Egitto. Anche prima del colpo di stato dei militari che ha rovesciato il presidente Morsi, era chiaro che la società egiziana si stava spaccando. Si stava spaccando in profondità, e forse in modo irrimediabile. Conflicts Forum ha assistito ad un incontro tra le principali correnti politiche del paese, quella islamica e quella laica e liberale; in quell'occasione le parti si dimostrarono semplicemente incapaci di comunicare. Attraverso la stanza volavano, da un settore all'altro della società egiziana, bordate di artiglieria verbale sparate ad alzo zero. L'emozione affannava i petti, le condizioni psicologiche erano come cristalli scheggiati e le perorazioni insistentemente urlate non avevano significato e non contenevano un solo granello di buon senso.
Di compromessi non si parlava neppure, né poteva esserci posto per la democrazia in quel bailamme di passioni. Ad un certo punto i laici liberali e i cristiani dettero fiato alla tremenda paura per la propria stessa esistenza: pensavano e temevano che gli islamici li stessero politicamente e culturalmente sopraffacendo, che il loro modo laico di vivere sarebbe stato messo fuori legge e la loro rilevanza politica stroncata. A mostrarsi particolarmente risentiti erano i cristiani. L'Occidente cristiano aveva fatto un errore storico: maniacalmente attento com'era alla sicurezza dello stato sionista, l'Occidente aveva finito per allearsi con i gruppi sunniti radicali nell'intento di indebolire quelle che venivano considerate le minacce contro i sionisti, Hezbollah e la Repubblica Islamica dell'Iran. I cristiani lamentavano il fatto che a pagare il conto di questo sconsiderato soffiare sul fuoco dell'Islam sunnita sarebbero stati i cristiani di tutto il Medio Oriente, e sciorinavano dati sull'esodo dei cristiani dalla regione. A spargere sale sulla piaga c'era il fatto che cristiani e laico-liberali non edevano in prospettiva l'intervento di alcuna forza capace di liberarli dall'assedio islamico. Né la Francia, né il Regno Unito, né l'AmeriKKKa, per la prima volta dopo tanti secoli, sarebbero intervenute in loro soccorso. Sarebbero stati lasciati in balia della sopraffazione islamica, o all'esodo.
Si immagini dunque il loro sollievo quando all'ultimissimo istante, quando tutto sembrava perduto, è arrivato un deus ex machina: i paesi del Golfo hanno messo in piedi un colpo di stato militare per "distruggere ed eliminare" dal paese (detto con i vocaboli del linguaggio bellico) i Fratelli Musulmani. La situazione si è capovolta e gli attivisti secolari e laici ora camminano estatici a svariati palmi da terra. Il generale Sissi viene acclamato senza il minimo spirito critico come il nuovo Saladino, il nuovo Nasser, il nuovo Sadat.
Immediatamente dopo il colpo di stato il generale Sissi ha adoperato tutti i vocaboli della correttezza politica: "transizione", "democrazia civica" e "inclusione". Solo che le parole sono una cosa, il comportamento dell'esecutivo un'altra, sia allora che dopo. Piuttosto che una "transizione" verso la democrazia, pare che "il popolo" vorrà che Sissi diventi presidente per acclamazione, piuttosto che abbracciare la "democrazia civica". Sembra anche che promulgando due leggi, quella sulle manifestazioni e quella sull'antiterrorismo, Sissi riuscirà a prendere due piccioni con una fava: il suo principale intento, l'eliminazione dei Fratelli Musulmani, e la potenziale criminalizzazione di tutti i loro sostenitori. In secondo luogo, questo rappresenta a tutti gli effetti la reincarnazione del detestato "stato di emergenza" sotto nuove vesti, fatto per consentire all'apparato securitario di eliminare ogni resistenza alla junta. Anche in questo caso, tutto viene fatto attraverso il mandato "popolare": come ha scritto la scorsa settimana il quotidiano nazionalista Al Watan, "Dal popolo ad El Sissi [capo delle forze armate]: Ti garantiamo il mandato... e taglieremo la gola ai terroristi". Su un altro quotidiano, Al Youma Al Sabaa, spiccava un titolo dello stesso genere: "Il popolo vuole che i Fratelli Musulmani siano messi a morte". I due provvedimenti di legge riguardano innanzitutto i Fratelli Musulmani, ma il loro effetto combinato ha una portata sufficientemente vasta da prevedere e soffocare il minimo segno di dissenso dovesse venire da parte dei laici e dei liberali. Molti laici, anche se sono molto pochi rispetto al numero di Fratelli Musulmani arrestati, sono finiti recentemente in carcere per aver criticato la junta per esser venuta meno ai propri intenti rivoluzionari. C'è da aspettarsi che col crescere della disillusione dei liberali nei confronti del regime che Sissi sta mettendo in piedi seguiranno ulteriori arresti di simpatizzanti laico-liberali.
