Traduzione dallo Huffington Post, 9 ottobre 2015.
Beirut - Appena la Russia ha dato il via alla prima fase della propria campagna militare in Siria i media di tutto il mondo hanno risposto con una epica bordata di invettive contro il Presidente Putin e deprecando le motivazioni strategiche che hanno portato i russi in Siria. Questa campagna di "informazione" rappresenta la recrudescenza di un riflesso nervoso della Guerra Fredda, o dietro c'è in azione qualcosa di più profondo?
La reazione dell'amministrazione statunitense all'iniziativa russa è stata titubante. Dapprincipio a Washington hanno assunto un atteggiamento del tipo "si va avanti come al solito" facendo pensare che i bombardamenti aerei fatti dagli USA e dai loro alleati sarebbero proseguiti senza cambiamenti. Poi però sembra che l'amministrazione sia rimasta abbacinata dalla velocità e dalla portata dell'azione russa. La scorsa settimana un funzionario russo è arrivato all'ambasciata statunitense di Baghdad per annunciare l'immediato avvio delle operazioni aeree in Siria e a chiedere con insistenza che gli USA quel giorno tenessero i loro aerei e i loro uomini fuori dallo spazio aereo siriano. Da allora la cadenza degli attacchi aerei russi è stata impressionante ed ha lasciato poco o punto spazio agli altri.
Andare avanti come se nulla fosse, in questi casi, non è una soluzione troppo praticabile se si vuole evitare qualche grosso incidente aereo nei cieli siriani. Gli oppositori del Presidente Obama sono subito saltati su: Putin stava lasciando l'AmeriKKKa spiazzata un'altra volta. Il Segretario di Stato John Kerry ha chiesto a gran voce un coordinamento delle azioni militari che permettesse almeno agli aerei della coalizione statunitense di restare in volo e di continuare ad essere della partita.
In secondo luogo, gli USA hanno cercato di riprendere in mano l'iniziativa politica riconoscendo alla Russia il ruolo militare ma cercando al tempo stesso di mettere dei paletti -in sostanza, la rimozione del Presidente Bashar al Assad- che contemplino rimaneggiamenti nella leadership siriana sufficientemente grandi da lasciare che in essi l'AmeriKKKa abbia la maggior voce in capitolo. Anche il Regno Unito e la Francia si sono fatti sentire, per assicurarsi il diritto ad influenzare il risultato finale qualunque esso sia.
In tutti questi maneggi e in tutte queste schermaglie retoriche gli USA hanno pensato a rivedere senza tanto chiasso la propria posizione nei confronti della composizione politica su cui sembra si stia ora concentrando l'attenzione. A Londra e a Berlino il Segretario Kerry ha stemperato l'assoluta contrarietà degli USA alla permanenza in carica del Presidente Assad: ora, a sentir lui, Assad potrebbe restare per una fase di transizione, per quanto lunga essa possa essere "o che altro", chiudendo col dire che in fin dei conti tocca al popolo siriano decidere (cfr qui). Mercoledi Kerry si è anche spinto oltre e ha detto qualcosa di altrettanto significativo: al termine dei colloqui avuti con il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov Kerry ha affermato che la Siria deve restare "unita... e laica". Un cambiamento rimarchevole, anche se poco ostentato, perché mette fuori dal gioco i Fratelli Musulmani e gli jihadisti, ovvero tutte le formazioni islamiche che non accettano l'esistenza di uno stato laico; ad essere chiari questo significa che anche i gruppi protetti dai paesi del Golfo avranno al massimo le briciole.
Sicuramente Lavrov ha spiegato chiaramente a Kerry che Assad aveva detto ai russi di essere pronto ad introdurre riforme ed un orientamento politico diverso e che i russi gli credono. Forse gli ha anche spiegato che peculiari circostanze di tipo storico impediscono che in Siria la cooptazione al potere dei Fratelli Musulmani rappresenti una prospettiva praticabile. Fatto sta che Kerry ha cambiato tono.
