranno a indebolire l'alleanza fra Russia, Iran, Siria, Iraq e Hezbollah?
E lo stato sionista? Le carte in tavola hanno sempre parlato chiaro, e adesso lo sappiamo da quelle riunioni governative successive alla guerra dei Sei Giorni. Gli ameriKKKani avevano messo sull'avviso il governo sionista: se avesse continuato sulla strada del "chi vince prende tutto" sarebbe stato sempre più difficile per l'AmeriKKKa difendere l'occupazione sionista su un popolo palestinese spodestato, screditato, cacciato... e in aumento.
Di questo si deve ancora vedere la piena realizzazione. Ma come ha detto il consigliere della Casa Bianca Steve Bannon nel suo film Generazione Zero, "l'essenza della tragedia greca è che non si tratta di una cosa come un incidente stradale, in cui muore qualcuno. Il senso della tragedia greca è che tragedia è laddove qualcosa accade perché deve accadere... perché sono i personaggi coinvolti che lo fanno accadere. E non hanno altra scelta che farlo accadere."