Traduzione da Valdai Discussion Club, 25 gennaio 2017.
Subito dopo la riconquista dei quartieri di Aleppo ancora sotto il tallone degli jihadisti ad opera dell'Esercito Arabo Siriano la vita ad Aleppo ovest si presentava decisamente fervida, e non c'è da stupirsene. Un testimone oculare ci ha riferito che in quel particolare giorno dopo le strade di Aleppo ovest erano intasate di traffico, i ristoranti erano sovraffollati e la "vita normale", per quanto possa essere normale vivere in certe condizioni, era ripresa. Per contro, la zona a nord est di Aleppo è fisicamente devastata, e la vita di quei quartieri non è che un tenue fremito. Forse non è rimasto molto cui tornare.
Nonostante questo, esiste un'energia positiva molto evidente tra la gente in Siria: forse è la sensazione di aver superato la propria biblica valle oscura. Si nota un positivo fervore, temperato dalla prudenza. Il nostro amico ad Aleppo ha notato che la gente è comprensibilmente scettica sul fatto che gli jihadisti ottempereranno ad un qualche cessate il fuoco, ed anche se la gente comune spera che il futuro sia diverso dal passato, diffida di qualunque "soluzione politica" imposta dall'esterno. E non crede, senza alcun ritegno e senza alcuna titubanza, al Primo Ministro Erdogan e ai turchi. Crede invece al proprio, di Presidente; la popolarità di Assad si nota con molta chiarezza, dice il nostro visitatore.
Nessuno di questi sentimenti, specialmente quello della prudenza, desta sorpresa. Anche il governo è prudente perché è abbastanza probabile che gli jihadisti scacciati cercheranno di serrare i ranghi e di continuare la guerra, in un modo o nell'altro. Patrick Cockburn, un giornalista che si è occupato con grande costanza del conflitto siriano, ha scritto: "Quello [che non è stato generalmente previsto] è stata la velocità con cui l'Arabia Saudita avrebbe visto le proprie più alte ambizioni [di dominio sul mondo sunnita] sconfitte o frustrate su quasi tutti i fronti. Nel corso dell'ultimo anno l'Arabia Saudita ha assistito alla perdita dell'ultimo grande centro urbano controllato dai suoi alleati nella guerra civile siriana, la parte est di Aleppo... [Insomma] il tentativo dell'Arabia Saudita e dei paesi petroliferi del Golfo di conseguire l'egemonia del mondo arabo e di quello musulmano sunnita si è risolto in un disastro, quasi per tutti."
Di certo questo non vuol dire che i sauditi (o i turchi, se è per questo) lasceranno comunque i loro protetti a vedersela con i rovesci della sconfitta militare; possono pur aver voglia di mostrare che i Paesi del Golfo, pur se indeboliti, non sono certo impotenti. Come tutti quanti in Medio Oriente, anch'essi pendono dalle labbra del signor Trump e dalle sue intenzioni. Anche i Paesi del Golfo hanno intravisto un barbaglio di luce in un orizzonte altrimenti fosco: secondo la loro lettura oracolare, le nomine di Trump alla difesa e ai servizi indicano che l'AmeriKKKa può essere portata dalla parte dell'Arabia Saudita, all'interno di un comune progetto per fermare "il terrorismo dell'Iran e le interferenze iraniane in Medio Oriente e negli affari arabi". Tutto questo potrebbe rimanere un pio desiderio perché i consiglieri di primo piano di Trump come Steve Bannon hanno da tempo definito l'Arabia Saudita come una sorta di quinta colonna che permette al flagello dello jihadismo radicale di perpetuarsi.
Il probabile atteggiamento ameriKKKano nei confronti dell'Iran, invece, resta una questione realmente dibattuta. Di sicuro il generale Mattis, possibile Segretario alla Diesa, si è fatto particolarmente notare per aver auspicato con insistenza una decisa azione militare sul territorio stesso dell'Iran durante la guerra in Iraq del 2003, come rappresaglia per le vittime statunitensi causate, a suo dire, dal fatto che gli iraniani fornivano armi alle milizie irachene. All'epoca qualcuno deve aver fatto capire senza tanto chiasso al generale Mattis di temperare la propria ossessione per l'Iran perché il suo continuo ribadire l'argomento stava causando irritazione alla Casa Bianca. Si dice che Mattis pensi che il suo precoce allontanamento dal ruolo che ricopriva nell'organigramma sia stato dovuto al suo perorare un'azione militare contro l'Iran, e all'irritazione di Obama per questo suo ribattere sullo stesso tasto.
