Sahra Wagenknecht - Contro la sinistra neoliberale
Die Selbstgerechten ("I presuntuosi") di Sahra Wagenknecht è stato pubblicato nel 2021; tre anni dopo la Wagenknecht ha ottenuto rilevanti risultati elettorali nel Brandeburgo, presentandosi con una propria lista che ha attirato quasi per intero almeno i voti della Die Linke in cui l'Autrice aveva militato per molti anni. Un risultato che è difficile non intendere come una conferma delle tesi sostenute in questo saggio.
La prefazione di Vladimiro Giacché anticipa alcuni temi del testo, prima fra tutte la critica della Lifestyle Linke. Una "sinistra alla moda" che si concentra su questioni che attengono allo stile di vita, alle abitudini di consumo e ai giudizi morali sul comportamento invece che sui problemi politici, sociali ed economici. Quello della "sinistra alla moda"-,che le gazzette "occidentaliste" pubblicate nella penisola italiana indicano di solito con appellativi assai meno rispettosi- costituirebbe un contesto in cui si riconoscerebbero e agirebbero "liberali di sinistra" che non hanno alcun rapporto con i principi socialisti e che considerano un atto di realizzazione personale anche la partecipazione a cortei che somigliano più a performance artistiche che non a dimostrazioni della volontà di lotta su temi specifici. A un'adesione sostanziale al neoliberismo economico e alla focalizzazione sui diritti civili si accompagnerebbe una pratica politica impermeabile al contraddittorio: chi contesta l'agenda della sinistra neoliberale non può essere mosso altro che da nostalgie inconfessabili. Giacché concorda con la Wagenknecht nell'identificare il punto di svolta nell'adesione alla "terza via" di Clinton, Blair e Schröder, quella che diede inizio alla seconda ondata di riforme economiche neoliberali dopo quella di Reagan e della Thatcher. Liberismo economico, globalizzazione e smantellamento dello stato sociale sarebbero descritti come un primo attacco fatto di "modernizzazioni progressiste" il cui effetto pratico sarebbe stato quello di sottrarre benessere e sicurezza a fasce di elettorato passate in blocco alla destra. Il secondo attacco verrebbe dalla narrazione liberale di sinistra, che indicherebbe come retrogradi e moralmente criticabili i valori di chi si opponga alle modernizzazioni su accennate. Una dinamica politica e sociale che nella penisola italiana avrebbe prodotto la "sinistra della ZTL" e che rispecchierebbe valori ed interessi individualistici e cosmopolitici di un ceto medio fatto di laureati e di accademici. Giacché considera un aspetto importante del lavoro della Wagenknecht il fatto che esso metta direttamente in questione proprio l'individualismo e il cosmopolitismo, che si sono rivelati in grado di delegittimare "tanto una concezione dello stato sociale elaborata entro i confini dello Stato nazionale, quanto una concezione repubblicana della democrazia" attaccando i vincoli di comunità e lo stesso Stato in quanto nemici della narrazione neoliberista. Il liberalismo di sinistra se ne distanzierebbe solo perché non delegherebbe le prerogative dello stato alle multinazionali ma a strutture democratiche transnazionali. La Wagenknecht -rileva Giacché- pensa che il vituperato stato nazionale sia a tutt'oggi l'unico attore realmente in grado di agire in ogni grande crisi tenendo sotto controllo i mercati, garantendo l'uguaglianza sociale e liberando determinati ambiti dalle logiche commerciali, laddove invece il dogma della competitività avrebbe schiacciato la concorrenza equa, e la fede nella "mano invisibile del mercato" portato alla nascita di monopoli strapotenti.
Nella premessa Sahra Wagenknecht descrive il clima sociale e mediatico tedesco come una realtà in cui espressioni come "bene comune" e "senso civico" sono scomparse persino come vocaboli; i rituali emotivizzati dell'indignazione, della diffamazione e dell'odio vi avrebbero sostituito il confronto democratico. L'ascesa delle destre sarebbe stata preparata dai loro sedicenti avversari -divenuti sprezzanti dei valori e del modo di vivere di quello che un tempo era il loro elettorato- con la distruzione delle garanzie sociali, la liberazione dei mercati da ogni vincolo e l'amplificazione all'estremo delle disparità sociali e dell'incertezza economica. La Wagenknecht è certa che tra i vincenti dell'epoca attuale non vi siano solo i titolari di grandi patrimoni ma anche un nuovo ceto medio formato dai laureati delle grandi città, ambiente in cui "il liberalismo di sinistra è di casa" e in cui l'esplosione dei prezzi degli immobili ha imposto una divisione sempre più netta della popolazione e una conseguente compartimentazione sociale. Futuro imprevedibile e vita incerta avrebbero contribuito a un clima di paura che avrebbe tolto agibilità alla politica responsabile proprio come la cancel culture avrebbe ridotto lo spazio per i confronti leali.
La prima parte del saggio passa in rassegna le caratteristiche salienti di quelli che la Wagenknecht considera una società spaccata e i suoi sostenitori. Il primo capitolo prende di mira la i moralisti senza empatia di una sinistra alla moda, cosmopolita e attenta al linguaggio. L'A. presenta un nutrito numero di esempi in cui appartenenti a questa sinistra hanno eccepito con puntiglio su prodotti, campagne di marketing, prodotti dell'industria culturale e financo classici della letteratura e del pensiero filosofico non sufficientemente corretti dal punto di vista politico -e quindi censurabili, emendabili e bandibili- ma non ha trovato nulla da ridire sul peggioramento costante di retribuzioni, condizioni contrattuali e di lavoro. La Wagenknecht ricorda invece una sinistra per cui l'imperativo liberale che vieta di penalizzare qualcuno per motivi culturali o razziali sarebbe stato ovvio, e che si sarebbe battuta invece per sottolineare il concetto che uguaglianza sul piano legale e parità di occasioni non coincidono affatto. Una sinistra tradizionale che esisterebbe ancora oggi -specie nelle realtà di base- nonostante il mainstream del liberalismo di sinistra consideri il suo modo di pensare "una minestra riscaldata rivolta al passato". L'immaginario pubblico della sinistra sociale sarebbe dominato da una Lifestyle Linke il cui concentrarsi sullo stile di vita, sui comportamenti di consumo e sui giudizi morali sul comportamento non sarebbe considerato affatto di sinistra secondo parametri tradizionali; esso tuttavia rientrerebbe oggi sotto questa etichetta e come tale verrebbe percepito. L'obiettivo rimarrebbe quello di una società più giusta, ma anziché impegnarvisi attraverso i temi dell'economia sociale la lifestyle Linke vi si impegnerebbe attraverso simboli e linguaggio. L'anatema sui vocaboli potenzialmente offensivi o scatenanti avrebbe portato i suoi esponenti più osservanti a far proprio "un modo di esprimersi così particolare da avere poco a che fare con la lingua tedesca", sottoposto a continui aggiornamenti. A rendere antipatici i rappresentanti della lifestyle Linke a chi deve vedersela con la continua contrazione dei redditi e con l'inarrestabile abbassamento del tenore di vita sarebbe la loro tendenza a considerare come virtù quelli che sono privilegi e a presentare la propria weltanschauung come la quintessenza della responsabilità e del progressismo, a fronte dei comportamenti riprovevoli di quelli che negli USA indicherebbero come white thrash e basket of deplorables e che nella Repubblica Federale Tedesca corrispondono più in generale agli "uomini bianchi e attempati" e a quanti per un motivo o per l'altro esibiscono comportamenti di consumo eccepibili. Categorie che la Wagenknecht descrive come piuttosto propense a ricambiare la disistima. La Wagenknecht asserisce che il liberalismo di sinistra sarebbe costituito da un canone di precetti da rispettare dogmaticamente, pena l'iscrizione ai ranghi dei nemici dell'umanità passibili di essere ridotti al silenzio (se non distrutti socialmente) con qualche campagna all'insegna della cancel culture. La visibilità mediatica della lifestyle Linke, garantita dalle relazioni più o meno informali di appartenenti in genere privi di preoccupazioni economiche e spesso anche di empatia, avrebbe anche fatto sopravvalutare la popolarità e la portata delle sue spesso colorate se non festose iniziative. Secondo la Wagenknecht l'arroganza di un simile ambiente, cui si accompagnerebbe una forte miopia per qualsiasi cosa esuli dall'agenda, sarebbe per lo meno corresponsabile in Germania dell'ascesa degli opinion leader della destra estrema. Il milieu del liberalismo di sinistra non la considererebbe una cosa preoccupante, dal momento che lo scopo dell'attivismo politico -spesso animato da rivendicazioni irrealizzabili- sarebbe quello della realizzazione personale e non quello degli effetti sul piano sociale. Anzi, i contesti in cui si dispiegherebbe l'attivismo della sinistra alla moda consentirebbero ai suoi protagonisti di non entrare mai in conflitto con gruppi di interesse influenti: l'A. sottolinea la propensione della lifestyle Linke a spendersi per cambiare il linguaggio degli enti pubblici o per introdurre corsi universitari sulle teorie di genere, che non per i salari minimi o per l'introduzione di una tassa patrimoniale. Il crollo del consenso elettorale nei confronti di chi adotta agende simili sarebbe, secondo un corposo volume di Thomas Piketty citato dalla Wagenknecht, sensibilissimo e diffuso in tutti i paesi occidentali. L'A. infierisce in particolare contro il suo partito di provenienza, in cui l'adozione di un'agenda da lifestyle Linke ha effettivamente coinciso con un crollo dei consensi. Crollo cui avrebbe contribuito in misura importante il fatto che l'esordio parlamentare di formazioni con un'agenda del genere avrebbe coinciso con l'epoca dei Clinton, dei Blair, degli Schröder e della relativa seconda ondata di riforme economiche liberiste. Il risultato sarebbe stato quello di una politica in cui l'amore universalistico per l'umanità andava a braccetto con la riduzione delle pensioni e la precarizzazione del lavoro: le donne delle pulizie dipendenti statali sarebbero state sostituite da curatrici degli spazi con contratti precari, in una cornice che Nancy Fraser avrebbe definito di neoliberismo progressista. Nello smantellamento dello stato sociale e nelle privatizzazioni che si sono tradotte in una crescente insicurezza, i governi ispirati o dominati dalla sinistra alla moda avrebbero agito con ancor più risolutezza dei loro sedicenti avversari.
