Traduzione da Huffington Post.
Sembra che a Washington abbiano concluso che cercare di mettere all'angolo la Russia è una cattiva idea.
Anziché ritrarre il presidente Vladimir Putin come una debole tigre di carta e il suo modello di leadership alternativa come qualcosa di zoppicante e di assolutamente non all'altezza della situazione, John Kerry ha dovuto riferire al presidente Obama che gli Stati Uniti avevano imboccato una china pericolosa capace di portare a schermaglie con la Russia, che a loro volta avrebbero corso il rischio di trasformarsi in una vera e propria guerra.
Esiste una quantità di importanti questioni che Mosca ha indicato come suscettibili di portare ad ostilità vere e proprie, anche se non tutte sono state diffuse al pubblico nel dettaglio. La prima è stata l'imboscata tesa dalla Turchia ad un jet russo nei cieli siriani. I piani di volo di quell'aereo erano stati trasmessi agli ameriKKKani nel quadro delle procedure volte ad evitare uno scontro tra Russia ed USA. L'aereo russo abbattuto inoltre non disponeva di missili aria-aria per la propria difesa.
La Turchia è al tempo stesso un membro della coalizione contro lo Stato Islamico guidata dagli Stati Uniti ed un membro della NATO. Putin ha detto senza mezzi termini che aveva delle domande difficili da porre ai suoi interlocutori sull'uso che gli americani avevano fatto dei piani di volo dell'aereo russo, e che domande difficili ce n'erano anche per Obama, per la sua totale assenza di critiche nei confronti dell'iniziativa turca, e per il non dichiarato sostegno che la Nato assicura alla Turchia.
Il fatto implicava forse che l'America era in qualche modo complice dei turchi, o si era espressa favorevolmente verso la loro iniziativa? Sergey Lavrov ha chiesto in tono di sfida agli Stati Uniti e alla Turchia se l'attacco all'aereo russo significava che i due paesi intendevano proteggere a pro dello Stato Islamico l'oleodotto che va da Idlib al confine turco o se per caso intendevano rafforzare quella che ha tutta l'aria di essere una via di rifornimento della CIA, organizzata da gruppi turkmeni e che va dai monti turkmeni in Siria fino ai territori controllati dalle forze jihadiste.
La terza questione problematica che i russi hanno posto agli americani riguarda l'attacco aereo contro la base dell'esercito arabo siriano nei pressi di Deir ez Zor, che ha portato all'uccisione o al ferimento di quattro militari siriani e alla lunga ha fatto sì che la posizione strategica venisse occupata dallo Stato Islamico. L'AmeriKKKa aveva due aerei nelle vicinanze e i russi hanno appurato che non furono coinvolti nell'attacco. La Russia però ha sostenuto anche che in quel momento sopra Deir ez Zor c'erano anche altri aerei della coalizione guidata dagli Stati Uniti, e che questo implicava il fatto che gli USA erano responsabili per l'attacco e che si era trattato di un'azione che portava deliberato sostegno allo Stato Islamico. I funzionari russi volevano sapere come mai l'AmeriKKKa aveva deliberatamente negato di sapere che vi fossero altri aerei della coalizione nella stessa zona.
Non sappiamo cosa sia emerso di tutta la vicenda durante la visita di Kerry a Mosca, ma è difficile pensare che Putin e i suoi non abbiano fatto rudemente presente agli ameriKKKani che se le cose continuano in questo modo i due paesi, inavvertitamente o meno, potrebbero presto finire a confrontarsi direttamente sul piano militare, e che le conseguenze di una cosa del genere sarebbero serie. Il fatto che Putin e i suoi fossero irritati e preoccuparsi emerge dal due dichiarazioni russe, formali e pubbliche, rilasciate prima della visita di Kerry.
Putin ha detto ai propri comandanti militari: "Qualunque bersaglio minacce gli squadroni aerei russi o le infrastrutture terrestri deve essere immediatamente distrutto".