A questo punto pare che gli USA abbiano adottato una terza tattica, quella del contenimento, vecchio cavallo di battaglia: è in corso una massiccia guerra dell'informazione che ha lo scopo di far pensare che i russi si siano impegnati solo ad attaccare lo Stato Islamico e nessun altro, quando invece i russi non hanno mai espresso simil intenzioni. Anzi, Lavrov ha detto chiaramente che la Russia sta colpendo sia lo Stato Islamico sia "altri gruppi terroristi", come aveva sempre "detto che avrebbe fatto". La battaglia della propaganda continua lo stesso, per mantenere la Russia sotto pressione e per arginare la sua campagna militare. Funzionari ameriKKKani hanno ammesso pubblicamente che nel contesto dell'opposizione armata al governo siriano i "moderati" si sono rivelati rari come i mitici unicorni e che sul campo se ne potevano contare giusto "quattro o cinque"; sicché sembra che all'improvviso ad essere nel mirino siano tutti questi "moderati addestrati dalla CIA". In effetti gli "jihadisti moderati" non esistono, sarebbero una contraddizione in termini. Ci sono solo jihadisti più o meno vicini allo Stato Islamico, più o meno vicini ad al Qaeda. Ma è una questione di definizioni, che alla Russia non interessa.
Dalla sua ben guarnita posizione Tom Friedman inquadra gli eventi in modo un po' diverso. Putin e i suoi alleati vadano pure in guerra contro lo Stato Islamico, con tanti auguri a tutti. Quando falliranno e si accorgeranno che tutto il mondo sunnita gli si è ritorto contro, i russi avranno bisogno di qualcuno che li aiuti ad uscire dal ginepraio, e a questo punto soltanto Washington sarà in grado di aiutare Putin a rimediare al proprio errore strategico. Questa ipotesi è troppo riduttiva. Putin conosce bene la differenza che esiste tra il tradizionale Islam sunnnita del Levante e lo wahabismo militante dei paesi del Golfo che vi ha fatto irruzione negli ultimissimi tempi e che è ostile all'Islam sunnita tradizionale in Siria ed in Iraq. Putin sa anche che molti sunniti si attengono ancora al concetto di cittadinanza in uno stato laico o non settario e che la Siria e l'Iraq sono eredi delle venerabili ed antiche civiltà sira e mesopotamica e che ciascuno ha una cultura ed una visione politica propria. La lotta contro le contemporanee accezioni dello wahabismo non ha mai coinciso con una riduttiva schermaglia tra una minoranza sciita (gli alawiti) e una maggioranza sunnita; è piuttosto una lotta che mira a conservare la tradizione levantina, opposta ad una cultura straniera che è quella del Golfo, lo wahabismo che si è riversato in Medio Oriente galleggiando sui petrodollari.
Per quale motivo il Presidente Putin avrebbe una miglior comprensione di questo conflitto tra culture rispetto ai leader occidentali? La cristianità ortodossa russa non ha mai contemplato l'opposizione binaria contemplata dall'Occidente, con cristianità romana da una parte ed Islam dall'altra. Il cristianesimo ortodosso e l'Islam sunnita tradizionale condividono molti concetti ed hanno una storia di fitte relazioni.
Gli "jihadisti moderati" non esistono, sarebbero una contraddizione in termini. Ci sono solo jihadisti più o meno vicini allo Stato Islamico, più o meno vicini ad al Qaeda. Ma è una questione di definizioni, che alla Russia non interessa.
Cosa stanno facendo dunque i russi? In primo luogo stanno colpendo una serie di bersagli "terroristici" messa insieme dai servizi di informazione siriani, russi, iraniani e di Hezbollah. Non è probabile che questa fase duri molto a lungo: alla prassi in atto verranno apportati gli opportuni cambiamenti. Una volta distrutti i bersagli principali, inizierà un'offensiva di terra condotta dall'Esercito Arabo Siriano con il diretto sostegno di Hezbollah e con le indicazioni di funzionari russi ed iraniani. La differenza sarà nel fatto che le forze di terra potranno avvalersi di un appoggio aereo ognitempo e notturno, oltre che di immagini in tempo reale. I soldati russi non saranno direttamente coinvolti in operazioni sul campo in sostegno dei siriani, ma dovranno rendere sicura una zona attorno alla loro base aerea di Lattakia. Conseguenza di quanto riusciranno a garantire in fatto di sicurezza per la zona sarà una maggiore disponibilità di truppe per l'esercito siriano che non dovrà farne stazionare in zona e potrà destinarle ad altri compiti.