Il secondo capitolo del libro affronta il tema delle grandi narrazioni, giustificativo e puntello condiviso di ogni assetto sociale, sempre poste a tutela dell'interesse di qualche gruppo di potere. La Wagenknecht cita l'esempio della Rivoluzione francese come punto di riferimento essenziale per qualsiasi movimento voglia raggiungere un'ampia fetta di popolazione in Francia. In Germania a penetrare profondamente la memoria collettiva sarebbe stata l'inflazione durante la Repubblica di Weimar, cosa che avrebbe reso oltremodo popolare quel "pareggio di bilancio" che servirebbe a mascherare la scelta dello Stato di non investire. L'A. nota che per avere successo queste narrazioni devono presentarsi come positive: la narrazione di un paese che permette agli investitori internazionali di fare incetta di imprese locali e di darsi alla speculazione immobiliare dovrebbe così presentarlo come "aperto al mondo", anche se coloro che farebbero le spese di simili dinamiche lo definirebbero piuttosto "indifeso", se la narrazione dominante non condizionasse anche il loro modo di pensare. Il libro presenta un'analisi dei rapporti tra propensione al voto, milieu culturale e pressioni di gruppo modellata sull'ambiente tedesco, ma utile al di là di questo per indicare nuovamente la natura emotiva e morale -e quindi di difficile traduzione pratica- di certe rivendicazioni cosmopolite della sinistra alla moda.
Nel terzo capitolo la Wagenknecht ripercorre per grandi linee la storia del movimento operaio, anche in questo caso con specifici riferimenti alla realtà tedesca e all'ovunque presente squilibrio di potere tra padronato e mano d'opera -specie quella non qualificata- che avrebbe imposto ai lavoratori di allearsi per portare avanti collettivamente le proprie istanze. Tra gli anni Cinquanta e Settanta del XX secolo lo sviluppo della normativa a favore dei lavoratori avrebbe raggiunto il massimo, e massimo sarebbe stato il peso della classe operaia come corpo sociale, grazie alla coesione e alla solidarietà praticate. In Germania il fenomeno avrebbe dato origine alla narrazione di una "società media livellata" priva di forti contrapposizioni sociali, in cui i valori di responsabilità (anche del più forte verso i più deboli), produttività, impegno, disciplina, ordine, sicurezza, stabilità e normalità sarebbero stati condivisi tanto dalla classe operaia quanto dalla piccola e media borghesia. Al di là dei molti aspetti mitici della narrazione, in quel periodo lo stato tedesco federale avrebbe limitato e regolato la corsa al profitto, agito sulla distribuzione dei redditi, varato una rete di prestazioni sociali e sottratto alla logica del profitto una serie di àmbiti vitali come l'educazione, la casa e la sanità. In questo contesto una formazione professionale solida e l'esperienza lavorativa avrebbero garantito l'accesso alla maggior parte dei beni della società dei consumi dell'epoca; la sicurezza sociale avrebbe consentito una attendibile pianificazione del futuro. Dalla fine degli anni Settanta, in quello che sarebbe stato interpretato come un "naturale passaggio dall'economia industriale al terziario" e come "internazionalizzazione e individualizzazione della società" facilitate dalla nascita e dalla diffusione delle nuove tecnologie, secondo la Wagenknecht i valori della classe operaia avrebbero non solo perso fascino e apprezzamento, ma sarebbero stati considerati antiquati, retrogradi e provinciali da una schiera di nuovi opinion leader. Interi settori industriali sarebbero scomparsi -in rari casi sostituiti da produzioni specializzate ad alta tecnologia- sotto una costellazione di fattori compresa tra l'automatizazzione, la saturazione dei mercati, la delocalizzazione e la razionalizzazione dei processi produttivi, con annessa distruzione dei posti di lavoro. La Wagenknecht ritiene che la volontà politica sia stata assai più responsabile delle innovazioni tecnologiche, dal momento che l'abolizione dei dazi doganali, i pochi o nulli controlli sul dumping tributario e le agevolazioni per gli investimenti delle multinazionali sarebbero stati il risultato del peso politico delle imprese e soprattutto delle lobby. Una globalizzazione al servizio dell'interesse e del reddito da capitale avrebbe acuito le disparità sociali in Occidente, danneggiando anche piccole e medie imprese spazzate via dalla nuova concorrenza a buon mercato. L'agenda politica fatta di liberalizzazione dei mercati finanziari, smantellamento delle prestazioni sociali, privatizzazioni diffuse e deregulation nel mercato del lavoro portata dapprima avanti dai conservatori e poi dai socialdemocratici avrebbe pesantemente favorito delocalizzazioni ed esternalizzazioni; molte imprese si sarebbero trovate a dipendere da altre -situate chissà dove- e la classe operaia avrebbe dovuto vedersela con una drastica contrazione dei redditi e col ricollocamento nell'enfiato settore dei servizi, avido di mano d'opera non qualificata, meno retribuito e con tutele inferiori al punto da obbligare i lavoratori a concentrare ogni energia per organizzare di mese in mese il mantenimento di un tenore di vita tollerabile. L'A. riporta una documentata casistica sugli effetti negativi delle dinamiche qui accennate notando come nel caso dei lavoratori di fabbrica le previsioni sulla vittoria di un'etica individualista siano spesso smentite. L'erosione del potere sindacale, il crollo della coesione e della solidarietà sarebbero vissuti come catastrofi sociali e come sconfitte personali, così come il peggioramento della qualità della produzione. Negli individui esclusi a lungo dalla vita professionale e fra i poveri delle nuove generazioni si svilupperebbero invece comportamenti eticamente opposti ai valori della classe operaia e dominati da atteggiamenti asociali.
