Traduzione da Consortium News.
Il fallito colpo di Stato in Turchia ha dato una scossa alla geopolitica regionale, causando una spaccatura nel potente apparato militare turco, costringendo il presidente Erdogan a concentrarsi sui "nemici" interni e indebolendo i vicini ribelli siriani, afferma l'ex diplomatico britannico.
"Un dono di Dio". Le parole con cui il presidente Recep Tayyip Erdogan ha descritto il colpo di Stato militare del 15 luglio e la possibilità che esso gli ha dato per una radicale purga dell'apparato statale turco non sono state pronunciate per caso, o senza una piena comprensione del loro significato storico.
Il "dono" di Erdogan rappresenta una scoperta allusione al cosiddetto "evento fortunato" o "auspicato incidente" del giugno 1826; anche in quel caso si verificò un tentativo di colpo di Stato da parte della forza militare d'élite dei giannizzeri, che agli occhi del sultano erano già in odore di sedizione.
I giannizzeri tentarono un colpo di Stato contro Mahmoud II il 15 giugno 1826. Il giorno successivo il London Times scriveva: "Il sultano si trovava nel palazzo estivo di Besiktas. Lo aga pascià ed il pascià comandante della riva asiatica del Bosforo si sono rifugiati a Costantinopoli con le loro truppe: anche ottomila artiglieri hanno raggiunto la città.
La Sublime Porta, decisa a sedare la ribellione, ha fatto esporre lo stendardo del Profeta e proclamare in tutti i quartieri della città che gli uomini d'onore, ovvero i veri credenti, dovevano immediatamente radunarsi attorno allo stendardo... [Questo ha provocato una certa] esitazione tra i ribelli, le cui file hanno cominciato ad assottigliarsi a causa delle diserzioni mentre al contrario tutto il popolo accorreva a radunarsi attorno al sacro stendardo. L'energia dello aga pascià affatto il resto; ha stroncato i ribelli con la mitraglia, ha dato alle fiamme il loro alloggiamenti di Ahnudan e li ha repressi senza misericordia".
Ad essere di particolare interesse nell'allusione fatta da Erdogan è il fatto che, stando a Wikipedia, "gli storici sono dell'opinione che Mahmoud II avesse di proposito incitato alla rivolta, che è stata descritta come 'un colpo del sultano diretto contro i giannizzeri'. I capi dei giannizzeri furono passati per le armi, e tutte le loro proprietà confiscate dal sultano. I giannizzeri di grado inferiore vennero esiliati o incarcerati. Migliaia di giannizzeri erano rimasti uccisi, e in questo modo giunse la fine per questo corpo d'élite".
Forse che Erdogan pensava ai sostenitori di Gulen come a dei giannizzeri, quando ha utilizzato questa interessante allusione?
Un colpo di stato utile
Non voglio dilungarmi eccessivamente a passare in rassegna i primi retroscena del colpo di Stato ed intendo piuttosto guardare al suo significato nel senso più ampio. Innanzitutto, specifichiamo quelli che sembrano essere i pochi punti fermi in una narrativa sul colpo di Stato turco che cambia continuamente. Erdogan per mesi è andato dicendo che si aspettava un colpo di Stato contro la sua persona ordito dall'Occidente e messo in atto da Gulen. Il fatto che fosse in atto un'inchiesta su potenziali golpisti all'interno delle forze armate il cui esito finale sarebbe stata una ulteriore purga di seguaci di Gulen e di personale di orientamento kemalista era anch'esso di pubblico dominio.
È chiaro che le liste con i nomi da epurare nel sistema giudiziario e negli altri apparati statali erano già state redatte e che al momento del colpo di Stato erano pronte all'uso. Erdogan ha detto che sapeva con varie ore di anticipo delle mosse dei militari che stavano preparando il golpe. Esistono resoconti che fanno pensare che ne sapesse anche molto più di così.
In sostanza, io sono d'accordo con Philip Giraldi e con la sua innominata congrega di "osservatori della Turchia"; in sostanza il golpe è stato una messa in scena, in cui un gruppo di ufficiali kemalisti o seguaci di Gulen tentava di mettere a segno un colpo di stato di qualche genere. È possibile che questo golpe sia stato istigato di proposito, sostiene Giraldi.
Un importante osservatore della politica turca ha detto che il golpe è un riflesso delle profonde divisioni che esistono nell'apparato militare del paese. I congiurati non erano tanto sostenitori di Gulen o kemalisti laici, quanto sostenitori della NATO, che si contrappongono agli "euroasiatici" fautori del nuovo orientamento della Turchia: via dalla NATO ed in avvicinamento a Russia, Cina ed Iran.