A questa dichiarazione ne è seguita poco dopo un'altra altrettanto grave, che riporta le disposizioni di Putin al ministero della difesa:
"Occorre fare particolare attenzione al rafforzamento del potenziale di combattimento delle forze nucleari strategiche e nell'adottare programmi di difesa spaziale. Come abbiamo messo in chiaro in sede di programmazione, è necessario fornire nuovi sistemi d'arma a tutti i componenti della triade nucleare".
Putin ha preso in considerazione l'opzione nucleare, e al ministero della difesa lo hanno capito immediatamente.
In ogni caso il messaggio deve essere arrivato anche alla Casa Bianca, perché nel corso della conferenza stampa tenuta a Mosca il 15 dicembre Kerry ha detto: "Noi Stati Uniti ed i nostri alleati non stiamo cercando di ottenere quello che si dice un cambiamento di regime". Ha anche aggiunto che per quanto riguarda gli USA "al centro dell'attenzione non ci sono più le divergenze su quello che si può o non si può fare nell'immediato riguardo ad Assad".
"Come attestazione del fatto che il mainstream e mediatico sta cominciando a capire quanto deboli siano le posizioni negoziali ameriKKKane" ha scritto un importante sito finanziario statunitense, "la AP ha pubblicato la seguente dichiarazione, dal tono piuttosto sarcastico: 'Il Presidente Barack Obama dapprima ha invocato l'abbandono del potere da parte di Assad nell'estate del 2011. Assad se ne deve andare era diventato una insistente parola d'ordine. In seguito funzionari ameriKKKani ammisero che non avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni non appena iniziato il periodo di transizione. Adesso, non ce n'è uno che sappia dire quando Assad potrebbe lasciare il potere".
Kelly ha anche detto che la pretesa dell'opposizione "moderata" che Assad si dimetta prima dell'inizio dei negoziati di pace è "irrecepibile".
Se le parole di Kerry rispecchiano un autentico mutamento di rotta nell'atteggiamento degli USA, si tratta di qualcosa di molto significativo. C'è ragione di pensare che potremmo finalmente trovarci davanti al risultato del lungo e aspro confronto che a Washington ha contrapposto quanti affermano che la cacciata di Assad era condizione necessaria e sufficiente per la fine del conflitto in Siria, e "coloro che pensano che pretendere la fine di Assad significhi impedire più ampi sforzi per la sconfitta dello stato islamico", per dirla con Josh Rogin.
Chiedersi se la fine di Assad farebbe sgonfiare come un pallone lo jihadismo wahabita è un po' come il dilemma dell'uovo e della gallina. Invece di fissarsi su questioni del genere, a Washington potrebbero aver finalmente capito che né l'Iran né Hezbollah né tantomeno Russia hanno mai creduto neppure per un attimo alla narrativa statunitense secondo la quale l'abbandono del potere da parte di Assad avrebbe in qualche modo fatto collassare lo Stato Islamico, e che le forze ribelli più responsabili si sarebbero rivolte contro di esso per distruggerlo definitivamente.
La verità è più semplice: Russia ed Iran non accetteranno mai una qualsiasi vittoria jihadista in Siria. Su questo punto non si transige, e Mosca non lascerà che gli Stati Uniti the capitino lo stato siriano. Sembra che Kerry abbia intuito che per l'AmeriKKKa continuare ad insistere sulla linea politica che impone l'abbandono del potere da parte di Assad non può che portare ad uno scontro inevitabile con la Russia, con l'Iran e con Hezbollah. Deve esser stato questo, a convincere alla fine Kerry che occorreva cambiare politica.