Una quota della forza lavoro pari a quella impiegata nei servizi meno qualificati sarebbe invece rappresentata dal nuovo ceto medio dei laureati di cui il libro tratta nel quarto capitolo, che dai fenomeni già esposti avrebbe invece tratto vantaggio. Mercato finanziario, economia digitale, nuovi media e servizi legali avrebbero creato un nuovo ceto medio che sarebbe andato a occupare i quartieri centrali delle metropoli e delle città universitarie; una popolazione che costituirebbe un target a valore aggiunto grazie alla sua propensione a fare shopping per un mondo migliore. A differenza degli operai, che si sarebbero guadagnati qualche avanzamento di status solo grazie a trattative condivise e a contratti standardizzati, il nuovo ceto medio vivrebbe in un "ambito della singolarità" in cui a parità di competenze molto dipenderebbe dalla fortuna, dal caso, dal variare di cose come i "team a progetto". L'A. nota che l'etica del lavoro tradizionale, che prevedeva l'idea di fare per gli altri qualcosa di sensato e di utile, rischierebbe di uccidere una carriera in molti dei nuovi settori in cui il bene comune non è neppure concepito: il saggio sostiene anzi che le menti più istruite e meglio pagate della società dei servizi sarebbero impegnate in attività inutili se non dannose. Al di sotto di questo nuovo ceto medio si sarebbe sviluppato un "nuovo ceto basso dei laureati" che vivrebbero letteralmente alla giornata da precari nel campo della cultura e dell'intrattenimento.
Sahra Wagenknecht identifica nel ritorno del privilegio dell'istruzione la miglior arma cui il ceto medio su descritto possa ricorrere per trasmettere i propri privilegi. Alle professioni meglio retribuite nella realtà tedesca si accederebbe solo con qualifiche e competenze che non possono essere ottenute seguendo il normale percorso di formazione pubblica e che richiederebbero costosi e lunghi supplementi in altri ambienti, cui si accederebbe tramite preziosi e curati contatti informali. Negli ultimi decenni in Germania si sarebbe aperto un divario crescente tra ottime e pessime scuole che rispecchierebbe la suddivisione per reddito degli abitanti dei centri urbani; anche la differenza tra studenti più o meno bravi sarebbe in diretta correlazione con il livello di istruzione e reddito della famiglia di origine. Secondo la Wagenknecht il ceto medio dei laureati costituirebbe un milieu esclusivo ed endogamico da cui sarebbero sorte le grandi narrazioni del neoliberismo prima e del liberalismo di sinistra poi. Negando l'esistenza stessa della società, specie nella sua accezione di comunità solidale e responsabile, il neoliberismo avrebbe negato anche la responsabilità del singolo nei confronti degli altri liberandolo da qualsiasi vincolo di lealtà; la legge sarebbe servita solo a garantire che nessuno ricorresse a mezzi sleali per raggiungere i propri fini. Nel neoliberismo il tipo del giocatore mosso da fortuna, caso e inganno avrebbe sostituito il tipo dell'ingegnere preciso e scrupoloso, a sottendere che le virtù borghesi non avrebbero garantito alcuna possibilità di ascesa sociale e spesso neppure il tenore di vita già raggiunto. L'imprenditore di se stesso in concreto sarebbe finito a lavorare senza sicurezza sociale e per retribuzioni miserabili; Sahra Wagenknecht illustra la crisi del modello neoliberista alla fine del XX secolo, con l'ondata di vittorie elettorali socialdemocratiche che avrebbero fatto del liberalismo di sinistra la narrazione dominante. Al mutare della narrazione non avrebbe corrisposto un mutare della politica. Sahra Wagenknecht ricorda la specificità della storia politica tedesca, in cui il movimento del 1968 e la classe operaia sarebbero rimasti estranei se non ostili l'uno all'altra. L'ondata di giovani laureati sessantottini che avrebbe costituito l'ossatura della SPD dagli anni Settanta avrebbe trasformato il vecchio partito operaio in un partito della pubblica amministrazione. All'ambiente del ceto medio dei laureati avrebbero fatto riferimento anche i Verdi, anch'essi privi di simpatia per il mondo operaio e industriale. Nel corso degli anni la sinistra sarebbe finita, non solo in Germania, per cambiare lato: non rappresenterebbe più i meno privilegiati ma coloro che sono usciti vincitori dalle trasformazioni sociali degli ultimi decenni.
La Wagenknecht dedica il quinto capitolo a una disamina del liberalismo di sinistra che caratterizzerebbe la Lifestyle Linke; una narrazione che unirebbe una costellazione di concetti dall'accezione positiva (diversità, apertura al mondo, modernità, ambientalismo, tolleranza) a un ben definito ritratto di un avversario fatto di nazionalismo, nostalgia del passato, provincialismo, razzismo, sessismo, omofobia e islamofobia. Il liberalismo di sinistra dovrebbe la propria ipersensibilità alle questioni di lingua e di simbologia al decostruttivismo di Foucault e di Derrida e al terreno fertile che esso avrebbe trovato nei più elitari campus statunitensi. Luoghi in cui, nota malignamente la Wagenknecht, sarebbero stati imposti codici linguistici stringenti per evitare microaggressioni nei confronti degli esponenti di gruppi marginalizzati appartenenti al ceto medio in grado di sostenere rette di frequenza che comprendono anche la protezione completa dai contatti con soggetti meno abbienti, mentre "gli sfruttati, i discriminati e gli oppressi" vi entrano al più "per pulire le aule o per sturare una toilette intasata". Il liberalismo di sinistra avrebbe amplificato e imposto ovunque una "politica identitaria" secondo la quale chi non appartiene a una minoranza marginalizzata di tipo riconosciuto e accettato è esposto a continui passi falsi emendabili solo con autocritica ed espiazione. Secondo l'A., con essa il liberalismo di sinistra non punterebbe all'equiparazione legale delle minoranze ma alla richiesta di privilegi per le stesse. Anziché mirare a rendere socialmente irrilevanti le differenze di classe o di luogo di nascita, la politica identitaria le eleverebbe a confini invalicabili a qualsiasi intesa e a qualsiasi empatia. La politica identitaria svierebbe in ogni caso l'attenzione dalle strutture sociali e dai rapporti di proprietà per puntarla su specificità individuali, erette a principali se non uniche determinanti dell'identità. L'A. nota che l'influenza del liberalismo di sinistra avrebbe indotto anche realtà organizzative molto lontane da certe sensibilità (ma non da certi livelli di reddito) ad adeguarsi. Questo fervore per il "teatrino delle quote e della diversity" impazzerebbe solo ai piani alti dell'economia e della politica: della tutela della diversità di fattorini e lavascale nessuno parrebbe darsi troppe preoccupazioni. Secondo la Wagenknecht l'affermarsi di questa politica identitaria avrebbe molto ridotto la diversità sociale dei rappresentanti negli organi politici, dal Bundestag all'esecutivo. Allo stesso modo in tutto l'Occidente anche i medi ambienti del management sarebbero per lo più prerogativa di benestanti laureati che vivono in grossi centri, in misura assai maggiore che in passato. Il ceto medio sarebbe riuscito a tagliare i ponti con le classi inferiori, e "il gran bailamme sulla diversity, con i suoi allegri messaggi di colore, varietà, apertura e liberalità" altro non servirebbe che a nascondere questo dato di fatto, che di suo spiegherebbe l'insofferenza con cui gli esclusi reagiscono quando i privilegiati si atteggiano a vittime discriminate, magari dopo aver preteso di parlare in nome di inesistenti interessi comuni. L'A. sottolinea come la politica identitaria del liberalismo di sinistra creerebbe divisioni non solo postulando interessi comuni laddove non ne esistono, ma anche inducendo gli appartenenti alle minoranze a fare gruppo per contro proprio, in contrapposizione a maggioranze i cui appartenenti sarebbero colpevolizzabili a prescindere dal loro effettivo comportamento. L'estrema destra avrebbe presto imparato a trarre vantaggio dalla situazione, dirigendo l'astio del potenziale elettorato non solo contro quelli che verrebbero percepiti come i vantaggi delle minoranze, ma contro le minoranze stesse. La Wagenknecht riporta il caso del Regno Unito, in cui la creazione e l'imposizione dall'alto -e soprattutto il finanziamento- di organizzazioni preposte a postulate minoranze su base etnica abbia levato l'ira della maggioranza esclusa. Citando un documentato saggio di Bernard Rougier,l'A. ricorda anche l'ascesa delle organizzazioni salafite nelle periferie francesi, avvenuta grazie a considerevolissime concessioni fatte ai loro leader da sindaci liberal-progressisti per motivi elettorali. La prassi del liberalismo di sinistra per cui è inammissibile la critica alla religione di una minoranza per quanto retrograda essa sia avrebbe concesso agibilità politica a un salafismo che non avrebbe chiesto di meglio. A commento della virata di centoottanta gradi di un pensiero di sinistra che pochi decenni fa avrebbe lottato per affrancare le donne dallo hijab, la Wagenknecht ricorda la presa di posizione a favore del burqa espressa da Judith Butler, "fondatrice e icona della teoria gender". Per molti anni l'estremismo avrebbe curato l'organizzazione di reti di auto aiuto per contrastare uno smantellamento dello stato sociale e uno scatenamento del liberismo di cui i Blair e gli Schröder sarebbero stati