Insomma, il golpe non sarebbe stata un'iniziativa di Fehtullah Gulen ma sarebbe dovuto alla disillusione verso il presidente; in ogni caso si è consentito che esso avesse luogo. Il riorientamento della politica turca, in ogni caso, era già iniziato con l'invio da parte di Erdogan della lettera di scuse per l'abbattimento dell'aereo russo e l'uccisione di uno dei due piloti.
Sia come sia, è chiaro che Erdogan aveva sentore del golpe ed ha deciso di seguire l'esempio del sultano Mahmoud II; di qui l'allusione al "dono di Dio". Dal canto loro i golpisti sapevano che l'epurazione era imminente ed hanno deciso di passare all'azione. Nel far questo, hanno dato vita ad un'operazione raffazzonata e prematura intanto che il sultano pareva fosse, o magari anche no, nel proprio palazzo estivo. Il gesto non ha avuto né il sostegno che i golpisti si erano aspettati dagli ufficiali superiori, né quello della pubblica opinione laica o liberale che al contrario si è schierata con Erdogan e contro il colpo di stato sin dal primo momento successivo.
Avvertire Erdogan
Chi ha avvertito Erdogan? È molto probabile che siano stati alcuni ufficiali dell'esercito che erano stati avvicinati dai congiurati in cerca di sostegno ma che avevano deciso di rimanere leali; è anche possibile, come fanno pensare adesso alcune relazioni, che siano stati la Russia o l'Iran, due paesi che, al pari degli Stati Uniti, hanno nella zona informatori importanti.
Qualunque appartenente all'esercito avesse rifiutato di far parte del colpo di Stato avrebbe avuto ben poche possibilità oltre a quella di informare Erdogan, dal momento che per qualsiasi altra condotta ci sarebbe stato da pagare un prezzo molto alto. Va sottolineato che a differenza dei paesi occidentali Russia ed Iran hanno immediatamente espresso ad Erdogan un sostegno senza condizioni. Non hanno dato alcun segno di indugiare in attesa di vedere come sarebbe finita. Si sono schierati immediatamente. Probabilmente già sapevano quale sarebbe stato il probabile risultato dell'operazione.
Cosa ancora più interessante, secondo varie fonti anche gli Emirati Arabi Uniti erano venuti in anticipo a conoscenza del golpe e ne avevano avvertito il principe e il ministro della difesa saudita Mohamed bin Salman. In Qatar l'ex emiro amico di Erdogan e il quotidiano di proprietà qatariota Al Quds al Arabi hanno avanzato l'ipotesi che Emirati Arabi Uniti ed Arabia Saudita, a differenza di Russia ed Iran, speravano che il golpe riuscisse.
Al Arabiyya, che è vicino a bin Salman, al primo irrompere degli eventi ha assunto una linea chiaramente filogolpista. Il Presidente Erdogan non è un uomo del perdono, e difficilmente dimenticherà qualunque cenno di approvazione nei confronti dei "nuovi giannizzeri".
Per quale motivo Erdogan ha compiuto questo discusso riavvicinamento nei confronti di Russia ed Iran? Probabilmente esiste più di un motivo; eccoli in ordine di importanza. In primo luogo l'economia sta ristagnando; di questo Erdogan viene accusato, come viene accusato il peggioramento dei rapporti con la Russia. Erdogan è stato aspramente criticato anche per la recrudescenza del terrorismo in Turchia; allo stesso modo sono state dedicate la sua politica in Siria e quella contro il PKK.
Dal punto di vista più squisitamente strategico egli teme soprattutto che l'America stia mettendo in piedi uno Stato curdo autonomo, da principio nella Siria settentrionale ed eventualmente in seguito uno Stato curdo in piena regola nel cuore del Medio Oriente. In tutto il Medio Oriente serpeggiano profondi sospetti sui motivi che spingerebbero gli Stati Uniti a fare tutto questo.
In particolare i piani occidentali di impiantare cinque basi militari nel Nord curdo della Siria nutrono il sospetto che l'America sia impegnata in qualcosa di più che non la costruzione di una autonomia di piccolo cabotaggio, e che si tratti della costruzione di un vero e proprio stato indipendente. Da questo punto di vista diventa comprensibile come la Turchia stia cercando convergenze con Mosca, Damasco, Bagdad e Tehran per mettere fine a qualunque iniziativa del genere da parte degli americani.
