Enzo Traverso - Gaza davanti alla Storia
Gaza davanti alla Storia è un breve saggio pubblicato nel maggio 2024, risultato della rielaborazione di un articolo pubblicato sul Manifesto nel dicembre precedente. Nella sua premessa Enzo Traverso rileva che mel contesto delle ostilità tra Hamas e lo stato sionista la maggior parte delle critiche mosse alla condotta bellica dello stato sionista presenterebbe comunque un presupposto di empatica solidarietà; in Occidente l'approvazione governativa e mediatica di cui ha goduto e di cui continua a godere lo stato sionista avrebbe contribuito a scavare un solco sempre più profondo tra le élite e l'opinione pubblica. Lo scritto vorrebbe indagare il dibattito politico e intellettuale suscitato dalla crisi di Gaza con particolare riferimento a come la storia vi verrebbe chiamata in causa per interpretare il presente. Enzo Traverso intende farlo senza rispettare gli assiomi di un Occidente che pretende di detenere il monopolio della morale oltre a quello del potere.
In Esecutori e vittime Traverso ricorda come Martin Heidegger abbia invocato le sofferenze imposte ai civili tedeschi dopo la sconfitta del 1945 per presentare la Germania come una vittima: una prassi che considera analoga a quella di molti editorialisti e commentatori contemporanei che ritraggono lo stato sionista intento a radere al suolo la striscia di Gaza come la vittima "del più grande pogrom della storia dopo l'Olocausto". Sempre presentato come vittima, lo stato sionista avrebbe al massimo commesso un "eccesso deplorevole" in una guerra di autodifesa leggittima sotto ogni altro aspetto. Se Nolte considerava "reattivi" i crimini dei nazionalsocialisti perché nati nella lotta contro il "prius logico e fattuale" dei totalitarismi del XX secolo costituito dal bolscevismo, nel caso specifico lo stesso prius sarebbe Hamas. Traverso nota come gli stessi mass media che difendevano le tesi di Nolte siano oggi diventati inflessibili sostenitori dello stato sionista, laddove il fondamentalismo islamico sarebbe l'equivalente del comunismo. La distruzione di Gaza, fattuale epilogo di un lungo processo di oppressione e di sradicamento, verrebbe oggi inquadrata in una guerra riparatrice la cui unica causa altro non sarebbe che l'improvvisa apparizione del Male il 7 ottobre 2023. Traverso descrive il 7 ottobre 2023 come "una tragedia metodicamente preparata da chi vorrebbe oggi indossare i panni della vittima", e ripercorre le ultime tappe di questa preparazione. L'A., presentate le cautele indispensabili, propende per considerare la distruzione di Gaza un genocidio ai sensi della definizione normativa data dall'ONU nel 1948. Lo stesso Primo Ministro dello stato sionista Benjamin Netanyahu avrebbe evocato in proposito nell'ottobre 2023 la lotta degli ebrei contro gli amalechiti, che il testo biblico (1 Samuele 15,3) descrive in termini di distruzione spietata e totale. A consentire all'A. di ricorrere al concetto di genocidio sarebbe anche l'incommensurabile sproporzione di forze tra i belligeranti; e se i crimini di guerra, intenzionali o accidentali, sono conseguenza e non fine di un conflitto, la distruzione di Gaza appare invece come l'obiettivo dell'offensiva dello stato sionista. L'esecutivo Netanyahu sarebbe partecipato anche da organizzazioni politiche propense alla completa estromissione della popolazione attraverso l'apertura della frontiera egiziana. In chiusura, Traverso sottolinea come la Corte internazionale di giustizia dell'ONU avrebbe riconosciuto la plausibilità dell'accusa di genocidio formulata dal Sud Africa nei confronti dello stato sionista. Stato sionista che avrebbe continuato la propria campagna omicida senza che nessuno dei suoi alleati facesse nulla per impedirlo.