attivi promotori; tra gli esiti concreti, una generazione in cui sarebbero in molti a propendere per isolarsi esplicitamente dalla popolazione locale, contribuendo al disfacimento della coesione delle comunità. In Germania i legami comunitari inesistenti costituirebbero un problema anche per la malpagata realtà del settore dei servizi, in aziende in cui i dipendenti non riuscirebbero neppure a interagire; un contesto che l'A. pone malignamente a confronto con la variopinta diversity del lavoro medioborghese prima di rilevare l'impossibilità di condurre lotte sindacali in simili condizioni. Quali che siano le intenzioni, la politica identitaria avallerebbe di fatto la costruzione di una società priva di impulsi solidali e dominata dalle sole dinamiche del mercato, in perfetta continuità col neoliberismo. L'A. nota anche l'esistenza di un "liberalismo di sinistra contrario al liberismo economico" che considererebbe i poveri e gli emarginati come una minoranza al pari delle altre, con la conseguenza di negare la validità di uno stato sociale come quello vigente un tempo in Germania, le cui prestazioni erano rivolte alla maggioranza della popolazione -non soltanto ai poveri- e che aveva comunità e uguaglianza come principi fondamentali. In Germania lo stato sociale dei liberali di sinistra sarebbe poco popolare perché assicurerebbe a tutti indistintamente delle garanzie minime con una sorta di reddito di base incondizionato, rompendo quindi anche coi valori di correttezza e di reciprocità. Dietro l'apparenza straordinariamente progressista, l'idea della "società aperta" cara ai liberali di sinistra -e che l'autrice spinge all'estremo, indebolendo le proprie argomentazioni- nasconderebbe implicazioni insostenibili, come la fatale tendenza al sovraccarico di qualsiasi sistema sociale elargisca prestazioni decenti. Un cosmopolitismo pienamente realizzato farebbe anche venire meno il dovere di qualsiasi stato di riservare particolari tutele ai propri cittadini. La Wagenknecht cita il caso di Berlino, in cui i fondi immobiliari alimentano speculazioni enormi e aumenti vertiginosi degli affitti: la prospettiva di porre limiti alla loro azione è stata contrastata in nome di una "apertura al mondo" che altro non sarebbe che una giustificazione astuta -perché presentata con motivazioni nobili- alla libertà di rincorrere rendite a livello globale senza fastidiose limitazioni politiche. E possibilmente senza doveri percepiti nei confronti dei meno privilegiati. Il liberalismo di sinistra celebrerebbe anche un rifiuto dell'uniformità e del conformismo, associati a uni statalismo e a grigie atmosfere burocratiche che nella Germania Occidentale degli anni Settanta avrebbero fatto funzionare proprio quell'ascensore sociale che oggi esiste -e nemmeno tanto spesso- solo per chi proviene da un ambiente familiare ben dotato di risorse. Secondo l'A., la presunta società aperta sarebbe segnata da muri sociali veri e propri e dal completo isolamento anche fisico della classe più abbiente. Il dilagare del lavoro malpagato nel settore dei servizi avrebbe invece fatto strame della pretesa emancipazione della donna, che la Wagenknecht trova corretto riservare alla categoria delle donne laureate; solo quelle del ceto medio borghese disporrebbero delle risorse necessarie a considerare un beneficio la fine della "famiglia normale". La narrazione dei liberali di sinistra si compendierebbe in un rebranding delle parole d'ordine del neoliberismo: l'egoismo diventa autorealizzazione e la distruzione delle sicurezze rifiuto della normalità, a beneficio di "cittadini del mondo" ciechi alle condizioni dei propri vicini. Il predominare mediatico e sociale di questa narrazioni avrebbe il principale effetto di legare allo stato di cose presente anche chi avrebbe ogni interesse a modificarlo, ivi compresi i laureati meno benestanti. La Wagenkmecht è convinta che il programma politico neoliberista non sarebbe progredito se i nuovi liberali di sinistra non gli avessero coperto le spalle, per di più allontanando i partiti di sinistra dalla classe operaia e dai non laureati a basso reddito, sostanzialmente impedendo la nascita di maggioranze politiche in grado di influire significativamente.
Nel sesto capitolo l'A. esordisce notando che una visione positiva dei fenomeni migratori apparterrebbe alla lifestyle Linke quanto la fede nella resurrezione apparterrebbe al cristianesimo, con relativa scomunica per i dubbiosi in ambo i casi. A fronte di una realtà in cui le disparità a livello mondiale sono aggravate da "accordi di libero scambio, brevetti farmaceutici, sfruttamento economico, appropriazione di terreni, esportazione di armamenti e guerre per l’accaparramento delle materie prime" la Wagenknecht dubita che la promozione e la facilitazione dei movimenti migratori rappresentino una misura opportuna. Il liberalismo di sinistra presenterebbe le migrazioni come un fenomeno win-win che alleggerirebbe la pressione sui paesi di provenienza e fornirebbe forza lavoro giovane e motivata a quelli di destinazione. Dopo aver distinto tra profughi e migranti volontari la Wagenknecht cerca di demolire la visione del liberalismo di sinistra con esempi scelti con cura: l'emigrazione volontaria riguarderebbe in genere persone dalla formazione migliore della media, che consentirebbero ai paesi evoluti di risparmiare sulla formazione di figure professionali dello stesso tipo; con le loro rimesse contribuirebbero inoltre a drogare il mercato del lavoro nei paesi di provenienza facendovi crescere l'inflazione, i rapporti di lavoro informali e incoraggiando sempre di più la fuga dei cervelli. Secondo l'A. per svariati decenni la "libera circolazione dei lavoratori" al centro dei Trattati di Roma non avrebbe provocato alla costruenda UE grossi problemi, dati i livelli di vita e le condizioni salariali relativamente simili; dopo il 2004 invece l'ingresso nella UE dei paesi dell'est percentuali a due cifre della popolazione in età attiva si sarebbero avvalse di questo diritto, causando grave penuria di mano d'opera qualificata nei paesi di origine -con particolare riferimento al personale sanitario- e frenandone bruscamente le prospettive di crescita. Anche nel caso dei profughi, scrive l'A. citando un saggio di Paul Collier e Alexander Betts, ad arrivare in Europa sarebbero per lo più maschi giovani relativamente benestanti, gli unici in grado di retribuire i trafficanti. La guerra in Siria, generosamente aizzata da un Occidente che si oppone attivamente alla ricostruzione nella Repubblica Araba con ogni sorta di sanzione, avrebbe portato solo in Germania quasi due milioni di profughi per lo più ascrivibili a questa categoria. Nei paesi di destinazione sarebbero i padroni a trarre i maggiori vantaggi da un fenomeno che procura mano d'opera a basso costo -perenne minaccia sul mercato del lavoro- e consente di creare divisioni fra i dipendenti. La Wagenknecht ricorda che un fenomeno analogo in Germania -l'assunzione di lavoratori polacchi- venne regolamentato nella Repubblica di Weimar su iniziativa socialdemocratica. Negli anni Sessanta la Germania avrebbe stretto accordi di reclutamento per i gastarbeiter, lavoratori temporanei e non sindacalizzati destinati alle mansioni peggiori. L'apertura all'immigrazione avrebbe comunque costituito una reazione al calo della disoccupazione e alla maggiore combattività di lavoratori e sindacati. L'A. ricorda che nelle realtà produttive statunitensi i sindacati forti avrebbero tutelato i propri iscritti impedendo di fatto l'accesso alla forza lavoro immigrata nei rispettivi settori di competenza. Fino a quando il neoliberismo non avrebbe fatto strame di regolamentazioni e restrizioni. Nella Germania contemporanea i lavoratori immigrati sarebbero in diretta concorrenza con i tedeschi nel settore dei servizi e laddove dominano forme contrattuali atipiche, di cui sono in compenso tipiche le retribuzioni molto inferiori alla media. L'immigrazione assicurerebbe comunque forza lavoro disponibile, provocando il calo o la stagnazione delle retribuzioni. La Wagenknecht nota che a soffrire per il dumping salariale sarebbero per lo più i lavoratori privi di competenze elevate e facilmente intercambiabili di settori in cui le tutele sindacali sarebbero da tempo evaporate: la Lifestyle Linke "può essere solo felice di avere la baby sitter o l'idraulico a poco prezzo". Le basse retribuzioni confinerebbero gli immigrati di questo genere in quartieri svantaggiati di cui la Wagenknecht sottolinea le carenze -con particolare riguardo al sistema scolastico- e gli effetti non certo favorevoli all'integrazione. L'A. approverebbe in proposito l'introduzione di tetti massimi agli allievi di madrelingua non tedesca, servito da un sistema di scuolabus su modello statunitense (cancellato da giudici conservatori sotto l'amministrazione Bush). Convinta che la libera circolazione della mano d'opera tra paesi dai livelli di sviluppo molto diversi accresca le disuguaglianze abbassando i salari nel paese più ricco e drenando competenze dal più povero, la Wagenknecht auspicherebbe la fine delle intromissioni belliche occidentali, l'introduzione di politiche protezionistiche nei paesi più poveri e il loro accesso a tecnologie e know how da sottrarre ai brevetti e da destinare all'uso di forza lavoro locale formata nei paesi ricchi.
