Traduzione da Conflicts Forum.
Difficile pensare a un cambio di registro più drastico. Sei mesi fa il Segretario alla Difesa del Regno Unito, Philip Hammond, aveva detto che il Presidente Putin era in potenza la "minaccia singola più grave" per la sicurezza della Gran Bretagna, e ne denunciava il comportamento "oltraggioso e fuori dal tempo": un "despota di metà ventesimo secolo" che -attenzione- "avrebbe pagato caro per quello che faceva in Ucraina". Il 18 settembre 2015 il signor Hammond era ritto accanto a John Kerry a Londra, il quale stava dicendo: "Lo Stato Islamico viene sempre più considerato una minaccia da ogni ente, da ogni paese del mondo. E lo Stato Islamico è... a tal punto una minaccia, che la Russia ha deciso di concentrare contro di esso i propri sforzi, cosa che accogliamo di buon grado" [il corsivo è di Conflicts Forum].
Kerry metteva l'accento sulla positiva reazione di Washington all'impegno di Putin in Siria, e sia Hammond che lui hanno pensato bene di evitare qualunque critica alla Russia. Un commentatore maligno ha notato: "Le questioni dei militari russi nel Donbass, dell'annessione della Crimea e delle sanzioni occidentali non sono state neanche sfiorate. Kerry ha d'altronde fatto presente a Kiev che gli accordi di Minsk rappresentano l'unica strada possibile ed è stato perentorio nel concludere che tutti devono impegnarsi per la loro piena messa in pratica. Ha persino avuto qualche parola di stima per l'influenza moderatrice della Russia sui separatisti del Donbass". E' altrettanto significativo che Kerry abbia detto anche:
"Riguardo ad Assad e alla sua lunga permanenza al potere, quello che ho detto qui concorda con quello che ho sempre sostenuto... Assad deve andarsene. Quanto ci vorrà e come questo avverrà, è cosa che andrà decisa nell'àmbito del processo di pace e dei negoziati di Ginevra. Noi abbiamo detto per un po' che non è che ci devono essere un giorno preciso, un mese preciso o che altro...[il corsivo è di Conflicts Forum].Io non posso dare una scansione dei tempi. So soltanto che il popolo siriano ha già mandato un segnale mettendosi le gambe in spalla e cominciando ad abbandonare la Siria... Questo lo sanno tutti. Sicché, che legittimità avrà in futuro [il Presidente Assad]? Certo che alla fin fine sarà il popolo siriano a decidere. Quello che pensiamo noi è molto chiaro.Tuttavia c'è bisogno di arrivare a dei negoziati; stiamo cercando di arrivarci e speriamo che la Russia ed ogni altro paese influente -come l'Iran- ci aiuterà in questo perché qui sta il punto che impedisce la fine della crisi. Noi siamo pronti a negoziare".
A domanda su un aereo russo individuato nello spazio aereo siriano, Kerry ha risposto:
"Chiaro che la presenza di un aereo capace di combattimento aria-aria o di portare missili aria-superficie è causa di interrogativi piuttosto seri; proprio per questo il segretario Carter ha parlato ieri con il Ministro della Difesa russo [Sergej] Shoygu, e proprio per questo abbiamo intrapreso ulteriori colloqui per rispondere a queste domande e per discutere di come evitare che le attività russe confliggano con le nostre. La coalizione contro lo Stato Islamico comprende più di sessanta paesi: c'è bisogno di fare di più? Sì. Accetteremmo volentieri l'aiuto dei russi nella lotta allo Stato Islamico? Certo che sì. Ne abbiamo discusso per un po'".
