Tino Stefanini e Giorgio Panizzari, Figli delle catastrofi
In Figli delle catastrofi si alternano i racconti autobiografici di Santino Stefanini e di Giorgio Panizzari. Milanese il primo, torinese e di qualche anno più giovane il secondo, due vite parallele che hanno finito per incrociarsi durante lunghissimi periodi di detenzione che per entrambi hanno finito per assommare a due terzi della vita. I racconti vertono sulla parte del vissuto che più li accomuna e che è fatta di una partecipazione militante alle iniziative della malavita che negli anni Settanta riempiva gazzette e rotocalchi. Una parabola i cui protagonisti rischiavano in prima persona e che gli AA. concordano nel descrivere come per questo caratterizzata da un'etica di fondo -oggi pressoché scomparsa- che oltre a non tollerare i delatori riconosceva una gerarchia informale fatta di prestigio in cui chi si accaniva sui più deboli non occupava certo posizioni di rilievo. Le catastrofi sono quelle di due biografie dense di sciagure e quelle di una generazione intera; anche per questo, chiariscono fin dalle prime pagine Stefanini e Panizzari, il libro "non inneggia a nulla": raccontarsi viene inteso come un modo per sentirsi vivi e per non temere "ciò che si prospetta davanti". Stefanini e Panizzari descrivono ciacuno la propria progressiva discesa (o ascesa, a seconda del punto di vista) in un climax che inizia con i piccoli furti e finisce con la rapina a mano armata; dalla ligera del quartiere Comasina di Stefanini alla periferia torinese di Panizzari con le sue batterie di rapinatori per i quali in quegli anni era una questione d'onore derubare chi era uscito ricco dalla guerra mentre era una vergogna "andare a prendere la pensione di un'anziana". Nelle similitudini, il percorso di vita degli AA. presenta comunque delle sostanziali differenze: nei racconti del primo emerge una propensione per azioni spesso decise nell'immediato, una predilezione per auto e moto prestigiose e per quella vita agiata che contribuì a una certa narrazione della malavita milanese; dai racconti del secondo traspare un modo di procedere debitore di pianificazioni accurate e senz'altro meno spericolato, che osservato in certe sue conseguenze avrebbe contribuito alla politicizzazione di un Panizzari che avrebbe partecipato nel 1972 alla fondazione dei Nuclei Armati Proletari.
Oltre a descrivere un mondo che alle generazioni successive alla loro appare caratterizzato da circostanze e possibilità inconcepibili -basti pensare alla rarità delle pur già esistenti telecamere o a quanto fossero rudimentali gli antifurti- gli AA. riportano piani, sequenze procedurali e obiettivi, fanno nomi e cognomi del personale della gendarmeria e del potere giudiziario con cui avrebbero avuto a che fare e ricordano anche le armi utilizzate, per lo più residuati descritti soprattutto nei difetti. Con l'avanzare della narrazione cambiano i ricordi e cambiano i contenuti: alle pagine in cui si racconta di come si faccia ad aver ragione di una marmotta (cassaforte) ben fatta o di una banca ben presidiata, di come si prepari la ripulitura di una gioielleria o di come si visitino con calma e metodo le più ricche case di una città tra le più ricche del mondo si sostituiscono quelle in cui Stefanini e Panizzari descrivono le rispettive viae crucis giudiziarie e detentive, i processi in cui "quando parla il Pubblico Ministero ti senti rovinato mente quando gli avvocati cercano di far valere le tue ragioni ti senti quasi libero", fino alle briciole di "normalità" di quando in quando consentite da un fine pena o da una decorrenza dei termini. Una normalità in cui gli AA assistono ai mutamenti radicali del mondo in cui erano vissuti, e che negli sprazzi tra una detenzione e l'altra appare loro stravolto fin nei minimi particolari del tessuto sociale.


Tino Stefanini e Giorgio Panizzari, Figli delle catastrofi. Ribelli e rivoluzionari. Milieu Edizioni, Milano 2023. 256pp.