Traduzione da Conflicts Forum.
In questa occasione ci occuperemo di come le questioni che riguardano il progredire dei colloqui dei "cinque più uno" con la Repubblica Islamica dell'Iran vengono trattate dai media iraniani. Il risultato di questi negoziati infatti segnerà un punto di svolta per tutto il Medio Oriente, comunque vadano. In questo modo si intende fornire ai lettori, senza pretesa di esaustività o di completezza, un'idea di quali siano gli argomenti che in questo momento in Iran stanno facendo sì' che l'opinione pubblica e l'opinione di chi si informa vada allineandosi su ateteggiamenti più scettici. Chiaramente, Rohani ha ancora il mandato di andare avanti con i negoziati; la massa critica del sostegno di cui gode è ai massimi livelli, ma questo non significa che questo mandato sia una cambiale in bianco o che goda di tempistiche senza limite. Da quello che si riesce a capire da tutte le posizioni espresse dall'opinione pubblica iraniana, la tendenza in parlamento e tra il pubblico vira verso lo scetticismo nel migliore dei casi, e verso l'irritazione nel peggiore. Perché Rohani possa continuare a contare sul mandato conferitogli per i negoziati con il "cinque più uno" è fondamentale che egli continui a godere dell'appoggio dell'opinione pubblica. Altrettanto chiaro è il fatto che il cambiamento nell'opinione pubblica non è del tutto legato alla natura del processo coinvolto nei colloqui sul nucleare, ma è stato influenzato negativamente sia dalla visita della signora Catherine Ashton sia dalle recenti risoluzioni votate dalla UE in materia di diritti umani. Molti iraniani si aspettavano che l'intrapresa dei negoziati sarebbe almeno servita ad attenuare le critiche nei confronti dell'Iran, che le iniziative di Rohani sarebbero state accolte mostrando un po' meno sguaiatezza nelle critiche verso il modo di vivere degli iraniani. Da questo punto di vista, le aspettative sono state brutalmente castigate e c'è chi vede in questa mala accettazione diffusa la prima avvisaglia di ulteriori giri di vite nel prossimo futuro.
Lo scritto del dottor Nader Sa'ed pubblicato su Javed prende le cose nel modo più positivo e sostiene che i colloqui si svolgono su due assi principali: il primo, dalla prospettiva degli occidentali, è fondamentalmente quello di modificare lo scopo -e dunque il risultato finale- delle attività iraniane di arricchimento dell'uranio affinché esse tocchino i livelli più bassi possibile; il secondo, quello di ridefinire complessivamente le attività in cui è coinvolto il reattore di Arak. Sa'ed mette qui la questione fondamentale: se l'Iran deve rimodellare in modo realistico i propri bisogni energetici fondati sul nucleare strategico sia per l'oggi che -soprattutto- per il domani, cosa succederà se le necessità strategiche di energia per i prossimi decenni, così' interpretate, risulteranno ben più alte di quelle che è possibile soddisfare mantenendo il livello di arricchimento dell'uranio alla quota che il "cinque più uno" è deciso a fissare? Detto altrimenti: qual è il livello di arricchimento per cui è verosimile riuscire ad arrivare ad un accordo e che allo stesso tempo permetta all'Iran di soddisfare le proprie legittime necessità a lungo termine? C'è qualche prospettiva realistica per cui la linea del grafico che indica il livello di accettabilità espresso dai "cinque più uno" potrebbe incontrare quella che fissa le necessità a lungo termine degli iraniani? La questione è complessa, scrive Sa'ed, e questo è il motivo per cui non ci si deve attendere che un accordo arrivi tanto presto.