Pare che questo significhi che le discussioni ci sono state mentre la situazione si evolveva, che questo indichi un mutamento nella politica fin qui seguita e può senz'altro darsi che le cose stiano in questo modo. Una virata abbastanza improvvisa, poi. Fino ad una settimana prima si lavorava ancora alacremente al rovesciamento del governo siriano: Mark Urban della BBC riferisce che "fino ad una settimana fa il Consiglio di Sicurezza [Britannico] prendeva in considerazione ambiziose proposte che contemplavano il posizionamento di armati per la protezione dei civili nel nord della Siria. Questa settimana invece si trova a dover considerare la possibilità che gli aerei che bombardano le zone in mano ai ribelli potrebbero presto essere russi, e non siriani". Per il governo britannico, continua Urban, "che sta seriamente considerando l'idea di arrivare ad una votazione parlamentare sull'intervento armato e si sta adoperando intensamente per sostenere una zona a divieto di sorvolo che fermi i bombardamenti siriani nel nord del paese, l'azione russa costituisce un grosso problema".
L'intervento russo ha scompaginato le carte in tavola. Anche il Presidente Erdogan si è dovuto accorgere che il vento è cambiato. Giovedi 17 settembre, dopo la preghiera dello 'eid al Fitr nella moschea di Solimano -la più grande delle moschee ottomane di Istanbul- ha detto:
"E' possibile che questo percorso [verso la transizione] possa andare avanti senza Assad, o che continui con Assad. In ogni caso, nessuno pensa ad un futuro con Assad in Siria. E' impossibile che [i siriani] tollerino un dittatore che ha portato alla morte di trecentocinquantamila persone".
M. K. Bhadrakumar è un ex ambasciatore indiano in Turchia, e scrive che "queste considerazione erano polemiche, in una certa misura e presentavano un caratteristico carattere erdoganesco. Erdogan è quasi riuscito a sorvolare su quello che può essere visto soltanto come un marcato ammorbidimento delle posizioni turche per quello che riguarda la transizione siriana. E' significativo che Erdogan abbia dovuto recarsi in volo ad Istanbul giovedi pomeriggio direttamente da Mosca, dopo un incontro al Cremlino con Vladimir Putin".
Secondo il signor Lavrov anche il cambio di registro deciso da Washington sarebbe una cosa seria.
"Penso che oggi gli ameriKKKani siano parecchio più sensibili verso le argomentazioni che abbiamo loro presentato nel corso degli ultimi anni. Il Segretario di Stato John Kerry ha reso nota la volontà di Washington di collaborare con la Russia sul problema di una composizione del conflitto in Siria", ha detto Lavrov martedi 15.
"Dopo il colloquio tra il Ministro della Difesa [Sergej] Shoygu e il Segretario alla Difesa Ashton Carter entrambe le parti hanno esplicitamente parlato di valutazioni incoraggianti. Io penso che siano diventati maggiormente consapevoli di come stanno oggettivamente le cose", ha aggiunto.
Fin qui tutto bene. Solo che è ovviamente in corso l'inevitabile marcia indietro. Su Foreign Policy si legge che certi diplomatici statunitensi, capeggiati dalla incallita "interventista liberale" Samantha Power, "hanno zittito" la proposta [russa] di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che impegnasse i paesi membri a combattere con ogni mezzo i terroristi -ivi compresi lo Stato Islamico, Al Qaeda e le varie altre schegge- "facendo naufragare le speranze russe". Foreign Policy dipinge un "[Putin] che arriva a New York la prossima settimana circondato da un'aureola di santità". Secondo Bloomberg invece, che cita due fonti "informate sull'argomento", tutto questo snobismo non avrà grossi effetti: Putin intende procedere, che gli USA siano d'accordo o no ad operare congiuntamente. "La Russia spera che il buon senso prevalga, e che Obama prenda la mano aperta che Putin gli porge", scrive Elena Suponina, esperta di questioni mediorientali allo Institute of Strategic Studies, un think tank consigliere del Cremlino; "Putin andrà comunque avanti, anche se questo non succede".