Nel settimo capitolo la Wagenknecht tratta di come la destra politica sia la grande vincitrice dell'inizio del XXI secolo; l'influenza mediatica che ne nutre il successo elettorale e il dilagare delle sue consegne e dei contenuti della sua propaganda sarebbero però un risultato e non un presupposto della sua ascesa. In Germania la spiegazione di Harald Welzer per cui un quinto dell'elettorato sarebbe inscalfibilmente legato ai temi della destra estrema sarebbe molto popolare fra i liberali di sinistra perché escluderebbe qualsiasi corresponsabilità altrui, anche se non spiegherebbe come mai le esperienze precedenti Alternative für Deutschland non abbiano mai raggiunto i suoi risultati a fronte di uno stesso bacino di elettori potenziali. Una seconda spiegazione partirebbe invece dal presupposto che ad AfD andrebbe il voto degli abbandonati da ogni altra forza politica. L'A. espone una rassegna dei principali partiti della destra populista europei, per notare che i loro elettori vivrebbero in piccoli centri (ex) industriali o isolati o in quartieri con poche infrastrutture e alta immigrazione e condividerebbero esperienze professionali simili al punto che la destra populista potrebbe essere considerata il nuovo partito operaio, quello preferito da occupati a basso reddito nel settore dei servizi e dai disoccupati. La AfD avrebbe quindi riportato al voto un elettorato dal basso reddito caratterizzato da disagio sociale, timore per il futuro e diffidenza verso una "modernizzazione" della società percepita solo come aumento delle ingiustizie e dell'iniquità. All'atto pratico la destra populista si opporrebbe solo all'immigrazione, senza toccare il liberismo economico e lo smantellamento dello stato sociale in nome della libera iniziativa; il suo elettorato sarebbe mosso da un insieme di motivazioni culturali (nessuno vota per qualcuno che lo disprezza, per quanto buono possa essere il programma) e sociali, dal momento che percepisce negli immigrati dei concorrenti nelle già scarse prestazioni dello welfare. Secondo l'A., i partiti che rifiutano anche di prendere atto dei problemi e non tengono in alcun conto chi invece deve affrontarli ogni giorno lascerebbero alla destra ogni decisione su quale tenore e quale tono avrà il dibattito pubblico su di essi, oltre a consentirle di lucrare suffragi praticamente senza sforzo. L'A. illustra nel dettaglio il programma varato da Prawo i Sprawiedliwość in una Polonia dove i partiti di sinistra avrebbero preparato il terreno a un capitalismo selvaggio foriero di disparità estreme, per concludere che non deve provocare reazioni stupite o indignate il fatto che i moltissimi elettori avvantaggiati dal programma abbiano più volte premiato un partito per nulla attento alla libertà di stampa o alla separazione dei poteri. I programmi delle destre in tutti i paesi dell'Unione Europea vengono descritti dalla Wagenknecht come intonati alla tutela della sovranità nazionale, in opposizione a una centralizzazione portata avanti da Bruxelles che verrebbe vista come il principale autore dello smantellamento dello stato sociale (a cominciare dalla sanità), della precarizzazione del lavoro e delle privatizzazioni. Il fatto che i liberali di sinistra mal tollerino qualsiasi critica mossa all'Unione Europea li allontanerebbe sempre di più dalle classi sociali meno abbienti, il cui rifiuto verso l'orientamento assunto dalla UE sarebbe stato colto al volo dalle destre populiste. La Wagenknecht riporta una casistica di consultazioni elettorali, compresa quella per l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea, da cui risulterebbe una polarizzazione del voto con una concentrazione dello scetticismo verso la UE nei settori dell'elettorato in fondo a ogni scala per istruzione, reddito e patrimonio. Il fatto che la destra populista abbia buon gioco quando si atteggia a difensore del popolo contro le élite corrotte sarebbe dovuto al fatto he le democrazie occidentali non funzionano più, dal momento che gli interessi di chi lavora vi sarebbero presi di mira da decenni e che le lobby economiche vi eserciterebbero un'influenza superiore a quella dell'elettorato. La democrazia che i liberali di sinistra pretenderebbero di difendere a oltranza sarebbe dunque ridotta a una serie regolare di consultazioni elettorali in cui smantellamento dello stato sociale, liberismo e globalizzazione compendiano l'offerta politica. Al tempo stesso un reale pericolo verrebbe per le libertà democratiche non dalla destra populista, ma da chi teme per le sue proprietà e i suoi privilegi; l'A. riporta che tra i giovani benestanti occidentali starebbe guadagnando popolarità la prospettiva di un governo militare. La maggioranza della popolazione in Occidente, con forte prevalenza nelle classi meno istruite e a basso reddito, avrebbe poca o nessuna fiducia nelle istituzioni, nell'economia e nei media, con nessuna prospettiva di miglioramento e con la sensazione di vedere generalmente svalutato dal punto di vista culturale il proprio progetto di vita. La maggioranza dei cittadini favorirebbe una sinistra tradizionale che perseguisse la riduzione delle disparità, l'abbandono del liberismo economico e il rafforzamento del ruolo dello stato; dati non proprio il linea con un'epoca delle destre, al pari con la diffusa, sensibile e comprovata crescita della tolleranza. Lo stesso elettorato invece non apprezzerebbe affatto che i progetti di vita delle minoranze -e talvolta di minoranze minuscole- siano gli unici al centro dell'agenda e dell'attenzione pubblica. L'atteggiamento prevalente -continua la Wagenknecht- potrebbe essere considerato di destra solo includendo nella definizione qualsiasi cosa non sia compresa fra i valori e nell'agenda dei liberali di sinistra. E disprezzando chi non si adegua non si farebbe altro che il gioco di chi ha almeno la prontezza di non farlo, per lo meno in campagna elettorale. L'A. propone vari esempi tratti dalla realtà tedesca in grado di attestare come le battaglie culturali dei liberali di sinistra sarebbero state in questo senso il miglior strumento per spaccare una maggioranza socioeconomicamente di sinistra, al punto da impedire che questa maggioranza numerica si trasformi in maggioranza politica.