Insomma, in Egittto la controrivoluzione orchestrata dagli stati del Golfo contro le sollevazioni arabe del 2011, condotta con mano d'acciaio dal generale Sissi, sta arrivando ai limiti della repressione indiscriminata. Come ha detto Khalil al Anani, la messa al bando dei Fratelli Musulmani rafforza "l'idea che esista un nemico comune, una minaccia all'esistenza stessa dello stato e della società". Un'altra ragione alla base dei provvedimenti, afferma, "è che essi servono a mobilitare l'opinione pubblica affinché essa approvi la costituzione; il governo ad interim considera l'approvazione della costituzione un modo per trovare la legittimità che adesso gli manca... La chiusura di ogni spazio pubblico ad ogni manifestazione di protesta la si giustifica affermando che si tratta di misure antiterrorismo... e definire i Fratelli Musulmani come un'organizzazione terroristica chiude definitivamente la porta ad ogni futuro riavvicinamento tra i Fratelli e i gruppi rivoluzionari".
In gioco non c'è soltanto la potenziale criminalizzazione di una parte significativa del popolo egiziano (fare apologia dei Fratelli Musulmani o fornire loro qualsiasi sostegno indiretto costituiscono reati punibili con cinque anni di carcere). Alcuni personaggi mediatici in Egitto stanno incoraggiando i vigilantes ad incendiare abitazioni in cui si sa che abitano aderenti ai Fratelli Musulmani e a distruggere i loro negozi. Sono state aperte delle linee telefoniche, tramite le quali il pubblico può denunciare chiunque si sospetti appartenga ai Fratelli. Le incitazioni dei mass media contro i "terroristi" sono dappertutto. In alcuni casi si è dato di individui ritenuti appartenenti ai Fratelli Musulmani che sono stati prelevati, torturati ed uccisi. Quella che era una spaccatura nella società, e ne abbiamo fatto cenno sopra, sta diventando una voragine.
Quali saranno le reazioni? In Egitto ogni cosa scorre con lentezza, ma ci sono alcuni punti chiari. I Fratelli Musulmani sono passati alla clandestinità. I vertici del movimento (la Shura e l'Ufficio della Guida) si sono nascosti o sono stati arrestati. Il movimento sopravvive perché è ritornato alla compartimentazione, con nuclei di sette od otto persone che si incontrano a casa del capo cellula. Il punto debole di questo sistema, che ha garantito la sopravvivenza del movimento attraverso i momenti repressivi del passato, è rappresentato dalla difficoltà che i capi delle cellule incontrano nel comunicare tra di loro, e lungo la scala gerarchica con quello che costituisce ciò che rimane della direzione.
La generazione più vecchia tra i Fratelli Musulmani non vuole che si arrivi alla guerra aperta con Sissi; sanno che perderebbero. La loro strategia è invece quella di mantenere la resistenza nei limiti di manifestazioni improvvise ("Non abbiamo altra scelta, Sissi ci ha messo all'angolo") e di aspettare che la junta screditi se stessa e che le condizioni dell'economia precipitino. I Fratelli Musulmani sanno che dal punto di vista economico si preparano tempi duri e credono in linea di principio che non avranno bisogno di fare nient'altro che aspettare che la junta cada in disgrazia agli occhi dell'opinione pubblica, cosa che secondo loro sarebbe inevitabile. Intanto, i Fratelli stanno anche lavorando tra i loro sostenitori nell'esercito, per rinfocolare l'insoddisfazione dei militari nei confronti dei quadri superiori. Un esperto politico russo afferma che secondo i russi il 70% dei bassi gradi nell'esercito sono contrari alla direzione presa dagli alti ufficiali.
Questa posizione "di sicurezza", tuttavia, non funziona e non soddisfa i giovani appartenenti al movimento. La politica di non violenza dei Fratelli Musulmani non li fa crescere, contrariamente a quanto sperato. La bomba di Mansour, che qualche settimana fa è costata la vita a sedici poliziotti, con ogni probabilità non è stata opera dei Fratelli Musulmani: un gruppo salafita del Sinai ne ha rivendicato la responsabilità. Nonostante questo, i Fratelli ne sono stati ritenuti immediatamente colpevoli e i mass media che spalleggiano il governo sono riusciti a convincere la maggioranza degli egiziani che i "terroristi" responsabili del fatto erano proprio i Fratelli.