Scrivendo sul Keyhan di cui è anche capo redattore, Hoseyn Shari'atmadani affronta l'argomento da un'altra prospettiva. Il nucleare costituisce un anello fondamentale in tutto un processo scientifico e tecnico e non si tratta di un qualcosa che si può semplicemente abbandonare senza fare gravi danni al progresso scientifico iraniano nella sua interezza, perché tutti gli aspetti di esso sono fittamente interconnessi. Secondo Shari'atmadani "il nostro paese consuma ogni anno quasi ottomila megawatt di corrente elettrica. Per produrla si dovrebbero consumare duecentoventi milioni di barili di greggio. A suo modo di vedere, il "cinque più uno" chiede proprio questo all'Iran: "bruciate combustibili fossili, ed ottenete soltanto da quelli l'energia elettrica che vi serve". Se l'Iran seguisse questo "consiglio", produrrebbe più di mille tonnellate di biossido di carbonio e libererebbe nell'aria centosettanta tonnellate di particelle incombuste, mescolate a centoquaranta tonnellate di diossido di zolfo e a cinquantacinque tonnellate di diossido di azoto che finirebbero nell'ambiente; soprattutto, bruciare combustibile fossile per produrre elettricità costerebbe all'Iran quasi sei miliardi di dollari l'anno in più rispetto alla produzione che è possibile ottenere con il nucleare. Shari'atmadani conclude ricordando che le riserve nazionali di gas e petrolio stanno rapidamente esaurendosi e che pretendere che l'Iran dia fondo in questo modo alle proprie disponibilità non tiene in alcun conto quello che sarà, tanto per dire, la situazione tra una ventina d'anni. Visto quello che l'Iran ha dovuto passare in materia di sanzioni, non c'è davvero nessuna fretta di consegnare le future generazioni alla mercè dei mercati internazionali e al rischio di un nuovo boicottaggio.
Mehdi Mohammadi mette fondamentalmente in questione tutto l'approccio negoziale dei "cinque più uno", fondato su un "punto di rottura", e anche il modo in cui i negoziatori iraniani stanno affrontando la questione. Secondo gli occidentali esiste un determinato punto nel programma nucleare iraniano che se fosse raggiunto consentirebbe dal punto di vista tecnico all'Iran di "produrre rapidamente e in poco tempo il materiale necessario a realizzare un ordigno nucleare, ovvero venticinque chili di uranio arricchito al 90%, senza che la IAEA o i servizi di spionaggio riescano neppure ad accorgersi della cosa. Questo non ben definito punto sarebbe, a detta degli occidentali, quello che loro considerano il 'punto di rottura'". Dietro la pretesa di limitare l'arricchimento dell'uranio al minimo avanzata dagli occidentali, secondo Mohammadi non vi sarebbe altro che questo concetto. Solo che invece di accettare cervellotiche restrizioni sul numero di centrifughe o sulle riserve di materiale arricchito al cinque o al venti per cento per impedire ogni possibilità che venga raggiunto questo punto di rottura, i negoziatori iraniani a Ginevra avrebbero dovuto rifiutare come tale la stessa logica del punto di rottura. "Non dobbiamo assolutamente accettare idee del genere". Secondo Mohammadi gli ameriKKKani e i sionisti hanno messo in piedi quest'idea per avere la scusa per smantellare ogni struttura per l'arricchimento dell'uranio per uso industriale presente in Iran. "Io mi chiedo questo: perchè mai delle persone perbene dovrebbero dirsi d'accordo con una cosa del genere? Se l'Occidente ha paura di questo punto di rottura, la soluzione giusta è quella di rendere ancor più trasparenti i processi. Perché i nostri si dicono d'accordo nel limitare i nostri piani con questo pretesto?"
Torniamo un momento ai due assi di cui faceva cenno Sa'ed. Dopo quello che prevede la limitazione dei margini e della qualità dell'arricchimento ai livelli più bassi possibili, il secondo asse del "cinque più uno" è rappresentato dalle sanzioni. "Le sanzioni sono ancora in vigore, grazie alla cooperazione informale che gli Stati Uniti hanno preteso dai loro alleati, e vengono continuamente rinnovate e rinforzate sotto varie forme e presentandosi sotto aspetti differenti. Le sanzioni approvate dal Cosiglio di Sicurezza dell'ONU sono ancora più o meno tutte al loro posto, e fino ad oggi non è stato possibile esaminare la questione della loro interruzione. "Inoltre, l'interpretazione normativa del secondo paragrafo del quarto articolo del trattato di non proliferazione [che richiede a tutti i sottoscrittori di fornire assistenza ai paesi che aspirano a sviluppare un programma nucleare pacifico] chiama in causa la volontarietà e l'eventualità, e non unq auqalche obbligatorietà. Magari la nostra diplomazia riuscirà ad usare l'interpretazione normativa in modo da riscrivere il paragrafo perché affermi cose gradite all'Occidente...".