Effettivamente, sembra vi sia stato un mutamento di rotta. Più o meno nello stesso istante in cui Kerry prendeva la parola a Mosca, il vicepresidente Joe Biden parlava al telefono con il primo ministro iracheno:
Considerare terroristiche Ahrar al Sham e Jabhat al Nusra ha davvero un senso, se gli Stati Uniti -come afferma Kerry- hanno abbandonato l'idea di rovesciare il governo di Damasco. Non c'è nessun motivo per cui i servizi segreti statunitensi ed europei dovrebbero soffiare sul fuoco di questi movimenti imprevedibili, pericolosi e brutali tramite i loro alleati turchi, qatarioti e sauditi se Washington ha finalmente capito che abbattere Assad non soltanto non aiuterà a sconfiggere lo stato Islamico -anzi...- ma potrebbe piuttosto portare ad una guerra contro Russia ed Iran.
Le critiche degli interventisti hanno già sottolineato le ampie implicazioni strategiche di un simile cambiamento di politica: Michael Young scrive:
Il rischio in tutto questo è rappresentato dal fatto che Obama è sottoposto a pressioni sul fronte interno e da parte delle lobby che agiscono per conto dei paesi del Golfo. Fino ad oggi si è dimostrato in grado di affossare vari tentativi che avrebbero ulteriormente impegnato l'America per il rovesciamento del governo di Damasco, ma il cambiamento di rotta finalmente deciso gli imporrà di assumere un atteggiamento più propositivo, e di far pesare il capitale politico fin qui accumulato cercando di convincere il congresso a sostenere qualunque accordo politico possa emergere dai negoziati. Un conto è affossare i piani per una zona divieto di sorvolo ostentando un atteggiamento passivo. Un altro conto è esporsi in favore di una situazione politica siriana che contempli la permanenza al potere da parte di Assad.
Obama farà questo passo? Sarà in grado di farlo?
Kelly ha anche detto che la pretesa dell'opposizione "moderata" che Assad si dimetta prima dell'inizio dei negoziati di pace è "irrecepibile".
Se le parole di Kerry rispecchiano un autentico mutamento di rotta nell'atteggiamento degli USA, si tratta di qualcosa di molto significativo. C'è ragione di pensare che potremmo finalmente trovarci davanti al risultato del lungo e aspro confronto che a Washington ha contrapposto quanti affermano che la cacciata di Assad era condizione necessaria e sufficiente per la fine del conflitto in Siria, e "coloro che pensano che pretendere la fine di Assad significhi impedire più ampi sforzi per la sconfitta dello stato islamico", per dirla con Josh Rogin.
Chiedersi se la fine di Assad farebbe sgonfiare come un pallone lo jihadismo wahabita è un po' come il dilemma dell'uovo e della gallina. Invece di fissarsi su questioni del genere, a Washington potrebbero aver finalmente capito che né l'Iran né Hezbollah né tantomeno Russia hanno mai creduto neppure per un attimo alla narrativa statunitense secondo la quale l'abbandono del potere da parte di Assad avrebbe in qualche modo fatto collassare lo Stato Islamico, e che le forze ribelli più responsabili si sarebbero rivolte contro di esso per distruggerlo definitivamente.
La verità è più semplice: Russia ed Iran non accetteranno mai una qualsiasi vittoria jihadista in Siria. Su questo punto non si transige, e Mosca non lascerà che gli Stati Uniti the capitino lo stato siriano. Sembra che Kerry abbia intuito che per l'AmeriKKKa continuare ad insistere sulla linea politica che impone l'abbandono del potere da parte di Assad non può che portare ad uno scontro inevitabile con la Russia, con l'Iran e con Hezbollah. Deve esser stato questo, a convincere alla fine Kerry che occorreva cambiare politica.
