<
Gli attacchi nella Repubblica Francese del 13 novembre 2015 hanno ridato la sveglia all'occidentalame da gazzetta, che tra le altre cose ha nuovamente statuito in blocco le virtù profetiche della "scrittrice" che questo blog è nato per irridere e disprezzare.
Naturalmente quello che è successo è soltanto colpa della classe politica francese liberissimamente eletta, che nel caso venisse colta da un improbabile soprassalto di dignità farebbe bene a leccarsi le ferite e a mettersi ad aspettare la prossima strage invece di starnazzare di spietatezza e di altrui invidia, in questo aiutata da pennaioli che hanno allagato con la solita roba ogni spazio a disposizione. Nel "paese" dove mangiano spaghetti ha imperversato per qualche ora un certo Ezio Mauro, che è uno dei tanti inutili e strapagati che in questi casi se ne viene fuori a dire che "L'Occidente è sotto attacco perché la nostra [la loro] libertà fa paura". Tocca ripetersi, e ricordare che in "Occidente" si gode di tante e tali libertà che è sufficiente alzare un po' la voce al pallonaio per vedersela con la polizia politica, dal momento che gli unici comportamenti non sanzionati (e neppure in tutti i casi) sono soltanto quelli di consumo, con un coro intonato di gazzettieri ad approvare con sistematicità ogni inasprimento di leggi e di pene.
Ormai gli esponenti della "libera informazione" e la torma di cinguettatori, autoschedati, caduti dal pero, begli spiriti e bambini viziati cui forniscono visibilità mediatica ricordano la caricaturale Principessa Vespa di un vecchio film di Mel Brooks, che bersagliata da decine di cannoncini laser non trova di meglio che esclamare, con un tono fra il sorpreso e l'indignato: "Ma non possono farlo... Io sono ricca!!". A sentir loro, ogni tanto qualche malvagio metafisico si alza dal letto la mattina e decide di punire l'"Occidente" perché è troppo libero.
Nelle realtà normali ovviamente le attribuzioni causali prendono tutt'altre e ben più realistiche strade. Nella Repubblica Islamica dell'Iran il quotidiano Vatan-e Emruz ha mostrato una foto dei fatti di Parigi con la scritta befarmâyid shâm. Befarmâyid shâm dovrebbe essere anche il titolo di una serie televisiva, e significare qualcosa come “prego, la cena [è pronta]”.
Come dire, "Eccovi serviti".
Il gioco di parole sta nel fatto che shâm, oltre che “cena” vuol dire anche “Siria”.
Chi semina raccoglie.
O meglio, manda a raccogliere i malcapitati lì per caso, perché ai seminatori nessuno arriva mai a chiedere conto.
Il Presidente della Repubblica Islamica dell'Iran è stato tra i pochi che si sono fatti la voce roca a ripetere che soffiare sul fuoco di una "ribellione moderata" che in Siria esisteva solo nelle relazioni dei mai abbastanza disprezzati think tank statunitensi -tutto andava bene pur di far fuori Assad- non era proprio una pensata costruttiva.
Naturalmente, trattandosi di un retrogrado in caffetano che passa ad impiccare omosessuali tutto il tempo che non passa a lapidare adultere, nessuno lo è stato nemmeno a sentire.
Ora, il mainstream purulento di ciance sui "monsummani che odiano la libertà" tende a sorvolare sulle non troppo residuali responsabilità di chi ha trescato per decenni con l'estremismo sunnita, sfasciato l’Iraq, distrutto la Siria, cancellato la Grande Jamahiria Araba di Libia Popolare e Socialista e messo in moto un'ondata migratoria cui si è pensato bene di rispondere coi reticolati -incolpandone Bashar al Assad e il suo regime- intanto che sta aiutando l'Arabia Saudita nella sua aggressione allo Yemen.
In realtà si tratta di un aspetto parziale del problema, forse addirittura di un aspetto secondario, essendo stato senz'altro più determinante ancora l'approccio che la politica francese ha tenuto per decenni sui problemi delle banlieues e della racaille che ci vive, utile soltanto a rastrellare i voti di un elettorato viziato e incattivito.
In realtà si tratta di un aspetto parziale del problema, forse addirittura di un aspetto secondario, essendo stato senz'altro più determinante ancora l'approccio che la politica francese ha tenuto per decenni sui problemi delle banlieues e della racaille che ci vive, utile soltanto a rastrellare i voti di un elettorato viziato e incattivito.
Si dice in ogni caso che del senno di poi siano piene le fosse: il potere "occidentale" riesce a fare ovviamente di meglio, perché non arriva nemmeno a concepire una qualche resipiscenza tardiva.
Il brano qui tradotto risale al 2011 ed è ancora leggibile sul sito di uno di quegli organismi statunitensi citati per acronimo come se fossero degli oracoli ogni volta che la "libera informazione" deve raccontare ai sudditi come mai si sta preparando un'altra guerra, con le sue preventivate vittorie e democratizzazioni.