Nel secondo capitolo Traverso sostiene che l'orientalismo teorizzato da Edward Said eserciti a tutt'oggi un'influenza sostanziale: l'Occidente definirebbe se stesso solo in opposizione alla radicale alterità di un'umanità non bianca, colonizzabile e gerarchicamente inferiore. La differenza rispetto al XIX secolo del colonialismo trionfante starebbe nel fatto che oggi si atteggia a fortezza assediata. Alla barbarie di Hamas con i suoi milleduecento morti si contrapporrebbe in quest'ottica il progresso di Tsahal e del suo programma Hasbora, in grado di selezionare gli obiettivi grazie all'intelligenza artificiale e di operare come una "fabbrica di assassinio di massa" nel contesto di una distruzione pianificata e metodica, che di vittime ne avrebbe fatte quaranta volte tante, diretta a privare la popolazione palestinese delle condizioni minime per la sopravvivenza. Un ulteriore programma, Lavender, avrebbe invece individuato quasi quarantamila subordinati di Hamas non meritevoli di attenzioni chirurgiche e quindi eliminabili a mezzo "bombe stupide" senza troppo sottilizzare sulle perdite collaterali. Un esempio di "ragione svincolata da ogni considerazione umana e sociale" in cui Weber, Adorno e Horkheimer avrebbero individuato "il motore nascosto della civiltà occidentale". Ai tempi dell'orientalismo trionfante gli ebrei sarebbero stati considerati degli ospiti indesiderati, e dei parvenu nei pochi casi in cui riuscivano ad emergere; oggi, sostiene l'A., non solo sarebbero parte integrante dell'Occidente ma ne sarebbero addirittura diventati il simbolo agli occhi di quanti li avevano perseguitati e disprezzati fino a ieri. Traverso ritiene che una melaninica "linea del colore" sia tornata in auge a suggellare l'alleanza tra suprematisti sionisti e suprematisti bianchi. Presentato dall'A. come "mimesi ebraica" dei nazionalismi europei, nell'interpretazione di Ilan Halevi il sionismo avrebbe cercato di impedire sgradite commistioni imponendo col 1948 una rottura radicale alla storia mizrahì, e imponendo comunque ai non ashkenaziti immigrati nello stato sionista una politica di assimilazione. Traverso ricorda come lo stato sionista non sia affatto nato come "bastione dell'imperialismo" con buona pace dell'auspicio iniziale di Theodor Herzl, ma lo sia diventato al termine di un lungo percorso di integrazione nel campo occidentale dagli inizi quantomeno incerti. L'esecutivo Netanyahu sarebbe oggi "la cupa incarnazione di questa metamorfosi", forte dell'empatia narcisistica suscitata in un mondo politico statunitense i cui due pesi e due misure avrebbero da tempo levato l'indignazione del mondo.
In Ragion di stato Traverso nota come la "religione civile" della memoria dello sterminio degli ebrei d'Europa stia tendendo ad abbandonare i suoi riferimenti originari, per identificarsi sempre di più con la difesa dello stato sionista. L'A. cita come esempio la repressione del dissenso operata nella Repubblica Federale Tedesca in nome di una invocata ragion di Stato, arrivata a livelli di parossismo tali da infastidire anche personalità ebraiche del mondo culturale. Rifacendosi a Norberto Bobbio, Traverso specifica come il ricorso alla ragion di Stato consista nella trasgressione non riconosciuta della legge in nome di un superiore imperativo di sicurezza: esso si riferirebbe a un insieme di azioni illegali e immorali che della legge costituirebbero una sorta di volto nascosto. Accampare la ragion di stato, in pratica, corrisponderebbe al machiavelliano fine che giustifica i mezzi e non porterebbe alla democrazia, ma direttamente a Guantanamo; nel caso dello stato sionista, accampare Staatsraison imporrebbe la completa non censurabilità dei crimini da esso commessi. Secondo Traverso il sostegno incondizionato alla politica dello stato sionista permetterebbe alla Germania di atteggiarsi a nemico dell'antisemitismo, e di accampare lo stesso antisemitismo a pretesto per disciplinare sul piano interno le minoranze identificate con l'Islam e il dissenso in generale.