Effettivamente, sembra vi sia stato un mutamento di rotta. Più o meno nello stesso istante in cui Kerry prendeva la parola a Mosca, il vicepresidente Joe Biden parlava al telefono con il primo ministro iracheno:
il vicepresidente ha notato che il recente spostamento di truppe turche nel Nord dell'Iraq è avvenuto senza il preventivo consenso del governo iracheno. Entrambi i leader hanno ben accolto i primi indizi del ritiro di parte delle forze schierate ed hanno convenuto sul fatto che il ritiro deve continuare, ripetendo che qualsiasi forza straniera può trovarsi in Iraq soltanto con il permesso del governo locale e con il suo coordinamento. Il vicepresidente ha ribadito l'impegno degli Stati Uniti al rispetto della sovranità dell'Iraq e della sua integrità territoriale; ha esortato la Turchia a comportarsi allo stesso modo ordinando il ritiro dal territorio iracheno di tutte quelle forze che non fossero state autorizzate dal governo.In altre parole si è compiuto un completo dietro front rispetto alla narrativa della Nato secondo cui l'incursione turca in Iraq aveva una sua giustificazione; Biden si è limitato a notare che l'azione turca era contro la legge, ed ha invitato la Turchia a ritirarsi dall'Iraq. Ma non basta. Gli Stati Uniti hanno chiesto con insistenza agli iracheni di chiudere la frontiera con la Siria, e circolano voci insistenti secondo cui la Giordania avrebbe aggiunto Ahrar al Sham a Jabhat al Nusra e allo Stato Islamico alla lista di quelle che considera organizzazioni terroristiche.
Considerare terroristiche Ahrar al Sham e Jabhat al Nusra ha davvero un senso, se gli Stati Uniti -come afferma Kerry- hanno abbandonato l'idea di rovesciare il governo di Damasco. Non c'è nessun motivo per cui i servizi segreti statunitensi ed europei dovrebbero soffiare sul fuoco di questi movimenti imprevedibili, pericolosi e brutali tramite i loro alleati turchi, qatarioti e sauditi se Washington ha finalmente capito che abbattere Assad non soltanto non aiuterà a sconfiggere lo stato Islamico -anzi...- ma potrebbe piuttosto portare ad una guerra contro Russia ed Iran.
Le critiche degli interventisti hanno già sottolineato le ampie implicazioni strategiche di un simile cambiamento di politica: Michael Young scrive:
[In questo modo] si passa la palla ai sauditi e ai turchi, che sono quelli che dovranno convincere l'opposizione a partecipare a dei negoziati in cui non è prevista alcuna scadenza per l'abbandono del potere da parte di Assad. [Nessuno dei due] paesi [ha] molta scelta, perché qualunque tentennamento verrà ritratto come diretto a sabotare il raggiungimento di un accordo e ad aiutare gli jihadisti. Ecco perché nel corso della settimana i sauditi hanno preso l'iniziativa di mettere in piedi una coalizione di paesi musulmani contrari allo Stato Islamico.Allo stesso modo, il fatto di essersi finalmente decisi a considerare la Russia un possibile partner in Siria implica di rivedere almeno in parte l'idea che Putin debba essere messo all'angolo e ritratto come un debole. Almeno in termini logici le cose stanno in questo modo. Il fatto è che come ha notato Stephen Cohen, decano degli specialisti statunitensi di questioni russe, in via ufficiale a Washington e nei vari think tank del paese non esiste assolutamente alcun sostegno ad un processo di distensione con la Russia. Cohen sottolinea il fatto che questa persistente ostilità è peggiore di quella della guerra fredda, perché all'epoca la distensione aveva almeno qualche sostenitore.
Il rischio in tutto questo è rappresentato dal fatto che Obama è sottoposto a pressioni sul fronte interno e da parte delle lobby che agiscono per conto dei paesi del Golfo. Fino ad oggi si è dimostrato in grado di affossare vari tentativi che avrebbero ulteriormente impegnato l'America per il rovesciamento del governo di Damasco, ma il cambiamento di rotta finalmente deciso gli imporrà di assumere un atteggiamento più propositivo, e di far pesare il capitale politico fin qui accumulato cercando di convincere il congresso a sostenere qualunque accordo politico possa emergere dai negoziati. Un conto è affossare i piani per una zona divieto di sorvolo ostentando un atteggiamento passivo. Un altro conto è esporsi in favore di una situazione politica siriana che contempli la permanenza al potere da parte di Assad.
Obama farà questo passo? Sarà in grado di farlo?