Esiste comunque la prova che questo secondo asse, che già fornisce all'Iran un sollievo molto ridotto (quattro miliardi e duecento milioni di dollari in otto tranches, su cento miliardi di beni iraniani congelati) si discosta di pochissimo dalle già scarse promesse iniziali del "cinque più uno". Suzanne Maloney è una esperta di questioni iraniane del Brookings Institute ed ha riferito ad Al Monitor che gli iraniani erano consapevoli del fatto che avebbero ottenuto "assai poco" dall'accordo provvisorio, per quello che riguarda le sanzioni. La stessa Maloney aveva anche messo in guardia sul fatto che le difficoltà che l'Iran sta incontrando nell'ottenere queste scarse risorse avrebbero fornito agli iraniani motivi ancora maggiori per fidarsi dell'alleviamento delle sanzioni, basato com'è sull'ondivaga autorità della Casa Bianca. Il Presidente Obama ha il potere di alleviare la maggior parte delle sanzioni contro l'Iran, di sei mesi in sei mesi; e sei mesi sono la durata dell'accordo provvisorio. Tuttavia -ha aggiunto la Maloney- la maggior parte delle multinazionali ha bisogno di orizzonti temporali più ampi per concludere accordi significativi. Erich Ferrari è un avvocato di Washington specializzato in materia. Ad Al Monitor ha spiegato che "Dagli iraniani sentiamo dire che nessuno ha idea di cosa sia questo canale finanziario [attraverso il quale convogliare le transazioni d'affari con l'Iran]". Ferrari ha detto anche di non essere affatto sorpreso dal fatto che le banche che operano in paesi che ancora importano greggio dall'Iran stiano ponendo ogni sorta di ostacolo all'Iran nell'ottenere accesso ai quattro miliardi e duecento milioni di dollari che sono stati promessi all'Iran nelle otto distinte quote previste dall'accordo provvisorio. L'ex esperto della CIA Paul Pillar ha sarcasticamente affermato che "la mirabolante macchina delle sanzioni è talmente ben fatta che continua a trasudare potenza e ad avere i suoi effetti anche dopo che è stato spento l'interruttore dell'alimentazione. Quelli del Ministero del Tesoro non possono mica limitarsi a dire 'vai'... Soprattutto, deve fare di più per mettere le banche in condizioni di lavorare decentemente, perché l'accordo provvisorio entri in vigore ed abbia gli effetti che si pensava avrebbe dovuto avere".
Al di là di questo, Rohani e Zarif devono affrontare critiche assai più serie espresse da parte di elementi dell'opposizione che hanno una competenza nel settore. Sostanzialmente Mehdi Mohammadi, che è stato redattore del Keyhan e consigliere del negoziatore Jalili, specifica in una intervista che "L'accordo di Ginevra è un documento in cui i negoziatori si sono detti d'accordo sul fatto che l'Iran rappresenta un'eccezione rispetto a tutti gli altri sottoscrittori del trattato di non proliferazione [che hanno tutti] diritti e doveri precisi [definiti dal trattato]. Inoltre, da come [l'accordo di Ginevra] è stilato si capisce che l'Iran viene considerato un'eccezione, ed alcune restrizioni imposte all'Iran con questo documento non fanno che confermarlo".