La seconda parte del libro propone un programma per la comunità, la coesione e il benessere, e si apre con un ottavo capitolo dedicato all'uomo come essere sociale, con particolare attenzione al senso di comunità e alla cura di beni comuni, i cui migliori esiti si avrebbero laddove è interiorizzato e condiviso il concetto di cooperazione onesta basata sulla fiducia. L'A. sottolinea il limite del senso di comunità e della lealtà reciproca -quello di valere solo nei confronti di coloro che si puà presumere si comportino allo stesso modo- e al tempo stesso il persistere nelle società contemporanee di molti settori fondati sulla lealtà e sulla cooperazione volontaria. In realtà strumenti del diritto e leggi del mercato non implicherebbero certo l'obbligo a una cooperazione leale, come attesterebbero le infinite situazioni in cui non c'è possibilità di sottrarsi a un raggiro o di sanzionarne gli autori. Persino Adam Smith sarebbe stato convinto che la mano invisibile del mercato potesse funzionare solo in un contesto in cui lealtà ed empatia sono i presupposti; secondo la Wagenknecht avrebbe così sottostimato il potere distruttivo del libero mercato, dando ragione a Karl Marx e alla sua concezione di un mercato che altro vincolo non avrebbe lasciato tra uomo e uomo che non il nudo interesse dello spietato pagamento in contanti. Postulare uno homo oeconomicus privo di vincoli comunitari avrebbe come logica conseguenza la fine del concetto stesso di coesione sociale; la Wagenknecht rileva come i paesi dove più debole è il sentimento di appartenenza avrebbero anche i sistemi sociali peggiori; in molti casi i contestatori dello stato sociale si limiterebbero a sfruttare moralismo e pregiudizi per alimentare l'impressione che le sue prestazioni vadano per lo più a soggetti alieni rispetto a chi le avrebbe finanziate come contribuente. Secondo la Wagenknecht uno stato sociale che tutelasse il livello di vita anziché offrire prestazioni trascurabili non potrebbe prescindere da un conservatorismo dei valori orientato alla comunità, ai legami e all'appartenenza cui da decenni attentano i fautori della flessibilità, del liberismo economico e della globalizzazione. Il liberalismo di sinistra vi aggiungerebbe del proprio, considerando retrogrado il conservatorismo sociale e mettendone in cattiva luce i sostenitori quando invece il desiderio di vivere in un mondo fidato e riconosciuto, con un lavoro sicuro e rapporti interpersonali stabili sarebbero agli occhi di chi non ha tratto alcun vantaggio dallo stato di cose presente un'alternativa molto più convincente dell'autorealizzazione priva di vincoli. La Wagenknecht specifica che il rifiuto delle tradizioni reazionarie non implica l'auspicio di vedere la società dissolversi sotto i colpi della modernizzazione; la soddisfazione dei bisogno di riconoscimento, appartenenza e senso di comunità non può prescindere da un contesto sociale stabile. Il diffuso scontento per lo stato di cose presente e l'esplicito rimpianto per gli anni Settanta diffuso in Germania dovrebbe indicare il persistere nel corpo sociale di valori indirizzati alla comunità e che il concetto di comunità non può essere messo in rapporto solo con la costrizione, l'esclusione, la ristrettezza di vedute e la sottomissione. La parte migliore di esso riguarderebbe i valori alla base della convivenza leale, la cui difesa sarebbe secondo la Wagenknecht prerogativa di un conservatorismo di sinistra.
Nel nono capitolo la Wagenknecht si interroga sul possibile futuro dell'idea di stato nazionale. L'A. nota che l'idea che gli stati nazionali siano destinati all'ininfluenza e che i problemi globali saranno sempre di più affare per "gruppi di stakeholder" è parte importante della narrazione neoliberista. Narrazione che punterebbe a dissolvere uno stato sociale troppo costoso per le élite, oltre che di fatto potenzialmente rappresentante degli interessi di una maggioranza non sempre coincidenti con quelli del potere economico. Il liberalismo di sinistra auspicherebbe piuttosto lo slittamento sul piano transnazionale delle strutture democratiche, considerando lo stato nazionale inadeguato al mondo contemporaneo. La Wagenknecht rileva invece che in ogni grande crisi, da quella bancaria a quella legata al coronavirus, gli stati nazionali si sarebbero dimostrati gli unici attori efficaci. Per esempio salvando gli istituti di credito col denaro dei contribuenti. Gli stati nazionali sarebbero comunque l'unica realtà in grado di imporre correzioni significative agli esiti del mercato; la comunicazione politica che li postula invariabilmente come deboli non sarebbe altro che un giustificativo delle promesse non mantenute dagli esecutivi... o di quelle che invece il liberismo economico ha mantenuto eccome. L'A. considera indispensabile il ripristino della democrazia all'interno dello stato anziché la sua subordinazione a istituzioni sovranazionali sulla cui indispensabilità esprime un certo numero di riserve. In particolare, il senso di appartenenza a un'Europa unita sarebbe ancora troppo debole per poter costituire la base di istituzioni democratiche realmente funzionanti e di prestazioni sociali allo stesso livello. E una UE orientata verso il liberismo economico, i cui parlamentari sarebbero spesso al centro di iniziative lobbistiche e in cui altrettanto frequente sarebbe la delega di compiti istituzionali a organizzazioni private, opererebbe in concreto in senso contrario al rafforzamento di un'identità europea. L'A. considera che il funzionamento stesso della UE tolga molta legittimità al fondamento democratico delle sue istituzioni e che accrescere la sovranità degli stati nazionali permetterebbe invece di ottenere maggiore legittimità democratica e maggiore sicurezza sociale. Per l'Unione Europea la Wagenknecht auspicherebbe la ristrutturazione in una confederazione di democrazie sovrane, in cui il comitato più importante sarebbe il Consiglio d'Europa. L'A. nota inoltre che allo stato attuale in sede legislativa europea "consultazioni e trattative infinite sfociano spesso non in progetti comuni coraggiosi, bensì in formulazioni di compromesso prive di efficacia. Il minimo comun denominatore cui si approda è spesso peggiore di qualsiasi regolamento nazionale" a prescindere dalla rilevanza della materia.
Il decimo capitolo tratta del predominio del grande capitale e delle possibilità di porvi argine. La Wagenknecht è sicura che la maggior parte dell'elettorato tedesco sia convinta che la democrazia non esista più, cosa che sarebbe provata dalla sempre più ridotta partecipazione dei meno abbienti (e non solo) alle consultazioni elettorali, dal momento che l'intero panorama politico non avrebbe fatto altro che smontare lo stato sociale, tagliare le pensioni, privatizzare beni pubblici e agevolare in modo legalissimo la precarizzazione di lavori mal pagati. Nella realtà statunitense ogni senatore e ogni candidato alla presidenza dipenderebbero da donazioni milionarie, lasciando concludere che la corruttibilità delle decisioni politiche e l'influenza del capitalismo sono insite nel sistema. La Wagenknecht nota che in Europa il finanziamento pubblico ai partiti servirebbe proprio a mettere un limite agli interessi privati e al generalizzato calo degli iscritti. Il sistema tedesco degli anni Settanta e in generale le democrazie europee di allora inoltre si sarebbero distinte per la presenza di un movimento operaio sindacalizzato e numericamente forte, e i ricchi vi erano anche costretti a rendere attraente l'ordine capitalistico per evitare la temuta attrattiva del sistema sovietico. La Germania Occidentale avrebbe contato su partiti che agivano come veri strumenti di pressione democratica; i milioni di tesserati non solo finanziavano l'organizzazione ma avevano anche voce in capitolo nella scelta dei candidati. Un sistema che esisterebbe ancora, ma poderosamente ridimensionato nei numeri e nella rappresentatività. Un ridimensionamento cui contribuirebbero le disparità sociali crescenti e la separazione sempre più netta della "bolla" in cui vivono i rappresentanti eletti. La Wagenknecht afferma che a libertà di informazione sarebbe stata già negli anni Sessanta poco altro che la libertà dei ricchi di diffondere la propria opinione, e che nel frattempo il numero dei ricchi in grado di influenzare l'opinione pubblica sarebbe semplicemente diminuito, affiancato e sempre più spesso rimpiazzato dai giganti del web e dai loro algoritmi. In questa realtà le campagne lanciate da lobby con ingenti mezzi finanziari a disposizione agirebbero senza seri limiti: il sistema pensionistico tedesco sarebbe stato oggetto di un attacco ad opera di sedicenti scienziati con solidi interessi nel settore previdenziale le cui modalità avrebbero contribuito validamente a rendere dubbioso l'intero pubblico tedesco -e con ragione- nei confronti dell'attività scientifica in generale. Un fenomeno aggravato a dismisura dalla dittatura degli interessi privati nel mondo scientifico e accademico. In mancanza di attori più o meno super partes, avverte l'A., il discorso democratico sarebbe destinato a morte certa.