Tutto questo, per quanto attiene una visione limitata delle cose. Dal punto di vista strategico invece ci sono senz'altro delle chiare certezze. Nessun dubbio sul fatto che la politica estera ameriKKKana cambierà, e probabilmente anche in maniera piuttosto radicale; solo che ancora non sappiamo in che modo. Probabile che la squadra di Trump debba ancora definire in concreto come comportarsi. Il governo siriano comunque è consapevole del fatto che è possibile un mutamento nella natura strategica dei rapporti tra Washington e Mosca, e che c'è la possibilità di un mutamento strategico anche nell'atteggiamento occidentale nei confronti dello stesso governo. Entro certi limiti questo mutamento è già in corso (in particolare con la Francia).
Si tratta di sviluppi potenzialmente positivi per il governo siriano, se li si sfrutterà nel modo giusto. Di sicuro Damasco valuterà le possibilità di una più ampia apertura in politica estera, intanto che ne persegue senza chiasso una in politica interna tramite un processo di riconciliazione e di inclusione politica partito dal basso.
Insomma, lo sgretolarsi dello stampo cui gli USA avevano informato per decenni la propria politica estera ha coinciso perfettamente con il successo militare strategico siriano. I piani degli Stati del Golfo sulla Siria sono stati sventati; questi ultimi possono anche far sì che la guerra continui, ma a che scopo? Per continuare con il bagno di sangue? I finanziatori del Golfo, che di solito amano che le loro sovvenzioni siano destinate a scopi un po' meglio definiti, potrebbero non trovarlo un obiettivo troppo allettante. Neanche i mujaheddin troverebbero gran che eroico farsi ammazzare solo per far andare avanti lo spettacolo intanto che si abbassa definitivamente il sipario sulla loro tragedia.
L'esperienza dell'Afghanistan ci dice che, a parte qualche entusiasta per il jihad, sia gli insorti sia soprattutto i loro finanziatori andranno incontro ad un raffreddamento dei propri bollenti spiriti. Fatto fondamentale, John Brennan -il "Mago di Oz" della guerra ameriKKKana in Siria che tirava le leve da dietro il sipario, l'equivalente odierno del Charlie Wilson tanto apprezzato a Hollywood per aver portato i russi a rompersi il muso in Afghanistan- sta per perdere il lavoro a causa della trumpiana epurazione di quella CIA che era il suo feudo. La musica cambierà di sicuro.
Anche la Turchia sta cambiando la propria posizione strategica, anche se il suo percorso non lascia intravedere una conclusione chiara. Un cambiamento c'è in ogni caso. La Turchia si trova senza dubbio in mezzo ad una crisi finanziaria. Erdogan e le sue epurazioni dopo il colpo di stato stanno continuando a decimare interi settori della società, ed è probabile che gli attacchi terroristici siano più frequenti di quanto sappiamo, o di quanto viene riferito. Ed è anche piuttosto possibile che la Turchia si stia semplicemente disgregando.
Quali siano gli autentici obiettivi politici di Erdogan in Siria è del tutto ignoto. Probabilmente neppure i russi li conoscono. In concreto il governo turco ha dato istruzione agli insorti che protegge affinché abbandonassero la zona nord est di Aleppo. Armamenti e jihadisti continuano a filtrare dalla frontiera turca, ma neppure lontanamente nella quantità di prima. Sembra quasi che il Primo Ministro voglia tenere in piedi qualche canale per Al Qaeda in Siria intanto che conduce la propria guerra contro il Da'ish e contro i curdi, ora più aspra di prima dopo la diffuione di un video in cui si vedevano soldati turchi bruciati vivi dallo Stato Islamico. Si direbbe che Erdogan voglia innanzitutto eliminare ogni possibilità che si formi una enclave curda nella Siria settentrionale. I russi pare stiano cercando di incanalare la rabbia volubile di Erdogan, che tende a colpire un po' a caso, entro percorsi costruttivi. Con un qualche successo, anche se quando si ha a che fare con un temperamento volubile come quello di Erdogan non c'è da fare eccessivo affidamento sulla costanza di certe situazioni.
Sopra ogni altra cosa, la Turchia ha preso a tal punto le distanze dagli USA, con i funzionari turchi che accusano incessantemente l'AmeriKKKa del colpo di stato e di molte altre cose, che è difficile capire se potrà tornare facilmente sui propri passi, anche se non va ignorata la possibilità che i vertici del paese vengano messi in discussione. Erdogan adesso si rivolge all'Europa solo in termini sprezzanti, ed è ai ferri corti con essa come con l'AmeriKKKa. Esistono dunque alternative per la Turchia, oltre a quella di spostarsi sempre più verso la sfera Russa, magari fino ad unirsi al Gruppo di Shanghai? Erdogan magari spera di ottenere qualcosa dalla nuova amministrazione statunitense, ma il caos e l'instabilità di cui la Turchia è oggi preda fanno sì che la squadra di Trump si comporti con molta cautela.