Mohammadi continua: "Il documento definisce innanzitutto un primo passo da portare a compimento in sei mesi. Secondo gli occidentali consiste innanzitutto nello stabilire un clima di fiducia, che significa sostanzialmente che per iniziare i negoziati veri e propri l'Iran deve prendere una serie di provvedimenti iniziali destinati ad instaurare quel minimo di fiducia necessaria a far sì che i colloqui continuino. Gli stessi occidentali hanno fatto sapere che questi provvedimenti faranno diventare negoziati veri e propri quelli che sono soltanto dei colloqui. Poi soo stati definiti altri passi successivi per i quali non esiste tempistica. Detto altrimenti, gli occidentali possono pretenderne l'implementazione quando vogliono, perché scadenze non ce ne sono. Uno di questi passi successivi che l'Iran deve compiere è quello di mettere in atto le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU; un altro è quello di definire tutte le "questioni essenziali", ivi comprese quelle che possono avere un qualche aspetto militare, per le quali l'AIEA potrebbe voler accedere alle strutture militari iraniane e conferire con gli scienziati addetti. E poi c'è l'ultimo passo, per il quale una tempistica esiste ma che al momento non prevede una vera e propria tabella di marcia. Sappiamo soltanto che le parti hanno convenuto sul fatto che si tratterà di tempi lunghi. Quest'ultimo passo prevede lo smantellamento di parte del programma iraniano per l'arricchimento dell'uranio. Il programma ne uscirà seriamente ridimensionato".
Mohammadi afferma in poche parole che per vari anni l'Iran dovrà accettare limitazioni molto severe all'esercizio dei propri diritti e gli verrà chiesto di cooperare ad esse in modo molto serio ed al di là di tutti gli impegni previsti dal trattato di non proliferazione. Tutto questo, solamente per essere considerato un paese come gli altri. Questo vuol dire che l'Iran resterà in uno stato d'eccezione fin quando gli occidentali non saranno soddisfatti. "In breve, siamo noi stessi a dirci d'accordo sul fatto che gli occidentali hanno il diritto di trattarci come un caso speciale e di fare pressioni su di noi". L'aspetto essenziale della cosa, secondo Mohammadi, è che i negoziatori iraniani hanno accordato agli occidentali il diritto di bollare l'Iran come una minaccia e come un caso eccezionale, per tutto il tempo che vorranno. "Si tratta di una decisione che ha conseguenze molto pericolose per la nostra sicurezza nazionale", sostiene Mohammadi. "In qualsiasi questione riguardi l'Iran, gli occidentali sono sempre partiti dall'assunto che l'Iran deve accettare il fatto che rappresenta un caso eccezionale e che per questo motivo non può aspettarsi di godere degli stessi diritti di cui godono gli altri paesi, o di avere gli stessi doveri degli altri paesi. L'Iran non si è mai detto d'accordo con una cosa del genere. Abbiamo sempre detto che non avremmo lasciato che ci trattassero come un caso speciale e come un'eccezione: invece, i negoziatori hanno accettato che venisse fatto, senza alcuna obiezione".
Inoltre, Mohammadi respinge al mittente la rassicurazione dei negoziatori iraniani, secondo i quali l'AmeriKKKa avrebbe in qualche modo concesso all'Iran il diritto di arricchire uranio: "Nell'accordo di Ginevra non si prevede in nessun punto il riconoscimento del diritto ad arricchire l'uranio. Gli stessi ameriKKKani, la parte che dovrebbe riconoscere questo diritto, hanno detto chiaro e tondo che all'Iran non è stato accordato nulla di simile. La ragione è chiara: sono stati gli ameriKKKani a dire che se avessero riconosciuto all'Iran il diritto di arricchire uranio, poi non sarebbero stati più in grado di imporgli delle restrizioni. Sono stati molto attenti a non includere nell'accordo di Ginevra questo riconoscimento". E non è nemmeno vero, continua Mohammedi, quello che dice il dottor Salehi, per cui se si parla dell'arricchimento nel primo passo da fare e il risultato dell'ultima fase del processo potrebbe contemplare il diritto ad una qualche forma limitata e ristretta di arricchimento, questo significa un implicito riconoscimento da parte del "cinque più uno" del diritto dell'Iran ad arricchire uranio. Secondo Mohammadi Salehi ha torto perché -con i passi successivi per i quali non esiste tempistica- i negoziatori iraniani hanno accettato di obbedire alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che invitano l'Iran a fermare il processo di arricchimento.