Il quarto capitolo prende le mosse dal saggio di Marc Bloch del 1921 sulle notizie false sulla guerra. In circostanze favorevoli come quelle di una guerra in corso, quelle che oggi vengono dette fake news consentirebbero di conferire apparenza di equità e una qualche giusitificazione alle efferatezze commesse. In questo senso, i mass media nei giorni successivi al 7 ottobre avrebbero riattivato secondo Traverso i più antichi cliché antisemiti ritorcendoli contro i palestinesi. L'esercito dello stato sionista avrebbe massicciamente diffuso contenuti privi di fondamento prontamente ripresi in ogni sede, abbandonati o smentiti sottovoce dopo qualche settimana avendo comunque cura di non contraddire la narrazione dominante. L'A. ricorda sarcasticamente lo sfortunato Pasque di sangue di Ariel Toaff uscito nel 2007; gli organi della "libera informazione" che all'epoca dedicarono molte energie alla smentita delle dicerie su un crimine rituale nella Trento del 1457 non si sarebbero certo mossi con la stessa solerzia per smentire "la falsa notizia di neonati ebrei gettati nei forni da islamisti fanatici, falsa notizia che essi stessi avevano ampiamente diffuso pochi giorni prima".
Nel quinto capitolo vengono espressi, confrontati e approfonditi i concetti di antisionismo e antisemitismo. A lungo minoritario, il sionismo sarebbe stato solo uno fra i tanti prodotti della secolarizzazione e della modernizzazione del mondo ebraico. E solo di recente la destra conservatrice e l'estrema destra europee ne sarebbero diventate ardenti sostenitrici, soprattutto perché gli immigrati arabi e musulmani funzionerebbero assai meglio degli ebrei come capro espiatorio. L'A. nota, portando vari esempi, come in Occidente l'equivalenza tra antisionismo e antisemitismo sia di uso abituale e come venga utilizzata per denigrare, discriminare, marginalizzare e zittire le voci discordanti. Come sarebbero esistiti ex deportati comunisti in Germania disposti a giurare sull'inesistenza dei gulag in un'Unione Sovietica nata come patria del socialismo, oggi verrebbe rinforzata la convinzione per cui lo stato sionista, nato dalle ceneri dello sterminio degli ebrei d'Europa, non potrebbe perpetrare un genocidio. La narrazione corrente trasformerebbe lo stato sionista in vittima, partendo dal terreno di coltura dell'orientalismo, e in essa lo islamocomunismo sostituirebbe il giudeobolscevismo accusato di identiche nequizie. Traverso teme che alla lunga un simile capovolgimento del reale si riveli pericoloso, perché prima o poi nessuno potrà evocare lo sterminio degli ebrei d'Europa senza suscitare sospetti e incredulità da parte di chi avrebbe ragione di credere che si tratti di un mito inventato per difendere gli interessi dello stato sionista.
Nel sesto capitolo su violenza, terrorismo e resistenza Traverso ricorda come il massacro del 7 ottobre non sia nato dal nulla e come il contesto della festa nel Negev fosse dominato dalla sostanziale indifferenza per quello che accadeva dall'altra parte del muro elettronico che lo divideva da una prigione a cielo aperto. "Gaza non esisteva. Prima o poi la pentola a pressione sarebbe scoppiata". Secondo l'A., il 7 ottobre 2023 sarebbero stati scelti "mezzi incongrui e riprovevoli", ma nel contesto di una "lotta legittima contro un'occupazione illegale, disumana e inaccettabile" in cui le proteste pacifiche sarebbero state represse nel sangue, gli accordi di Oslo sabotati dallo stato sionista fin dall’inizio e l'Autorità palestinese altro non sarebbe stata che una polizia ausiliaria dello stato sionista in Cisgiordania. Alla vigilia del 7 ottobre l'esecutivo dello stato sionista avrebbe apertamente perseguito l'espansione degli insediamenti in Cisgiordania; attaccando lo stato sionista Hamas si sarebbe imposto come attore ineludibile, rivelando la vulnerabilità del nemico. "Per una volta il terrore, l'impotenza, la paura e l'umiliazione hanno cambiato