Se ancora non fosse stato chiaro, il Presidente russo ha giustificato la propria politica durante un'intervista con CBS News rilasciata a Mosca giovedi 17 settembre. Ha detto che non esiste altra soluzione per la crisi siriana se non rafforzare le istituzioni del governo in carica a Damasco e fornirgli assistenza nella lotta al terrorismo. Putin ha detto:
Il problema è questo: l'AmeriKKKa ha qualche alternativa? Cercare di tirar su degli "insorti moderati" perché rimpiazzassero il Presidente Assad e gli alti gradi governativi pieni di militari si è rivelato un falimento spettacoloso. Lo stesso Obama adesso dice che non ha mai creduto all'idea che dei "moderati" si impadronissero in qualche modo della Siria: solo che asserisce che certi appartenenti all'amministrazione se ne erano mostrati così entusiasti che aveva finito per pensarla allo stesso modo, a dispetto della sua migliore capacità di giudizio.
La maggior parte dei paesi europei ad eccezione del riluttante Regno Unito cercano disperatamente di arrivare ad una composizione politica del conflitto siriano, dopo che un'ondata di profughi di dimensioni bibliche ha impelagato l'Europa in quella guerra senza esclusione di colpi. Domenica 20 settembre il Ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeir ha detto a fianco di John Kerry: "Prendo sinceramente atto volentieri... del crescente impegno militare russo in Medio Oriente".
Se ancora non fosse stato chiaro, il Presidente russo ha giustificato la propria politica durante un'intervista con CBS News rilasciata a Mosca giovedi 17 settembre. Ha detto che non esiste altra soluzione per la crisi siriana se non rafforzare le istituzioni del governo in carica a Damasco e fornirgli assistenza nella lotta al terrorismo. Putin ha detto:
"Sono profondamente convinto che al contrario ogni azione avente lo scopo di distruggere il governo legittimo finirà per creare una situazione come quella che si vede in altri paesi della regione o anche altrove, per esempio in Libia, dove tutte le istituzioni statali sono state disintegrate. In Iraq la situazione è simile. Per la crisi siriana non c'è altra possibilità che rafforzare le istituzioni del governo in carica, e aiutarlo nella lotta al terrorismo".Putin ha detto che occorre anche esortare il governo siriano ad "impegnarsi in un dialogo costruttivo con la parte raziocinante dell'opposizione, e a varare delle riforme... Solo il popolo siriano ha il titolo per decidere chi dovrebbe governare in Siria, e come dovrebbe farlo".
Il problema è questo: l'AmeriKKKa ha qualche alternativa? Cercare di tirar su degli "insorti moderati" perché rimpiazzassero il Presidente Assad e gli alti gradi governativi pieni di militari si è rivelato un falimento spettacoloso. Lo stesso Obama adesso dice che non ha mai creduto all'idea che dei "moderati" si impadronissero in qualche modo della Siria: solo che asserisce che certi appartenenti all'amministrazione se ne erano mostrati così entusiasti che aveva finito per pensarla allo stesso modo, a dispetto della sua migliore capacità di giudizio.
La maggior parte dei paesi europei ad eccezione del riluttante Regno Unito cercano disperatamente di arrivare ad una composizione politica del conflitto siriano, dopo che un'ondata di profughi di dimensioni bibliche ha impelagato l'Europa in quella guerra senza esclusione di colpi. Domenica 20 settembre il Ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeir ha detto a fianco di John Kerry: "Prendo sinceramente atto volentieri... del crescente impegno militare russo in Medio Oriente".
La audace mossa che Putin ha compiuto di propria iniziativa è in effetti uno scacco a Washington. Adesso in Siria Obama è inchiodato a due sole alternative. La prima è lasciare che lo Stato Islamico indebolisca lo stato siriano fino ad un auspicato "punto di non ritorno verso il collasso" (e alcuni appartenenti all'amministrazione come il generale Allen vogliono questo) oppure collaborare con la Russia per stabilizzare la Siria ed impedire che tutta la regione piombi nell'anarchia. Una scelta in questi termini non è davvero mai stata un gran che.