"Inoltre, l'intento dell'ultimo passo, in cui l'Iran accetta di porre restrizioni alla percentuale di arricchimento dell'uranio, al suo immagazzinamento e alle sue riserve, è quello di smantellare gran parte del programma di arricchimento oggi in corso. Questo punto è molto importante. La retorica dello smantellamento permea di sé l'accordo di Ginevra. Tutti devono fare attenzione al fatto che l'Iran, secondo l'accordo, è obbligato a smantellare parte del programma. I negoziatori si sono detti d'accordo ed hanno firmato: ecco perché gli ameriKKKani dicono che non consentiranno che questo accordo temporaneo diventi definitivo, e che i negoziati futuri saranno negoziati sullo smantellamento. Guardate il testo dell'accordo: hanno ragione loro. I negoziatori hanno accettato di smantellare, e nel caso si tenga un qualche negoziato, esso verterà sull'ampiezza e la portata dello smantellamento, non certo sul principio [che è il diritto all'arricchimento]".
Mohammadi intende dire che quando i negoziatori iraniani affermano che l'accordo ha istituzionalizzato le attività di arricchimento dell'Iran e che questo risultato è una conquista importante per il paese, ci si deve chiedere "che cosa si intende di preciso con arricchimento? Se intendiamo semplicemente un programma simbolico e di portata minima utile alla mera tutela della nostra reputazione, che non ha valore tecnico e industriale, né tantomeno potrebbe produrre energia a livelli strategici, allora i negoziatori stanno dicendo la verità". Invece, se "il programma di arricchimento è alla base di un programma industriale il cui obiettivo è quello di conseguire competenze industriali, avviare la produzione di combustibile per le centrali e per l'esportazione sul mercato mondiale per migliorare in esso la posizione dell'Iran, l'accordo di Ginevra ce lo impedisce a chiare lettere, e chiude la questione".
Quali saranno le conseguenze dell'accordo? Mehdi Mohammadi afferma senza mezzi termini che pensa che l'industria nucleare ne sarà gravemente colpita. In secondo luogo, gli occidentali hanno potuto concludere che la loro strategia che prevede l'imposizione di cambiamenti ben studiati in Iran può essere perseguita con successo esercitando pressioni sul paese. "Sono sicuro, e di questo ci sono già segni evidenti, che gli occidentali estenderanno questo metodo anche ad altri contesti. Già oggi, riguardo alla situazione mediorientale e ai diritti umani, vanno dicendo che tocca all'Iran prendere provvedimenti che facciano aumentare la fiducia nei suoi confronti". A questo seguiranno ulteriori pressioni. Persino il più ottimista dottor Sa'ed pensa che "è irrazionale" attendersi di arrivare ad un accordo in poco tempo e che ci sarà bisogno di altre tornate di colloqui. A suo dire i recenti sviluppi a livello internazionale, soprattutto la crisi in Ucraina e le reazioni sdegnate che la visita di Catherine Ashton a Tehran ha sollevato hanno direttamente influito sulla politica estera iraniana ed avranno la loro parte nel far sì che questa prima tornata di colloqui porti ad un nulla di fatto.
Dobbiamo ricordare in ultimo ai nostri lettori che lo scopo di questo scritto non è quello di produrre argomenti, e neppure quello di passare in rassegna punti di vista contrastanti, ma quello di mostrare in quale prospettiva l'argomento viene dibattuto sui media iraniani con cui devono vedersela Rohani e il suo ministro degli esteri. E' una prospettiva che ha tutto il potenziale per erodere il loro mandato di negoziatori. Alla vigilia delle elezioni presidenziali il campo principalista si divise. I principalisti moderati, che già hanno pagato caro il sostegno dato ad Ahmadinejad e ai sostenitori della linea dura interni alla loro stessa compagine, si sono fatti più cauti e per adesso non appoggeranno gli attacchi che l'ala intransigente sferra contro la diplomazia sul nucleare. Il presidente Rohani ha ancora un ampio sostegno parlamentare ed il sostegno della Guida Suprema, ma, come abbiamo sottolineato, sono tutte cose destinate a indebolirsi in assenza di risultati concreti, soprattutto in quei settori in cui il già scarso beneficio derivante dall'alleggerimento delle sanzioni non viene percepito.
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