campo", nota Enzo Traverso prima di ripetere che l'esecrabilità dell'iniziativa non mette in discussione la legittimità della resistenza all'occupazione e che i combattenti di Hamas corrisponderebbero perfettamente alla definizione classica del partigiano inteso come combattente irregolare motivato ideologicamente, radicato in un territorio e protetto dalla popolazione. Inoltre, la violenza di un movimento di liberazione nazionale non potrebbe essere equparata a quella di un esercito occupante; se nel primo caso si ricorre a mezzi illeciti, nel secondo sono illeciti anche gli scopi. L'A. nota anche come decenni di pace e di relativa prosperità in Occidente abbiano portato a una buona interiorizzazione del ripudio della violenza e al considerarla inammissibile a prescindere dal contesto. Una nutrita serie dei esempi attesta invece come l'uccisione dei civili sia sempre stata l'arma dei deboli nelle guerre asimmetriche: dal FLN algerino ai vietcong, dai GAP alla Main d’oeuvre immigrée di Missak Manochian fino allo stesso Irgun. Se rimane un mito "l'immagine sublime del combattente come eroe immacolato", riflette l'A, è altrettanto falsa quella "del terrorista come bruto, fanatico esaltato e crudele inebriato dalla hybris della morte".
Nel settimo capitolo, memorie incrociate, Traverso sottolinea come un dialogo tra due visioni della realtà radicalmente opposte come lo sono quella dei palestinesi e quella dello stato sionista sia impossibile; si tratterebbe di narrazioni unilaterali che celebrano la storia di una parte e ignorano o negano quella dell'altra. Rifacendosi ancora a Said, l'A. conclude che sarebbe toccato ai palestinesi pagare i debiti contratti nel corso dei secoli dall'Europa nei confronti degli ebrei. E in quanto parte del mondo occidentale lo stato sionista ne avrebbe adottato il linguaggio e i pregiudizi razzisti, cui farebbe da contraltare (e da rinforzo, tale da consentire di raffigurare lo stato sionista come una vittima) la vastissima diffusione in Medio Oriente dei più vieti stereotipi dell'antisemitismo europeo del XIX secolo dai "Protocolli dei savi di Sion" in poi. I responsabili della politica dello stato sionista, nota l'A. rifacendosi a Primo Levi, si sarebbero sempre comportati come se lo sterminio degli ebrei d'Europa avesse conferito allo stato sionista "uno status di innocenza ontologica". Risultato, la propaganda, i comportamenti e a volte l'iconografia dell'autonominato esercito più etico del mondo apparirebbero sovrapponibili a quelli della Wehrmacht.
Nell'ultima parte del saggio intitolata from the river to the sea Traverso ricorda il sabotaggio degli accordi di Oslo da parte dello stato sionista, che li avrebbe trasformati nella premessa per la colonizzazione della Cisgiordania, l'annessione di Gerusalemme Est e l'isolamento di una Autorità Nazionale Palestinese ridotta a entità fantasma corrotta e screditata. La "soluzione dei due Stati" ancora sporadicamente evocata in Occidente altro non significherebbe che l'erezione di qualche bantustan sottomesso allo stato sionista e sarebbe comunque irrealizzabile dal momento che la scoperta intenzione dello stato sionista sarebbe quella di annettere la Cisgiordania e di ripulire etnicamente Gaza. Ancora citando Said, Traverso ritiene che uno stato laico binazionale potrebbe essere l'unica strada per la pace e che in questo senso vada lo slogan ricorrente e citato nel titolo. Uno slogan e un obiettivo che il "sionismo culturale" di Ahad Ha’am, Robert Weltsch, Martin Buber, Gershom Scholem e Judah Magnes avrebbero condiviso, ma che contrasterebbe invece con la dottrina di lebensraum adottata e perseguita dal sionismo revisionista, la cui idea di stato si reggerebbe su una particolarissima combinazione di teologia e colonialismo e che avrebbe sostanzialmente agito come se i palestinesi non esistessero neppure.


Enzo Traverso, Gaza davanti alla storia. Bari, Laterza 2024. 104 pp.