Per adesso i russi, come si nota dagli attacchi compiuti, sembra siano essenzialmente dediti ad eliminare qualunque minaccia si trovi vicina alle loro forze a Lattakia: la base russa si trova venti chilometri a sud della città. Dal punto di vista militare è un modo di agire normale. In secondo ed in terzo luogo cercheranno probabilmente di rendere sicura l'autostrada M4 che va da Lattakia ad Aleppo, colpendo le sacche di insorti che si trovano a ridosso, e di colpire le zone in mano ai ribelli che si trovano lungo l'autostrada M5.
Non esiste nulla di politico dietro questi attacchi: non sono cose fatte per favorire un gruppo di oppositori a scapito di un altro. Sembra molto chiaro invece che i russi stanno preparando la successiva ripulitura del terrreno ad opera dell'Esercito Arabo Siriano. Gli aerei russi mettono al sicuro le linee di rifornimento per le truppe di terra, e al tempo stesso colpiscono quelle degli jihadisti. Si tratta di questioni di tipo sostanzialmente militare, ed in linea con quanto i russi dicono di avere per obiettivo.
Perché allora questa ondata di commenti infastiditi, di disinformazioni, di asserzioni secondo cui la strategia dei russi starebbe perseguendo fini reconditi? Che cos'è che irrita tanto l'Occidente? Di sicuro c'è che Putin ha messo Washington davanti al fatto compiuto e ha fatto apparire inconsistente un anno e mezzo di affermazioni occidentali sulla lotta allo Stato Islamico. Ma potrebbe esserci dell'altro.
Negli ultimi decenni, la NATO ha in pratica assunto qualsiasi decisione in materia di guerra e di pace. Non aveva opposizione e non aveva rivali. La guerra -il farla, il non farla, il come farla- era di fatto materia per un mero dibattito in seno all'alleanza. Questi erano i fatti; il pensiero e le azioni altrui non contavano poi molto, e i destinatari finali dovevano semplicemente sopportare. Solo che mentre era evidente la portata distruttiva di tutto questo, i vantaggi strategici non lo sono mai stati, in Medio Oriente meno che mai.
A pungere sul vivo l'Occidente probabilmente è soprattutto il fatto che la Russia ha preparato e cominciato in un batter d'occhio una campagna militare sofisticata. La NATO ha una serie di strutture intricate che la rendono molto più titubante: gli iracheni hanno a lungo lamentato il fatto che dal punto di vista militare l'assistenza loro promessa dalle potenze della NATO ci mette letteralmente degli anni a concretizzarsi, mentre le richieste indirizzate a Russia ed Iran trovano velocemente soddisfazione. Nella condiscendenza ostentata da Tom Friedman verso l'intervento militare russo c'è dunque più orientalismo che altro.
Tutta questa cagnara probabilmente nasce anche dalla consapevolezza del fatto che l'iniziativa russa potrebbe anche segnare la nascita di qualcosa di più serio; l'Organizazione per la Cooperazione di Shanghai potrebbe assumere il ruolo di alleanza militare. Certo, gli appartenenti all'alleanza dei "quattro più uno", Russia, Iran, Siria, Iraq e Hezbollah, non portano le insegne dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, né coloro che ne fanno parte coincidono con gli appartenenti ad essa. Tuttavia questa alleanza potrebbe essere esperienza pilota nel campo delle cooperazioni di successo al di fuori dell'àmbito occidentale. Inoltre, il suo obiettivo è esattamente quello di impedire il concretizzarsi dei progetti di rovesciamento del governo che sono nello stile della NATO e che sono la prima preoccupazione dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Questa prospettiva irriterebbe di sicuro l'establishment della sicurezza occidentale e potrebbe mandare all'aria i calcoli della NATO in più di un caso.
Quindi non sorprende che in qualche conventicola occidentale si possa pensare importantissimo costruire una narrativa sul fallimento dei "quattro più uno", e negare in tutto e per tutto che questo precedente militare possa avere una qualche importanza strategica per il mondo non occidentale.