Traduzione da Conflicts Forum.
Secondo quanto affermato dall'ex capo del Mossad Ephraim Halevi, è sempre più chiaro che i leader politici del Golfo e il generale Sisi vogliono infliggere una sconfitta sonora, pubblica e definitiva ai Fratelli Musulmani. Non sorprende il fatto che lo stato sionista collabori con entusiasmo all'impresa relazionandosi direttamente col generale Sisi, col quale i sionisti hanno continuato a mantenere rapporti perché è il loro uomo nell'esercito egiziano, quello con cui tengono il coordinamento per il Sinai.
Come corollario alla messa all'angolo dei Fratelli arriva la crescente demonizzazione di Hezbollah agli occhi del pubblico egiziano, e di questo si occupa l'esercito; Hezbollah è tacciato di essere la mano terrorista che c'è dietro i disordini nel Sinai (si legga qui un resoconto delle rabbiose proteste di piazza istigate contro Meshaal e Haniya al loro arrivo al Cairo poco prima del colpo di stato). Non si sta parlando dell'intenzione di rimettere in qualche modo al loro posto i Fratelli e di cooptarli, in questo assetto nuovamente dimesso, nella nuova compagine governativa al Cairo; questo è quello che fa vedere il mainstream. Quello che emerge dai sostenitori del Golfo che spalleggiano il colpo di stato del Generale Sisi, nel loro collegare i Fratelli e Hamas ad AlQaeda e nel bollarli come terroristi, è l'intenzione di estrometterli completamente e definitivamente dalla vita politica, così da restaurare nella regione l'Islam "moderato". Questo, secondo le loro parole.
Significa che l'esercito e alcuni dei leader del Golfo si sono messi alla testa della missione in cui già aveva fallito Bush, quella di plasmare secondo il proprio tornaconto la politica mediorientale e quella dell'Islam.
Cos'è questo Islam "moderato" che deve sostituire l'Islam dei Fratelli? Il significato essenziale che il vocabolo moderato ha per i leader del Golfo non è quello che la maggior parte degli occidentali gli attribuiscono.
Il concetto risale ai tempi di Nasser, quando il re saudita iniziò a cooptare i Fratelli perseguitati da Nasser che avevano cercato rifugio nei paesi del Golfo in due importanti progetti di Casa Saud: il primo prevedeva che le risorse intellettuali dei Fratelli Musulmani venissero controllate dal regno saudita in modo da conferire allo wahabismo quella rispettabilità accademica che fino a quel momento gli era completamente mancata; il secondo era quello di fare della dottrina salafita, resa nuovamente rispettabile, l'unica legittima voce dell'Islam sunnita. Il principale intento della Lega Musulmana Mondiale fondata nel 1962 era questo. Il re saudita voleva vedere la fine della molteplicità delle "voci" dell'Islam, e confinare l'Islam entro i limiti di una sola espressione. Per questo intento e nell'àmbito di esso, specie all'interno della Lega, il regno ha profuso le proprie considerevoli ricchezze petrolifere e in questro modo ha inconsapevolmente e paradossalmente fornito le risorse che hanno permesso ai Fratelli di stabilire una rete di cellule in tutto il Golfo, una volta dato ad intendere che si trattava di rafforzare i progetti sauditi; è la stessa rete che i dominanti del Golfo pensano oggi costituisca per loro una minaccia diretta. I Fratelli Musulmani tratteggiarono per la Casa dei Saud il modello delle prime comunità musulmane, intese come riferimento principale per il moderno Islam sunnita, ma poi fornirono ad esso una coloritura strategica propria, assegnando in esso la sovranità politica al popolo e non all'"autorità tradizionale", ovvero al monarca, com'era nelle intenzione dei sauditi. La Casa di Saud non ha mai perdonato i Fratelli Musulmani per questo.
Ne deriva il fatto che l'"Islam moderato" che i leader del Golfo affermano di sostenere è un Islam presuntamente apolitico, malleabile ed ossequioso verso re e sovrani, contrariamente a quell'Islam che afferma che la legittimazione del potere origina dal popolo. In altre parole, è il salafismo come viene inteso nel Golfo, del quale lo wahabismo costituisce uno degli orientamenti, al quale si richiede di essere ossequioso verso l'autorità tradizionale e che pratica una letterale emulazione delle prime comunità musulmane. Nel Golfo questo modello di Islam si è strettamente congiunto ad una pratica economica di tipo neoliberista. Si sente un'altra volta dire, come si è sentito dire per vent'anni in diverse occasioni da certi personaggi del mondo accademico come Oliver Roy, che questa mazzata poderosa ai Fratelli Musulmani significa la fine dell'Islam politico. Questo lo ripetono sia i liberali che i neoconservatori, in Medio Oriente e in Occidente. E' vero che dopo il colpo di stato i Fratelli Musulmani non possono continuare a comportarsi come si sono comportati fino ad oggi, cioè ad asserire che la via per giungere al potere passa dalla pazienza e dalla legittimazione; tuttavia sarebbe un errore anche il sottovalutare le radici profonde che questo ampio movimento possiede. Anche se i Fratelli sono andati incontro ad un considerevole rovescio, l'euforia dei monarchi del Golfo e dei sionisti è comunque fuori luogo. L'Islam sciita è vitale e sempre più fiducioso in se stesso, ma quelli che guadagneranno di più dal vuoto lasciato dalla "decapitazione" egiziana saranno i salafiti. I salafiti di oggi sono lontani dall'essere apolitici o dal comportarsi in modo rispettoso verso l'"autorità tradizionale" come facevano un tempo. Attraverso il Caucaso, l'Asia Centrale, il Medio Oriente e l'Africa sta crescendo in modo esponenziale lo jihadismo salafita e radicale di oggi. Basta considerare quanto sta accadendo in Siria, in Libano, in Iraq ed in nord Africa per rendersene conto. Certo, molti sionisti e anche altri desiderano ardentemente il ritorno di un "adulto responsabile" in Medio Oriente, pensando che i Mubarak e gli altri autocrati fossero i pilastri su cui poggiavano la sicurezza e la stabilità del Medio Oriente e dello stato sionista. Qui c'è uno scritto di un eminente commentatore sionista, Ben Caspit, che rimpiange il Mubarak dei tempi passati. Ecco, questo è il paradosso dell'atteggiamento che ha oggi l'Occidente. Nel tentativo di mettere lo stato sionista in condizioni di maggiore sicurezza, l'Occidente si è ritrovato sempre più sottobraccio, in modo diretto ed indiretto, con quelle che sono le correnti islamiche di gran lunga più pericolose e violente, nella lotta contro quei movimenti islamici e contro quegli stati laici che sono le bestie nere dei sionisti e dei monarchi del Golfo. Colpisce il fatto che nelle stanze del potere in Europa non esiste alcuna analisi critica delle conseguenze in più ampia prospettiva che questo modo di comportarsi può avere, come appena successo in Egitto. In breve, il "progetto" del Golfo contempla il ritorno del Medio Oriente alla "autorità tradizionale" e l'abolizione del concetto di sovranità popolare, concetto che va per intero espulso dall'Islam.