Abdulkadir Selvi, un esperto giornalista del quotidiano turco Hurriyet, è stato citato da Foreign Policy perché nei giorni precedenti il colpo di stato ha scritto che "l'integrità territoriale della Siria adesso è più importante per lo Stato turco di quanto non lo sia la sorte del governo di Assad".
Un golpe della CIA?
In ultimo, Ankara ha bisogno di amici. Anche se Erdogan incolpa senza mezzi termini Fethullah Gulen per il colpo di Stato del 15 luglio, sia lui che altre personalità dell'apparato statale hanno esplicitamente detto che nel colpo di Stato erano coinvolte anche la NATO e la CIA. Tutti additano con una certa chiarezza Incirlik, la principale base NATO degli statunitensi nella regione, in cui si trovano almeno 50 ordigni nucleari americani.
Questa base è stata isolata dal mondo esterno, lasciando dentro il personale con tutte le famiglie. Dal 15 luglio le è stata tolta la corrente elettrica, è stata perquisita dalla polizia turca in cerca di golpisti e dello Stato maggiore del comando turco qui presente è stato arrestato, al pari di altri nove ufficiali superiori trovati nella base. Il perché di tutto questo è piuttosto chiaro: Ankara è convinta che la base NATO e statunitense sia il presunto epicentro del colpo di stato del 15 luglio.
Un coinvolgimento statunitense è dunque possibile? Non è emersa alcuna prova riguardo ma sarebbe difficile pensare che gli Stati Uniti, in considerazione dei profondi legami che hanno con l'apparato militare turco non avessero alcuna indicazione del dissenso esistente all'interno dell'esercito e della possibilità di un colpo di stato. Di certo le relazioni con gli Stati Uniti e con l'Unione Europea stanno peggiorando rapidamente.
Molte vittime delle purghe -al 19 luglio il loro numero ammonta a 49321, e non è ancora finita- sono filoeuropeiste o personalità su cui l'Europa conta all'interno del paese. L'Unione Europea dovrà agire con maggiore cautela rispetto agli Stati Uniti nel rispondere alle purghe, perché il timore è che il presidente Erdogan non farà altro che punire l'Unione Europea per qualunque critica esplicita al suo paese dando di nuovo libero corso alla marea dei profughi, che andrà ad inondare l'Europa meridionale.
Erdogan non ha molti amici all'estero, per cui deve affidare la propria sopravvivenza ad oculate scelte strategiche. Da questo punto di vista spera che possa venirgli qualche vantaggio dalla costruzione di rapporti più stretti con la Russia e con l'Iran. Gli serve anche qualche garanzia per il turismo per il commercio, ma soprattutto la Turchia ha bisogno di alimentare la prospettiva concreta degli ulteriori redditi che potrebbero venirle dal "Turkish Stream" e dal diventare un corridoio energetico alla volta dell'Europa. Anche per questo la Turchia ha bisogno della Russia e dell'Iran.
Anche l'Iran e la Russia otterranno dei vantaggi tattici dal loro riavvicinamento alla Turchia, ma si comporteranno in modo cauto e sospettoso. Si accosteranno ad Erdogan con mille cautele.
Russi ed iraniani si stanno chiedendo se Erdogan sta davvero mutando il proprio atteggiamento sul terreno della geopolitica. Sicuramente adesso è soggetto a pressioni molto forti ed è probabilmente consapevole del fatto che deve fare qualcosa alla svelta per cambiare le carte in tavola; di qui il suo ostentato rivolgersi alla Russia.
Secondo la comunicazione personale di un ex funzionario occidentale, è possibile che si tratti di mare macchinazioni tattiche che nulla cambia nell'obiettivo strategico di Erdogan e nel modo di raggiungerlo; e l'obiettivo è fare della Turchia una potenza mondiale neoottomana dotata di una profonda influenza in Europa, nel Caucaso, in Russia, in Asia centrale e nello Xinyiang, avvalendosi per questo di jihadisti stranieri.
Secondo una relazione inedita, poche settimane fa Erdogan ha ordinato di accelerare l'addestramento di questi jihadisti, per schierarli quanto prima nei teatri operativi. Particolare attenzione sarebbe dedicata agli jihadisti del Caucaso settentrionale, uiguri, uzbechi ed albanesi, che hanno tutti fatto esperienza di guerra in Siria ed in Iraq, al pari dei Tartari di Crimea.
Le ricadute geopolitiche
Quali sono le implicazioni geopolitiche di tutto questo? In primo luogo chiunque abbia visto le foto dei soldati turchi spogliati picchiati e presi a calci dalla folla, o quelle dei generali coinvolti ammanettati e col viso rivolto verso il muro si è reso conto del fatto che l'esercito turco è stato umiliato pesantemente e in pubblico: un terzo dei generali turchi sono finiti agli arresti ed è certo che arriveranno anche altre umiliazioni.