Questo qui ha anche il coraggio di chiamarsi "Istituto della Pace": fondato dal Congresso nel 1984, dice di servire alla prevenzione non violenta e come calmiere dei conflitti all'estero.
Il John McCain protagonista del testo è uno yankee da caricatura, sfidante per il partito repubblicano alle elezioni del 2008. All'epoca delle elezioni e per poche settimane nella penisola italiana vennero per sapiente caso pubblicizzate a tappeto le patatine fritte omonime, assecondando per motivi commerciali le competenze di sudditi che più in là non ci andavano e non ci vanno, ma al tempo stesso fornendo un paragone inequivocabile delle competenze profuse da questo individuo in materia di geopolitica e di politica estera.
Forse non è sufficientemente chiaro che è ad elementi come questo che l'elettorato "occidentale" delega di solito responsabilità vitali.
Le parole di McCain rappresentano un ritratto preciso della faciloneria incosciente che muove l''imperialismo "occidentale" e fanno di lui un pessimo profeta solo per quanto riguarda i risultati. Lo stato che occupa la penisola italiana si è sempre fatto un dovere di assecondare questi demiurghi da strapazzo: nel caso specifico ha partecipato con Arabia Saudita, USA, Turchia, Qatar, Regno Unito, Francia, Emirati Arabi Uniti, Germania e Giordania ad una rete di "amici della Siria" che in previsione di facili bottini arrivò a contare un centinaio di stati sovrani, ridottisi alla mezza dozzina su elencata appena le cose si rivelarono più complicate del previsto.
Secondo il senatore John McCain gli USA devono sostenere la Primavera Araba.
20 maggio 2011 - Gordon Lubold
Il senatore John McCain considera la Primavera Araba come l'evento maggiormente ricco di cosnseguenze dopo la caduta dell'Impero Ottomano: per gli USA è "un momento in cui mettere in chiaro che cosa sosteniamo, non soltanto a cosa ci opponiamo".
Il 19 maggio il senatore McCain ha tenuto all'Istituto degli Stati Uniti per la Pace il discorso annuale in onore di Dean Acheson in cui ha espresso apprezzamento per il coraggio con cui il Presidente Barack Obama ha condotto il raid contro Osama bin Laden. Un'operazione condotta in modo da risparmiare vite tra il personale dei servizi e gli americani in generale, ha detto.
In un discorso tenuto all'Istituto degli Stati Uniti per la Pace poche ore dopo quello del Presidente Obama sul Medio Oriente, il senatore McCain ha fatto riferimento ai recenti disordini nel mondo arabo dicendo che questi sviluppi rappresentano "una domanda corale di dignità, di opportunità economiche e di mutamenti politici pacifici".
"Si dovrebbe anche smetterla con la brutta presunzione, troppe volte sentita nel corso degli ultimi dieci anni, che vuole il mondo arabo in qualche modo condannato al dispotismo: come se a differrenza di tutti gli altri popoli gli arabi non fossero pronti o non fossero adatti alla democrazia", ha detto il senatore nel salone della sede principale che l'Istituto ha a Washington.
Il senatore McCain ha invocato il rovesciamento dei governi antiamericani, il consolidamento delle nascenti democrazie e la riforma delle autocrazie filoamericane, oltre alla ripresa del processo di pace tra stato sionista e palestinesi, riecheggiando molti tra gli argomenti che il Presidente Obama aveva già affrontato nel suo discorso.
Il repubblicano dell'Arizona guarda con ottimismo all'ondata di rivoluzioni che sta percorrendo il Medio Oriente e il Nord Africa, ma spera che gli USA faranno tutto quanto in loro potere per cogliere l'occasione e non sprecarla. In questo momento è imporante essere uniti, secondo lo stesso spirito che Acheson seppe tenere vivo durante la Guerra Fredda.
"Non possiamo farci paralizzare da questo terremoto: anzi, dobbiamo adoperarci per dargli un indirizzo", ha detto.
I paesi in cui ci sono governi incompatibili con un Medio Oriente libero devono essere costretti al cambiamento. Gli Stati Uniti devono sostenere il Movimento Verde in Iran, ad esempio, sottoponendo quel paese a sanzioni efficaci.
Riguardo alla Siria, il senatore McCain ha detto che poche cose sarebbero peggio del Presidente siriano Bashar al Assad, e che gli USA devono intervenire per rovesciare il governo.
"Pensare che nonostante tutto Bashar al Assad sia un riformatore significa fare esercizio di grossolano autoinganno", ha detto McCain, sottolineando il fatto che il governo di Assad ha "le mani sporche del sangue di centinaia di soldati statunitensi e di innumerevoli civili iracheni".