Trattando delle prerogative dello Stato il libro ricorda gli economisti della Scuola di Friburgo, fautori di una normativa antitrust rigorosa che impedisse la formazione di posizioni economiche dominanti nella convinzione che potere economico privato e democrazia fossero mutualmente incompatibili. L'impressione della Wagenknecht è che nello stato di cose presente le tesi della Scuola di Friburgo siano state recepite e applicate esattamente al contrario. Al tempo stesso i professionisti ancora presenti in una macchina statale in cui i finanziamenti sono ridotti all'osso, dai medici agli insegnanti, dovrebbero destinare ad adempimenti burocratici una parte crescente del loro tempo. Secondo l'A. uno Stato debole e carente di fondi sarebbe costretto a esternalizzare a ditte che lavorano a prezzi di tornaconto, fornendo quindi un servizio complessivamente peggiore. A fronte di amministrazioni deboli ci sarebbero in Germania grandi operatori commerciali che non avrebbero difficoltà a farla da padroni in quelle che vengono definite "partnership pubblico-privato", prassi ancora abituali nonostante i costi abbiano superato -e a tutt'oggi superino spesso di molto- i imiti dei progetti pubblici gestiti come tali. Da questo clima organizzativo deriverebbe in buona parte la diffusa convinzione che lo Stato non sia più in grado di agire come istanza superiore diretta al bene comune; la narrazione neoliberista dello Stato sperperatore cui destinare il meno possibile si sarebbe autoavverata.
La Wagenknecht tratta anche del concetto di democrazia liberale -a suo dire oggi prevalente. che avrebbe lo scopo di tutelare la libertà delle minoranze dalle aspirazioni aggressive della maggioranza. Questa unica prospettiva avrebbe tolto dall'agenda qualsiasi intento di maggiore portata in una prospettiva futura, e soprattutto sarebbe stata intesa in modo da tutelare la libertà della minoranza ricca, di fatto evitando l'instaurarsi di una democrazia intesa come res publica e la messa in discussione dell'ordine sociale. Un breve excursus consente all'A. di sostenere che la costituzione statunitense avrebbe raggiunto almeno fino agli anni '30 lo scopo cui miravano i suoi estensori, ovvero evitare -tramite l'azione della Corte Suprema- l'attuazione della volontà della maggioranza in tutti i casi in cui questa andava contro le prerogative del ceto privilegiato. La ricostruzione della democrazia esigerebbe a questo punto una deglobalizzazione razionale dell'economia e una deglobalizzazione radicale dei mercati finanziari, dato l'attuale accentramento del potere economico in poche ed enormi multinazionali; l'A. indica come obiettivo per la Germania quello di una economia di mercato senza grandi gruppi industriali. "Si capisce che non è possibile produrre travi di acciaio o autovetture in piccole aziende, ma nessuno ha bisogno di megagruppi con centinaia di migliaia di addetti e una ridda di marchi che sono soltanto mera apparenza". L'A. auspica anche profonde modifiche al diritto di proprietà, cosicché le grandi imprese -la cui attività di fatto non è una questione privata- vengano trattate in modo adeguato. Le istituzioni pubbliche dovrebbero essere in grado di tradurre in pratica quanto stabilito in sede politica, cosa che renderebbe irrinunciabile la ricostruzione di un settore pubblico autonomo, forte e operativo. Una vera democrazia non dovrebbe assicurare solo il diritto di voto, ma anche la fornitura di una buona istruzione, di abitazioni alla portata di tutti, di un'assistenza sanitaria efficiente e indipendente dal reddito. Per sopperire alla perdita di ruolo e di influenza dei partiti, la Wagenknecht proporrebbe per la Germania il ricorso agli istituti della democrazia diretta e l'istituzione di una Camera Alta con diritto di dibattito e di veto, formata da cittadini scelti a sorte. Un'applicazione su scala tedesca della democrazia partecipativa vigente nella Confederazione Elvetica, con particolare riferimento alla Convention on the Constitution tenutasi In Irlanda dal 2013 per la discussione e l'introduzione di alcune modifiche costituzionali. Per la Germania il libro proporrebbe che una Camera formata da cittadini estratti a sorte diventasse una componente stabile del sistema democratico.
L'undicesimo capitolo sulla riforma del diritto di proprietà esordisce notando che molte narrazioni sopravvivrebbero al periodo in cui potrebbero anche corrispondere a una valida descrizione delle relazioni sociali, continuando a influire sulla percezione della realtà. Sarebbe il caso della narrazione sulla "società meritocratica" e di quella sul "capitalismo innovativo", ancora vive in una società dove l'ambiente di nascita risulta determinante più del proprio impegno e dove attività superflue se non dannose come quella legate alla finanza speculativa vengono retribuite meglio di quelle legate ai servizi sanitari. In Germania una risposta a questo stato di cose sarebbe stata la prospettiva di un reddito di base incondizionato, indipendente dai bisogni come dalle prestazioni; un'idea che non corrisponde a quella della equità basata sul merito che secondo molte persone sarebbe davvero alla base di una società giusta. La Wagenknecht sostiene che le società capitalistiche non sarebbero innovative come tali perchè il loro specifico motore sarebbe quello di ricavare più denaro dal denaro esistente; l'innovazione si avrebbe solo se permette di ridurre i costi e di imporre prezzi più alti mettendo prodotti migliori in un mercato concorrenziale. Un mercato in cui normative e sindacati forti sarebbero in grado di imporre alti salari e alti standard sociali e ambientali. L'attuale utilizzo dei brevetti secondo l'A. andrebbe in direzione contraria all'innovazione perché i grandi gruppi industriali tenderebbero a servirsene per frenare l'innovazione presso la concorrenza. Le privatizzazioni generalizzate nei settori dei servizi -contesti in cui ci sono minori possibilità di migliorare la produttività con nuove tecnologie- avrebbero in genere provocato il crollo dei salari e l'impennata dei prezzi senza miglioramenti in termini di innovazione o di efficienza. In un'economia dominata dai servizi le liberalizzazioni avrebbero contribuito alla costruzione di una realtà in cui uno stesso destinatario riceve plichi da più corrieri diversi e ogni fornitore di rete tira su antenne proprie. Nell'economia digitale impossessarsi per primi di un determinato campo avrebbe significato conquistare un vantaggio di posizione talmente redditizio da permettere a chi si sentisse insidiato di acquistare su due piedi il concorrente, arrivando in sostanza a comportarsi da monopolista. L'economia digitale avrebbe validamente contribuito a creare uno stato di cose in cui gli operatori commerciali sono più forti dei produttori effettivi, causando la riduzione del valore che verrebbe altrimenti utilizzato per migliorare la produzione. Secondo l'A. un precedente storico rilevante si sarebbe avuto tra XVII e XVIII secolo, con le grandi compagnie commerciali slegate dagli incentivi a favore di nuove tecnologie e di miglioramenti nella produttività, i cui proventi si riversavano nei settori finanziari e nei mercati contribuendo a una situazione in cui monopoli commerciali, speculazione finanziaria ed economia stagnante sarebbero stati solidamente legati tra loro. L'economia finanziaria contemporanea sarebbe dipendente dalla domanda basata sull'indebitamento e su una speculazione priva di regole e di freni. Lo stesso finanziamento delle start up digitali non punterebbe a costituire -con i "capitali di rischio"- aziende in grado di fornire servizi solidi, ma a scommettere su un'idea sperabilmente rivendibile a un prezzo più alto. Troppo capitale privato verrebbe riposto in idee sbagliate, improduttive o anche socialmente dannose. La ristrettezza di orizzonti temporali e l'incertezza intrinseche nei cambiamenti tecnologici sostanziali terrebbero lontani gli investitori privati e soprattutto quelli speculativi. L'intervento dello stato e del suo "capitale paziente" vi sarebbero quindi insostituibili. L'intervento della finanza speculativa si sarebbe anzi mostrato nella maggior parte dei casi in grado di smembrare interi gruppi industriali (magari nati, cresciuti e mantenuti con denaro pubblico) distruggendo catene produttive e posti di lavoro in contesti e in organizzazioni con cui la finanza non ha solitamente alcun rapporto. A questa realtà l'A. contrappone quella delle piccole e medie imprese, estranee al party dei dividendi, meno inclini a sciorinare e retribuire consulenti ed avvocati e dirette da persone che in genere avrebbero legami personali con la ditta e con quello che essa produce, oltre a orizzonti non meramente trimestrali. Se l'epoca del liberismo era iniziata con l'intento dichiarato di favorire competizione, innovazione ed economia di mercato, il risultato sarebbe stato quello opposto: scarse innovazioni spesso inutili o peggio e affermazione dei monopoli.