L'esercito ne è uscito a pezzi, con il morale a terra. I sospetti nei confronti dei militari diffonderanno il contagio e prenderanno campo i timori di sbrigativi processi politici. L'esercito ne sarà profondamente colpito e non riuscirà a tener fede ai propri compiti
Le più grandi forze armate della regione, strumento di primo piano nell'arsenale della NATO, sono state messe per molti versi in condizioni di non poter operare. Se gli ufficiali superiori che non hanno aderito al colpo di Stato hanno lasciato che esso avvenisse "in mancanza di meglio", è verosimile che siano loro stessi adesso a indirizzare il corso delle conseguenze per le forze armate e per i servizi di sicurezza.
I settori laici, occidentalizzati e liberali della società turca -nel complesso una notevole parte della società- hanno appena visto la Turchia compiere un altro storico passo verso l'islamizzazione e lontano dai valori europei che essi hanno fatti propri. Nell'immediato essi saranno disorientati e sconfitti, al pari della maggior parte del mondo accademico e del settore pubblico; nel prossimo futuro tuttavia reclameranno la loro occasione e nutriranno il proprio odio per Erdogan e per gli islamisti.
La società turca è oggi aspramente polarizzata -un sondaggio appena uscito indica che un terzo dei cittadini turchi crede che dietro ogni colpo di Stato ci fosse lo stesso Erdogan- e si appresta ad affrontare tempi che si annunciano di vacche magre. L'ottimismo nel mondo degli affari scomparirà, il debito crescerà e gli investitori si faranno più cauti.
Erdogan è diventato più forte? Nel breve termine può anche darsi. Adesso controlla la Turchia come se fosse già un sultano dotato di pieni poteri, ed anche nel parallelo caso del sultano Mahmoud II la sconfitta dei giannizzeri all'inizio ne rafforzò la posizione. Nonostante questo tuttavia nel caso Erdogan intendesse approfondire oltre l'allegoria dei giannizzeri dovrà ricordare anche che in capo a cinque o sei anni dopo quello che il sultano aveva chiamato "l'auspicato incidente" il declino e la frammentazione dell'impero ottomano erano già nel pieno della loro manifestazione.
A trarre beneficio dal colpo di Stato del 15 luglio potrebbe benissimo essere la Siria, nel caso il cambiamento di posizione della Turchia in materia di geopolitica si rivelasse una cosa seria. Secondo alcune fonti la Turchia ha già ritirato sia le proprie forze armate dall'Iraq settentrionale sia gli uomini dei propri servizi segreti dal Nord della Siria. Le conseguenze di questo ritiro hanno già avuto un impatto apprezzabile nella provincia di Aleppo, con i progressi dell'esercito siriano che ne sono conseguenza.
Nel caso la Turchia sigillasse il confine con la Siria, come i russi vogliono che faccia, si avrebbero effetti sul piano strategico sia per il conflitto in Siria sia in termini di equilibrio dei poteri in Medio Oriente.
Per l'Arabia Saudita e per lo stato sionista la chiusura del confine turco agli insorti rappresenterebbe una grossa battuta d'arresto. La politica dei sauditi in Siria andrebbe in pezzi se il confine venisse chiuso: il confine meridionale è in pieno deserto ed è molto vulnerabile agli attacchi aerei, mentre la Giordania sta ben attenta a non farsi ulteriorimente coinvolgere nelle questioni siriane. La doppia discesa in campo di Mohamed bin Salman avvenuta negli ultimi mesi a sostegno degli insorti siriani verrà considerata un fallimento ed egli dovrà vedersela con critiche spietate da parte di personaggi della famiglia reale per aver simpatizzato con i golpisti causando con questo la prevedibile ritorsione turca. Al contrario l'influenza dell'Iran e di Hezbollah in Siria ne risulterà sensibilmente rafforzata.
Anche se è verosimile che il presidente russo Putin cercherà di limitare la portata del rafforzarsi dell'influenza iraniana in Siria per quanto riguarda i rischi percepiti dallo stato sionista (Putin ha dei buoni rapporti sul piano istituzionale con il Primo Ministro Benjamin Netanyahu), il rischio di un'azione sionista contro Hezbollah nel Libano meridionale e nel Golan è destinato a crescere.
Lo stato sionista ha già dichiarato che la presenza di militari iraniani vicino al Golan rappresenterà una "linea rossa" che richiederà "una qualche azione" per cambiare le cose.