"Dobbiamo fare tutto quello che possiamo, tranne che intervenire militarmente, per agevolare il successo della rivoluzione siriana", ha detto il senatore McCain affermando che avrebbe "fatto pressioni sull'amministrazione" perché continui ad "inasprire la pressione" sulla Siria, insieme all'Unione Europea e alla Turchia. Ha di nuovo espresso apprezzamento per il Presidente Obama, per le misure che l'amministrazione ha preso contro il governo siriano, anche se ha esortato la Casa Bianca affinché esorti pubblicamente il presidente siriano a fare un passo indietro.
Per quanto riguarda la Libia, il senatore McCain vorrebbe che gli USA abbandonassero la linea fin qui seguita, fatta di "crescenti pressioni sul leader libico Muhammar Gheddafi, per adottare invece sistemi più incisivi". McCain ha detto che gli piacerebbe che i cacciabombardieri USA "tornassero in azione" per distruggere i centri di comando e controllo di Gheddafi e che il governo statunitense riconoscesse il consiglio nazionale di transizione di Bengasi come "voce legittima" del popolo libico. Il Congresso potrebbe trasferire così miliardi di dollari che si trovano nei conti congelati di Gheddafi al popolo libico, mettendo da parte la preoccupazione che i capi dell'opposizione libica come i Fratelli Musulmani o altri possano essere potenziali terroristi. "Se questa gente è di Al Qaeda, amici miei, allora io sono un liberaldemocratico", ha detto il senatore McCain.
In altri paesi gli USA sono stati criticati per aver tiepidamente osteggiato governi che la gente voleva cambiare, come nel Bahrein. "Gli Stati Uniti dedicano ogni cura alla loro relazione con il Regno del Bahrein e ai rapporti che coltivano con i paesi vicini del Golfo Persico, ma oggi come oggi vogliamo che questi paesi rimangano dal lato giusto della storia, perché si tratta di paesi dove gli Stati Uniti devono rimanere, e dove rimarranno". Adesso è difficile per gli Stati Uniti assecondare il processo che ha preso il via nel luogo natale della Priavera Araba, ha detto McCain.
"Mentre lavoriamo per sostenere le rivoluzioni democratiche in Iran, in Siria e in Libia, il nostro prossimo obiettivo dovrebbe essere il consolidamento del processo democratico in quei paesi dove esso è già iniziato, come la Tunisia e l'Egitto". In tutti e due i paesi l'attivismo politico è letteralmente esploso, specialmente in Tunisia dove sono ormai sessantacinque i partiti politici ufficiali.
"Tutti e due i paesi dovranno affrontare seri problemi economici nell'immediato futuro come conseguenza delle rivoluzioni", ha detto McCain. Il turismo ha sofferto un duro colpo, come ha potuto constatare assieme al senatore Joseph Lieberman del Connecticut, con cui si è recato in viaggio in Tunisia alloggiando in un grande hotel della capitale che ospitava solo loro. In un momento tanto difficile della loro storia, questi paesi hanno bisogno di un sostegno economico perché "E' l'economia che determinerà in larga misura la loro sorte politica".
Questo non significa, ha ripreso McCain, che gli USA debbano distribuire aiuti a pioggia. Al Congresso siedono oggi eletti che hanno il mandato elettorale di tagliare le spese, sicché non è che gli USA possano varare un Piano Marshall per aiutare i paesi attraversati dalla Primavera Araba. L'obiettivo invece deve essere quello di raggiungere accordi di libero scambio, di trovare "modi creativi" per mobilitare il sostegno del settore privato americano e la generosità di paesi come il Qatar, in modo da sostenere queste economie traballanti.
Il senatore McCain ha anche ribadito il suo sostegno per un esito del confronto tra stato sionista e palestinesi che contempli la creazione di due stati: i palestinesi riconoscano lo stato sionista, e tutti vivano fianco a fianco in pace e in sicurezza. McCain è preoccupato dal fatto che "una situazione bloccata o in via di peggioramento" tra stato sionista e palestinesi possa avere un qualche ruolo nelle vicende politiche della Primavera Araba.
Affrontando nuovamente nel suo discorso lo riuscito raid in cui è stato ucciso Bin Laden, il senatore McCain ha detto di aver provato soddisfazione nel sapere che Bin Laden aveva potuto assistere alla nascita di quella Primavera Araba che sembra davvero in antitesi ad un'esistenza all'insegna dell'assassinio e della distruzione di massa come quella che gli era stata propria.
"Potrebbe essere la campana a morto per quel tipo di terrorismo su scala planetaria che ha attaccato noi dieci anni fa: per quel che mi riguarda sono contento che Osama Bin Laden abbia potuto sentirla, appena prima che una squadra di eroi americani mettesse fine alla sua scellerata vita", ha detto McCain.
Il testo completo del discorso è reperibile qui.
United States Institute of Peace 2301 Constitution Avenue NW, Washington, DC 20037 Tel: +1.202.457.1700