In ogni caso, anche se Erdogan dovesse essere spodestato, la maggior parte dell'opposizione turca è in totale disaccordo con le ultime mosse politiche della Turchia riguardo alla Siria. Questo deve essere interpretato come un terzo pilastro per il posizionamento strategico della Siria. Per quanto ai siriani Erdogan possa non ispirare alcuna fiducia, almeno per il momento ha detto le cose giuste: che la Turchia non ha interessi a lungo termine in Siria, e che lo stato siriano dovrebbe rimanere uno e non diviso.
Questa è la situazione. Anche se gli auspici sembrano promettenti, il percorso per la Siria (o per la Russia) non sarà privo di ostacoli. La Russia agisce coordinandosi strategicamente con l'Iran e con la Cina. Questi tre paesi condividono una visione geostrategica degli eventi mondiali più o meno simile e considerano in maniera simile la politica ameriKKKana; Iran e Cina forse con un po' di asprezza in più. Condividono una visione economica che postula la necessità di nuove fonti di crescita, e considerano essenziale, per infondere nuova vita all'economia mondiale, la visione che li unisce in una sola fascia percorsa da una sola via per i traffici. Condividono anche uno stesso stile difensivo: si sono concentrati sullo sviluppo di armamenti difensivi che possono efficacemente impedire l'accesso al loro spazio, sia fisico che elettronico, alla NATO e ai paesi suoi alleati; dispongono di un sistema di difesa aerea congiunto, basato sui missili russi delle serie S300 ed S400, e difese marittime basate su un gruppo di sofisticati siluri e missili antinave.
Trump vuole chiaramente raggiungere una distensione con la Russia, per riprendere in mano la politica estera ameriKKKana e per ridimensionare l'impegno ameriKKKano oltremare. Pare sia intenzionato a ristabilire anche i rapporti con Damasco, al fine di portare avanti la guerra contro "il terrorismo". Ma cosa succederebbe se gli ameriKKKani pretendono che in cambio il Presidente Assad chiuda i rapporti con l'Iran e con Hezbollah? Dal punto di vista politico la cosa non è possibile: Siria ed Iran sono legati l'uno all'altro in pace e in guerra, e da molti punti di vista, fin dalla rivoluzione iraniana del 1979. Assad non potrebbe accettare nemmeno se volesse. Ed ovviamente non vuole: è proprio questa la richiesta cui ha sempre risposto picche, e pagando un prezzo molto alto.
Lo stesso vale per il Presidente Putin. L'Iran, la Siria, l'Iraq e Hezbollah sono le truppe di terra nella guerra al terrorismo wahabita. Certo, la Russia ha fornito un sostegno aereo fondamentale, ma senza truppe sul terreno la Siria e con essa la maggior parte del Medio Oriente oggi sarebbero potuti essere parte del califfato instaurato dallo Stato Islamico in Iraq e nel Levante. Neppure il Presidente Putin può rinunciare all'Iran, e neppure mettersi con l'AmeriKKKa contro la Cina. Mosse del genere metterebbero in questione tutta la strategia difensiva russa.
La sfida vera è questa. Mosca e Damasco possono inaugurare una nuova stagione di distensione con Washington e al tempo stesso convincere la nuova amministrazione statunitense del fatto che l'Iran è indispensabile per liberare la regione dai movimenti jihadisti armati ed estremisti? Trump può accettare che sia Putin a controllare questo aspetto della guerra, in un compartimento a sé?
Le cose non saranno facili. Tutto fa pensare che non dobbiamo aspettarci che quelli che fanno la parte del poliziotto cattivo, Mattis e Flynn, cambino idea tanto presto. Mattis e Flynn sono stati scelti per la parte del poliziotto cattivo a fronte di Tillerson, il poliziotto buono scelto da Trump secondo la strategia dei negoziatori-affaristi tipica di quest'ultimo? Questo non è chiaro. I prossimi mesi saranno una vera prova per i vertici siriani, russi e cinesi. Occorre attendersi una serie di alti e bassi di ventilate crisi e di distensioni cercate, intanto che la nuova amministrazaione statunitense inizia a muoversi contro il panorama geopolitico oggi in essere e prima che le cose si assestino in qualcosa che somigli ad un risultato concreto. Comunque vadano le cose alla fine del 2017 il Medio Oriente si presenterà diverso, e probabilmente la Siria sarà un luogo assai migliore.