La Wagenknecht denuncia i termini elitari dell'attuale dibattito sul clima, che in Germania si sarebbe tradotto nella stigmatizzazione dei consumi dei meno privilegiati. Una economia ecocompatibile dovrebbe essere perseguita con l'innovazione e non con incentivi alla rinuncia. In un paragrafo sui consumi alimentari dei tedeschi, il libro sostiene che nel corso degli ultimi decenni l'intromissione di industrie di trasformazione e intermediari di ogni genere, presto assurti al ruolo di dominatori del mercato in grado di dettare prezzi e condizioni, avrebbe falcidiato la quota di ogni prezzo un tempo destinata a allevatori e contadini, costretti quindi a massimizzare gli utili col minimo dispendio possibile. In un altro paragrafo l'A. sottolinea le storture più evidenti della "green economy", i cui costi ricadrebbero comunque sulle spalle dei meno abbienti perché a causa dei rincari di molti oggetti e servizi di uso comune. Una situazione che sarebbe evitabile producendo in modo diverso, in un'economia più regionale, meno avida di risorse, maggiormente propensa al riciclo e ad alto tasso di innovazione.
La Wagenknecht sostiene una decisa ridefinizione del diritto di proprietà che impedisca agli investitori e anche ai proprietari di esercitare diritto di preda, in aperta contrapposizione all'attuale concetto della responsabilità limitata per cui quanto ricavato nel tempo non entra nella massa fallimentare se l'azienda si trova in pessime acque. Un concetto di proprietà basaoa sul merito e sulla prestazione fornita -Leistungseigentum- dovrebbe servire a facilitare la vita degli imprenditori e a complicare quella dei capitalisti, degli eredi litigiosi, degli azionisti che non hanno mai messo piede in un'azienda. I finanziatori verrebbero compensati come pattuito a soddisfazione di ogni pretesa; il capitale aziendale apparterrebbe all'azienda, l'azienda a se stessa. Un modello già seguito in Germania da imprese come Zeiss, Saarstahl e Bosch. Nelle grandi aziende l'A. propone l'introduzione di organi di controllo affidati a persone il cui interesse corrisponda a quello di un buon sviluppo aziendale sul lungo periodo e in grado di rappresentare gli interessi del personale e dei rappresentanti delle realtà amministrative del territorio. Il concetto della "Proprietà di responsabilità", Verantwortungseigentum, sarebbe già presente nel discorso politico tedesco dal 2019.
In ogni impresa il principio dell'equità basata sul merito -che corrisponderebbe a quello di reciprocità sociale, secondo una concezione "conservatrice, ma tuttora insuperata" dell'equità- dovrebbe impedire a chiunque e in primo luogo agli eredi di impossessarsi dei risultati del lavoro altrui. Occorre sottolineare che nel testo della Wagenknecht il vocabolo meritocrazia conserva il suo valore originale e non assume quello oggi corrente (specie nella penisola italiana) di "tutela del privilegio". In questo senso l'A. è decisa sostenitrice della previdenza sociale obbligatoria, del ripristino e del consolidamento di sistemi di solidarietà basati sui contributi e dell'introduzione di una legislazione del lavoro restrittiva verso il precariato. L'A. sostiene anche una decisa revisione del sistema Hartz IV dello stato sociale, oggi diretto a sovvenzionare un "privato sociale" diventato un modello di business assai più che a tutelare la popolazione dai rischi dell'esistenza. Nel settore scolastico la Wagenknecht si oppone all'abbassamento degli standard e sostiene invece il rifinanziamento di un sistema scolastico pesantemente depauperato per trent'anni dagli esecutivi federali.
L'intervento delle Banca Centrale Europea, riconosce l'autrice, nel 2020 avrebbe salvato l'economia tedesca dal tracollo, sia pure a prezzi eccezionalmente alti e in un contesto emergenziale che andrebbe avanti dalla crisi del 2008. La disassuefazione dell'economia dagli interventi della BCE, che avrebbero alimentato solo gli aspetti improduttivi del mercato finanziario, sarebbe possibile solo con un intervento politico contrario alle condizioni idilliache riservate alle grandi imprese e al depauperamento dei piccoli risparmiatori. Con l'esclusione dei piccoli risparmiatori, le banche dovrebbero essere chiamate a rispondere per l'intero ammontare dei propri debiti. E per un nuovo inizio, oltre alla cancellazione almeno parziale del debito statale con i prelievi una tantum sui patrimoni superiori a una certa (e milionaria) cifra, l'A. propone la ricerca di vie di finanziamento per il fabbisogno statale che non alimentino la finanza-casinò. Il coronavirus del 2020 avrebbe mostrato i punti deboli della globalizzazione; la Wagenknecht proporrebbe di approfittarne per valutare i pro e i contro di catene globali di creazione del valore motivate solo dalle differenze tra costo del lavoro, standard nazionali e leggi tributarie, e dunque suscettibili di deindustrializzare i partner che presentano standard più alti. Oltre a notare che USA e Germania nel XIX secolo avrebbero sviluppato le proprie industrie al riparo di dazi elevati, l'A. ricorda che anche paesi non occidentali avrebbero ottenuto negli scorsi decenni risultati analoghi con analoghe misure. L'accesso a tecnologie avanzate, assai più che l'apertura ai capitali, permetterebbe ai paesi svantaggiati di recuperare parte del gap. La Wagenknecht accenna alla politica della Repubblica Popolare Cinese, in cui i capitali sono stati soggetti a controlli e regolamenti mirati a incamerare know how straniero. Uno stato nazionale come la Germania potrebbe contrastare le delocalizzazioni e gli effetti negativi della globalizzazione con i dazi doganali, fermando l'emorragia di posti di lavoro e il deprezzamento della mano d'opera oltre che contrastando gli aspetti più inquinanti delle catene del valore.
Nell'ultimo capitolo il tema è quello di come perseguire un futuro digitale con dati al sicuro dai ficcanaso. Il libro tocca l'argomento della digitalizzazione e dell'uso che i tritadati per lo più statunitensi fanno delle informazioni fornite loro dagli utenti, riferendo una nutrita casistica in proposito. Un uso che corrisponderebbe a un vero e proprio capitalismo della sorveglianza con tutte le conseguenze del caso, ivi compresa la deliberata induzione di uno stato di dipendenza negli utenti. Sull'utilizzo dei dati per influenzare opinioni e decisioni politiche si avrebbero pochi e opachi dati, al punto da rendere l'esistenza stessa del fenomeno incompatibile con la democrazia. In questo settore chiave l'Europa brillerebbe per la propria assenza; la fine dei mostri che ingurgitano dati dovrebbe passare da piattaforme non commerciali realizzate con software libero, che non archivino i dati relativi ai comportamenti dei singoli e che non possano quindi usarli in modo deviato o distorto.
Nella conclusione la Wagenknecht accenna ai mutamenti attraversati dalle società occidentali negli ultimi decenni e ai loro esiti, per lo più opposti rispetto alle aspettative e alle promesse al punto che le è possibile usare il vocabolo rifeudalizzazione per indicare le dinamiche in atto; in chiusura, riassume i temi trattati nelle due parti del volume con particolare riferimento ai limiti e alle storture del "liberalismo di sinistra".


Sahra Wagenkmecht - Contro la sinistra neoliberale. Prefazione di Vladimiro Giacché. Roma, Fazi 2022. 450 pp.