Si vuole salvare l'autocrazia.
Il problema è se un simile anacronismo sia sostenibile oggi in una regione in pieno terremoto; occorrerà aspettare e vedere perché sull'esito di tutto questo pendono molti elementi. Il golpe militare in Egitto riplasmerà il Medio Oriente nel senso in cui hanno scommesso i sauditi? O il colpo di stato in sé diventerà il detonatore di una serie di cambiamenti che condurranno la regione in una direzione diversa da quella voluta dai suoi protagonisti?
E' chiara anche un'altra cosa. Gli stati del Golfo si sono a tal punto impegnati nell'infliggere questa sonora sconfitta ai Fratelli Musulmani che poca vera attenzione si è prestata alle sostanziali conseguenze di tutto questo. Vero è che i Fratelli sono rimasti decapitati: l'ufficio guida e l'ufficio della Shura sono stati esautorati, sono stati ordinati altri arresti e in tutto il Golfo proseguono le detenzioni per motivi politici. Solo che di fatto è finito decapitato anche l'Islam politico sunnita nel suo insieme: Erdogan screditato, lo sceicco di al Azhar in pensione, e Qaradawi che si sta precariamente barcamenando a Doha. Quali sono adesso i leader dell'Islam sunnita? Le identità sunnite sono in piena disgregazione. E' vero che il colpo di stato del Generale Sisi ha mostrato la vuotezza sostanziale dei Fratelli Musulmani: organizzati sì, ma privi di qualsiasi visione politica. Ma l'esercito da questo punto di vista è messo meglio? Esso ha ricevuto sostegno finanziario dai propri sponsor -per lo più si tratta di prestiti o di depositi in denaro presso la Banca Centrale del paese- per mandare avanti le cose, ma per delle riforme sostanziali ne servirà altro. I militari hanno bisogno di una massa critica di consenso popolare, e il consenso sembra davvero qualcosa che non esiste nell'Egitto di questi tempi. L'esercito ha creato un vuoto politico in cui dominano interessi frammentati. La corrente laica, liberale e di sinistra si trova in una fase di ascesa e non ha la minima intenzione di arrivare a qualche compromesso; i salafiti andranno convinti del fatto che i debiti contratti dall'esercito nei confronti dell'Arabia Saudita bisognerà pagarli. E' poco verosimile pensare che l'insieme possa funzionare in qualche modo. E quali capi finiranno per emergere tra i Fratelli Musulmani, attualmente senza una guida? E di che gente si tratterà? Senza Morsi l'opposizione egiziana, tenuta insieme soltanto dall'odio per il presidente, sta già mostrando in pubblico le sue profonde spaccature. Sembra probabile che l'esercito sarà costretto a far crescente affidamento sugli appartenenti allo "stato profondo" per mettere insieme un governo, e che questo non farà piacere a nessuno.
C'è da attendersi che la delusione dei salafiti egiziani arrivi anche agli wahabiti del Golfo.
La risposta statunitense ed europea al golpe del Generale Sisi, un golpe che ha prevaricato ogni legge internazionale, ha provocato ulteriori tensioni. Le comparsate televisive in sostegno del golpe militare di Tony Blair e del suo quartetto di inviati hanno generato critiche e disprezzo in Europa, ma nonostante questo Blair viene ancora considerato in Medio Oriente come la cartina di tornasole di una certa corrente del pensiero conservatore statunitense. Il nuovo atteggiamento interventista assunto da Blair, secondo il quale la mancanza di "efficacia" in un governo in concidenza con manifestazioni di piazza capaci di una qualche rilevanza giustifica un golpe militare, deve aver fatto scorrere dei brividi lungo la schiena all'AKP. Sembra che Erdogan abbia immediatamente invocato una riunione d'emergenza del governo, per esplorare la possibilità che le recenti proteste in Turchia siano state ispirate esattamente per aprire la strada ad un intervento dell'esercito diretto contro i sostenitori turchi dei Fratelli Musulmani.