Luglio 2006. Dopo un climax primaverile che lasciava presagire poco di buono, l'esercito israeliano aggredisce il Libano. Il casus belli è dato dal rapimento di due soldati -a tutt'oggi scomparsi nel nulla- da parte di Hezbollah; lo scopo vero è chiudere i conti con le milizie [i due soldati saranno restituiti, cadaveri, nel luglio 2008 nel corso di uno scambio di prigionieri, N.d.A.]. Per un mese le infrastrutture libanesi, ricostruite in anni di pace difficile, sono state smantellate dai bombardieri israeliani; morti civili -pardon, perdite collaterali- a centinaia, disastri ambientali ed economia libanese in ginocchio. Sul terreno Hezbollah contiene l'aggressione infliggendo perdite sorprendenti all'esercito d'Israele, e si rivela una formazione piccola (pare che gli effettivi si aggirino sui duemila armati) ma estremamente efficiente, ben lontana dall'immagine del fellah in kefiah che spara col Kalashnikov contro il cielo. La cessazione delle ostilità fa cantare vittoria alle milizie e provoca lunghe crisi politiche in Israele, i cui capi politici e militari sono accusati di aver sottovalutato il nemico.
Il quotidiano "Libero", finiti i bei tempi in cui dettava la linea mediatica a tutta la penisola grazie all'agente Betulla ed alla condiscendenza apertissima di quell'aggregato di guitti chiamato "governo Berlusconi", non trovò di meglio da fare che schierarsi con Israele, e fin qui nulla di strano. Per conferire autorevolezza alle proprie posizioni, intervistò Vittorio Messori, rispettabilissimo scrittore cattolico che i tempi degli studi in scienze politiche deve averli dimenticati da un pezzo, se arriva a giustificare con ragioni metafisiche e teologiche fatti ed eventi terrenissimi e ben ancorati al quotidiano. Il 21 luglio 2006 Messori riferiva a "Libero" che a suo parere -o meglio, a parere dell'"occidentalista" che ne ha estrapolato le parole- "Nella prospettiva islamica il mondo è diviso in due: i territori di Allah e i territori di guerra. Quindi fare la guerra ai Paesi non islamici è un dovere"; che "Dove oggi c’è Israele dal nono secolo c’erano i musulmani, quindi quella terra deve tornare musulmana". Vogliamo sperare che Messori non sia arrivato al livello di farsi scappare di bocca barzellette di questo tipo, e che la colpa vada addossata al nefasto passaggio di redattori e sforbiciatori assortiti: altrimenti ci sarebbe davvero da credere che un miliardo e duecento milioni di persone si alzino ogni mattina con la ferma volontà di fare il culo a tutto il resto del mondo, e che coscienziosamente si adoperino per questo per l'intera loro esistenza. Una prospettiva molto comune nei casi di delirio a contenuto persecutorio, ma alquanto lontana dalla realtà. Va anche confutata la risibile affermazione secondo cui "nel nono secolo" c'erano i musulmani in Palestina: la Palestina fu conquistata in meno di dieci anni ed era fuori dal controllo bizantino già nel 640 d.C., e per considerare questa una data "definitiva" bisognerebbe ammettere che conquista militare ed islamizzazione di un territorio andassero di pari passo, cosa difficilmente sostenibile. E' stimolante considerare che nello stato di Israele, oggi, la popolazione araba ammonta a svariate centinaia di migliaia di persone, considerate cittadini di seconda classe in nome dell'ossessione identitaria dei sionisti.
Messori, o più sperabilmente l'"occidentalista" che ha l'impudenza di citarlo, spiega anche che "hanno calcolato che con i soldi spesi dai paesi arabi per fare la guerra a Israele, avrebbero potuto regalare a ogni palestinese una villa con piscina, ma i palestinesi preferiscono la guerra alla villa con piscina". La fonte di un simile dato resta purtroppo ignota, ed è probabile che dovremmo cercarla nella fittissima pubblicistica denigratoria che ha messo la propria discutibile umanità a servizio del sionismo fuori tempo massimo. Comunque, la propensione alla guerra sarebbe metafisicamente inscindibile dalla condizione di palestinese: la nazionalità -prima e ancora della religione- predetermina il comportamento individuale. Più o meno quello che, per decenni, hanno sostenuto gli antisemiti più accesi. Si potrebbe anche infierire facendo estese e pesanti supposizioni circa quello che si potrebbe fare con i soldi che, nello stato che occupa la penisola italiana, sono destinati al mantenimento di una miriade di corpi armati che in nome della "sicurezza" finiscono il più delle volte per pestarsi i piedi l'uno con l'altro, ma lasciamo stare.
Il nostro "occidentalista" prosegue citando Daniel Pipes, "storico" americano ben inchiavardato all'amministrazione Bush (un'ottima garanzia di obiettività, come tutti sanno); nell'articolo citato (http://it.danielpipes.org/article/3485) Pipes sostiene che (a marzo 2006) "Gli israeliani si recano alle urne, ma nessuno dei maggiori partiti politici offre l'opzione di vincere la guerra contro i palestinesi". Si noti: tsahal le guerre non le combatte mica: le vince direttamente. E non perché sconfigge l'avversario, ma perché i politici lo hanno promesso agli elettori... A questa infelicissima considerazione segue una ridicola lista degna di uno stratega da caffè più che di un sedicente storico che, dopo aver stigmatizzato l'intero panorama politico israeliano, non ha neppure il buon gusto di rivelare quale sarebbe la sua strategia per "vincere la guerra": probabilmente lo sterminio del presunto nemico, apparendogli impraticabile -se non risibile- qualunque altra soluzione...! Una simile allergia al buon senso appare degnissima del nostro sito-bersaglio, che ne presenta numerosi casi, ma porta anche acqua a chi equipara nazionalsocialismo e sionismo senza tanto sottilizzare sulle sfumature.
La creazione dello stato di Israele ha rappresentato una soluzione discutibile ad un problema improrogabile; una soluzione che a sessant'anni di distanza, mostra limiti preoccupanti, a cominciare proprio dalla questione identitaria che di Israele rappresenta la stessa ragione di esistere. Pipes non arriva comunque al punto di sostenere che "se uno dei paesi arabi avesse avuto l’arma atomica crediamo che non avrebbe avuto remore nell’usarla", meschina interpolazione del nostro "occidentalista" assolutamente indifendibile anche per personaggi estrosi come questi.
La situazione geopolitica del Medio Oriente viene anche in questo caso presentata come un confronto tra due prospettive inconciliabili, che oppongono da un lato i difensori del benessere e della "sicurezza" di Israele e dall'altro popolazioni geneticamente infide e votate al Male metafisico, rappresentato dal "terrorismo", meritevoli solo di distruzione. Peccato che le cose non vadano, specie sui campi di battaglia, come nei desideri di questa risma di irresponsabili e che per Israele l'aver colto l'occasione della guerra mondiale al "terrorismo" per sistemare una volta per tutte gli avversari si sia per adesso rivelato un calcolo sbagliato da cima a fondo.