I giovani, che nelle manifestazioni più nutrite hanno perso degli amici sotto il tiro della polizia, non ci staranno. La lezione che hanno tratto dal colpo di stato è che i Fratelli si sono comportati da ingenui. Pensano che i Fratelli Musulmani avrebbero dovuto abbattere il sistema, quando hanno avuto il sopravvento. L'esercito avrebbe dovuto essere purgato, e lo "stato profondo" completamente distrutto. Questa, pensano, è la lezione imparata in Algeria, da quello che è successo a Hamas nel 2006 ed al presidente Morsi oggi. Alcuni tra loro -non si può dire quanti- si rivolgeranno ai movimenti islamici rivoluzionari dediti alla violenza, che hanno fatto proprie le concezioni di Al Qaeda. Il fenomeno non esploderà all'improvviso ma si rafforzerà col tempo, probabilmente attirando armi e combattenti dalla Libia, e diffondendosi ulteriormente in tutto il Nord Africa.
Il caso dei salafiti è più complesso. Finanziata dall'Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi Uniti e dal Kuwait, la leadership salafita ha largamente assecondato la junta, mostrandosi molto "flessibile" sulle questioni costituzionali inerenti l'Islam. Anch'essa però ha perso i giovani per strada. Molti nella gioventù salafita non considerano gli attacchi delle forze di sicurezza ai Fratelli Musulmani e la defenestrazione del Presidente Morsi come un attacco ai Fratelli Musulmani in quanto tali, ma come un attacco all'Islam stesso. I giovani salafiti sono contro Sissi così come sono contro l'Arabia Saudita.
Infine ci sono zone in Egitto, come il Sinai o certi quartieri di Alessandria o di Suez, che stanno diventando una Idlib egiziana sotto il "controllo" -non esiste una parola adatta a descrivere l'ambigua rete di intimidazioni messe in opera- di gruppi jihadisti di varie tendenze, tutti apertamente ostili ai Fratelli Musulmani che vengono considerati degli apostati.
Dove condurrà l'Egitto una situazione del genere? Il problema è che Sissi ha avuto successo nel procurarsi un folto numero di adoratori tra importanti settori della popolazione grazie ai colpi assestati ai cosiddetti "terroristi" (ovvero i Fratelli Musulmani) ma questo non rappresenta una soluzione per i gravi problemi economici che il paese deve affrontare. I paesi del Golfo hanno fatto arrivare -e non sempre si tratta di donazioni- qualcosa come dodici miliardi di dollari; la maggior parte degli esperti ritiene tuttavia che l'Egitto abbia bisogno di almeno cinquanta miliardi solamente per non andare a fondo. Il 43% della popolazione vive in condizioni di disperata povertà perché guadagna meno di due dollari al giorno per famiglia; molta parte di essa beneficiava delle opere caritatevoli dei Fratelli Musulmani, un sostegno che adesso non esiste più.
Quale visione avrà da offrire Sissi? Riforme economiche "liberali" nello stile del Fondo Monetario Internazionale, con mezzo paese che tira avanti con meno di due dollari al giorno? Il nazionalismo arabo stile neo-Nasser è praticabile al giorno d'oggi? Difficile pensarlo: non ci sono soldi, e il nazionalismo arabo è entrato in una lunga fase di declino dopo la guerra del 1973, da cui deve ancora riprendersi.
E i Fratelli Musulmani da parte loro, che progetti possono presentare? Un ritorno al Da'wa e alle opere di carità? Anche queste cose sono cadute in discredito, né la passiva attesa dei Fratelli che l'economia egiziana collassi costituisce una risposta agli affamati che cercano una qualche soluzione alle loro molte miserie, né una visione incoraggiante per il futuro. L'unico programma che si sente per le strade è il rosario salafita di semplici "certezze", alle quali la gente in questi tempi di tumulti e di disordine si aggrappa disperatamente. A questo livello, paradossalmente, la gioventù salafita e quella dei Fratelli Musulmani convergono sulla weltanschauung salafita e risultano essere forse l'unico vero beneficiario di questo stato di cose.
L'Occidente ha adottato una visione a breve termine: "Abbiamo poca influenza; consideriamo la questione un mero affare interno (a differenza della situazione in Siria) e sosteniamo Sissi perché ha in mano l'unico strumento -l'esercito e i servizi- in grado di garantire (una malintesa) sicurezza". La repressione brutale sarà in grado di portare, nel lungo periodo, la "sicurezza" per l'Occidente? La lezione da trarre dal collasso dei Sykes-Picot cui stiamo assistendo in tutto il Medio Oriente non insegna esattamente il contrario? L'avvertimento è quello di fare attenzione a non creare nuove Al Qaeda; l'Egitto pare vicino a nuove fratture sociali e a diventare sempre più violento man mano che deve confrontarsi con una reviviscenza del "sistema arabo" come esso viene inteso dal generale -e probabile presidente- Sissi.