Rovesciare il governo siriano è una scelta adesso screditata, ma continuare su quella strada avrebbe portato alla fine Obama a raccontare al popolo ameriKKKano che il suo governo aveva "deliberatamewnte provocato", per dirla con le parole del generale Flyn, la vittoria degli jihadisti non soltanto in Siria, ma forse in larga parte del Medio Oriente. Non sorprende che davanti ad una prospettiva del genere Obama abbia deciso di seguire Putin, anche se questo significa accettare il fatto che Assad rimanga in carica. In questa situazione l'asserzione di Kerry che afferma che dopotutto chi comanda in Siria è questione che riguarda il popolo siriano fa pensare che l'amministrazione statunitense abbia finalmente interiorizzato la realtà.
Su questa virata di centoottanta gradi la retorica politica dell'Occidente e della Turchia sorvola, e insiste sulla necessità di un nuovo "assetto politico", sulle riforme, sulla transizione al governo. La realtà invece mostra una Russia intenta a cambiare la situazione concreta con l'uso della forza militare. Certo, delle riforme ci saranno: ci si sta già lavorando. Certo, arriveranno anche gli accordi politici, ma è più probabile che a tanto si arrivi grazie alla forza dei dati di fatto: Mosca sbatterà le une contro le altre un po' di teste, scegliendole tra quelle di chi non riesce a capire che la musica è cambiata.
Sarà di sicuro assai problematico per gli Stati Uniti coordinare direttamente i propri sforzi con la Russia e con chi le si è alleato in questo progetto (Iran, Siria, Iraq e indirettamente Hezbollah). Solo che la Russia ha messo in piedi la propria formidabile coalizione contro lo Stato Islamico e contro altri gruppi jihadisti intanto che l'AmeriKKKa organizzava la propria, composta da sessanta paesi. Coordinata da Russia ed Iran, l'alleanza è stata con sottile ironia definita dei quattro più uno. Pare ovvio ricordare che i "quattro più uno" non hanno alcuna intenzione di lasciare che gli USA installino a Damasco un governo fantoccio e filooccidentale, e che Mosca non ha intenzione a lasciare che in Siria si installi in futuro un governo vicino all'Occidente, responsabile di gran parte del territorio di quello che è l'enorme bacino petrolifero mediorientale e potenzialmente di un corridoio energetico vitale che potrebbe essere usato per tagliare fuori la Russia dal mercato europeo dell'energia.
Ovviamente la prospettiva che gli USA collaborino, sia pure indirettamente, con un'alleanza come questa farà starnazzare alcuni politici statunitensi. E il pensiero che gli USA si trovino alla fine a dover concedere ai russi che Assad rimanga al suo posto sarà un boccone amaro da buttare giù nel clima di orientamento degli schieramenti che domina la vigilia delle elezioni presidenziali. La riluttanza dominerà la scena ma gli alleati dell'AmeriKKKa, gli europei, vogliono ad ogni costo che in Siria si arrivi ad una soluzione che non comporti quella mareggiata di profughi minacciata da uno Stato Islamico che prenda il sopravvento. Gli europei sosterranno Obama, e la maggior parte degli europei non si sentirà troppo offesa se bisognerà cedere un po' ai russi pur di arrivare ad un accordo politico in Siria.
La questione fondamentale, dietro quello che sembra un cambiamento radicale, sembrerebbe essere il fatto che Obama ha compreso che l'AmeriKKKa non ha più l'energia o la capacità per imporsi su Russia e Cina, specialmente quando i due paesi agiscono di concerto, e che esisteranno occasioni in cui gli USA dovranno evitare di inasprire i rapporti con questi due paesi.
E l'Arabia Saudita, il Qatar, la Giordania? "Anche da quelle parti sono in corso strani tramestii. E' molto importante che nessuno dei tre paesi si laci andare, more solito, ad aspre grida di condanna per quello che la Russia sta facendo in Siria. Ora come ora pare che stiano reagendo fiaccamente, che stiano guardando altrove, come assorti in altri pensieri" nota l'ex diplomatico indiano Bhadrakumar. Troppo presto per trarre conclusioni: tocca aspettare per vedere cosa succederà.