Santino Spinelli - Le verità negate. Storia, cultura e tradizioni della popolazione romanì

Il libro di Santino Spinelli costituisce una corposa e probabilmente non esaustiva introduzione di massima alla storia e alla cultura dei gruppi etnici indicati sbrigativamente e soprattutto spregiativamente come zingari. Spinelli indica invece con precisione gli etnonimi della popolazione romanì, designata secondo cultura e provenienza come rom/roma, sinti, cale/kale, manouches e romanichals. Gruppi che nell'insieme costituiscono in Europa una minoranza tanto esigua quanto utile, secondo una denuncia più volte avanzata dall'A. nel corso dell'opera, alla politica populista, alla carità pelosa, al reperimento di capri espiatori facilissimi e agli esercizi spreconi di un assistenzialismo della peggiore specie.
La prefazione di Paola Severini Melograni e l'introduzione dello stesso Spinelli, brevissime, precedono un primo capitolo dalla inusitata lunghezza (oltre trecento pagine) che ripercorre quattordici secoli di preistoria e storia romanì, stabilendo l'inizio di una storia documentata con l'inizio del XIV secolo. L'A. rileva la concordia delle fonti di ogni epoca e della romanologia contemporanea nell'identificare nel nord della penisola indiana il territorio di origine di rom/roma, sinti, cale/kale, manouches e romanichals, dato confermato dalle indagini genetiche e dalle origini indubitabilmente hindi della lingua. Contrariamente al pensare comune, nota Spinelli, non doveva in ogni caso trattarsi né di popolazioni nomadi per prassi abituale e per cultura (i vocaboli sanscriti delle lingue romanì indicano elementi tipici delle culture stanziali) né, tantomeno, di αθιγγάνοι ("intoccabili") nel senso deteriore del termine che indicherebbe i paria, i fuori casta. L'A. evidenzia al contrario che la presenza in Europa e nel bacino mediterraneo delle popolazioni romanì prese le mosse dalle deportazioni organizzate dai sovrani ghaznavidi persiani a motivo della competenza e della preparazione romanì in svariati campi dell'artigianato e delle arti, che farebbero propendere se mai per una "intoccabilità" da élite. Se il passaggio delle popolazioni romanì dalla Persia ghaznavide ai territori armeni e bizantini è ricostruibile con l'analisi linguistica, la trattazione di Spinelli è comunque fitta di attestazioni documentali, che dalla metà del 1300 consentono di rintracciare presenza e vicende nei territori ottomani della penisola balcanica e poi fino all'Europa occidentale. L'inizio dei processi che condussero alla marginalità economica e sociale una popolazione comunque esigua risulta documentabile con certezza a partire dall'ascesa dei principati danubiani, in cui una popolazione che presso l'impero ottomano aveva conosciuto l'integrazione (se non l'agiatezza) che le derivava dalla padronanza di arti e mestieri ampiamente richiesti si trovò invece a vivere nella maggior parte dei casi in condizioni di schiavitù codificata, e vi rimase per cinque secoli. L'A. indica che la presenza documentata di popolazioni romanì in Europa occidentale dal XIV secolo in poi non fa certo pensare a un movimento migratorio di massa ma a gruppi isolati di decine o poche centinaia di persone (uno su tutti, la Gran Banda) che si muovevano dai Balcani come profughe o come emigranti. Secondo Spinelli la pratica di mestieri al limite del lecito come la chiromanzia o mal tollerati come la metallurgia, uniti alla lingua incomprensibile (considerata un "parlar furbesco" fino al XVIII secolo e oltre) e a fattezze che erano di per sé fonte di sospetto a prescindere dalla condotta concreta contribuirono alle condizioni di un sostanziale isolamento in cui il girovagare diventò una forma di difesa. Una forma di difesa piuttosto efficace, se consentì alle popolazioni romanì di sopravvivere a innumerevoli editti, gride e bandi più o meno draconiani emessi dagli stati nazionali nel corso dei secoli seguenti, cui si aggiunsero l'assimilazione forzata, le campagne di deportazione e la generale propensione ad accusarli di ogni nefandezza.
Spinelli esamina nel dettaglio l'arrivo e le vicende della popolazione romanì nelle Due Sicilie, i casi di integrazione meglio documentati -come quello del pittore quattrocentesco Antonio Solario- e le vicende di quelli che indica come rom di antico insediamento lungo le vie di transumanza abruzzesi. L'A. enumera le prammatiche discriminatorie che dopo la metà del XVI secolo iniziarono a infierire su chiunque non si allineasse alla condotta, ai valori e ai mestieri desiderabili e le eccezioni che i rom seppero guadagnarsi con la loro professionalità nella metallurgia di precisione, fino alla loro progressiva estromissione dal settore iniziata col XVIII secolo e dovuta alla crisi e al serrare le file da parte delle corporazioni.
Con riferimenti documentali sempre più estesi, fa lo stesso per il nord della penisola italiana citando l'arrivo in ordine sparso di gruppi capeggiati da duchi o re (figure in realtà mai esistite come tali) in varie città della pianura padana. Primo bando repressivo attestato, quello del 1493 emesso dal Ducato di Milano, cui ne sarebbero seguiti innumerevoli altri nei secoli a venire. Nel 1558 Venezia stabiliva che chi uccidesse cìngani uomini o donne non incorresse in alcuna pena.
L'A. tratta quindi delle comunità romanì nello Stato Pontificio, attestate dal 1522, che avranno anche attirato la curiosità di artisti come Caravaggio ma dovettero vedersela con un potere costituito che indirizzò nei loro confronti la massima ostilità possibile.
L'ultima, corposa e documentata parte del capitolo è dedicata alla storia contemporanea, caratterizzata da teorie razziste, eugenetica e applicazione degli strumenti legislativi, burocratici e tecnologici alla inveterata propensione per le politiche repressive. Spinelli tratta del samudaripen, il genocidio rimosso di cinquecentomila rom, sinti e manouches nel Terzo Reich e nei territori occupati e di come vi si giunse in modo formalmente legalissimo, a coronamento di un percorso repressivo secolare, privo di vere soluzioni di continuità. Nello stato che occupa la penisola italiana il XX secolo dei rom di antico insediamento e degli altri gruppi romanì l'arrivo dell'epoca contemporanea si concretizzò con l'applicazione dei principi eugenetici di Cesare Lombroso e l'opera divulgativa dello stesso segno cui si dedicò Paolo Mantegazza; una minoranza comunque ridottissima, che da circa duecento anni viveva nel migliore dei casi di commercio di bestiame, si trovò in blocco definita in sede giudiziaria "gente vagabonda in lotta con le leggi" per motivi dunque innati e inestirpabili. Questo non impedì loro di essere arruolati come i sudditi che erano, durante le guerre volute dai Savoia e dal governo fascista, in contrasto con una linea politica ufficiale documentata da circolari e ordini di servizio in cui il potere costituito mostrava di considerare le comunità romanì come formate da stranieri ostili e da trattare di conseguenza. Spinelli indica abbondanti fonti documentali su quanto andò preparandosi con l'approvazione delle leggi razziali e con la guerra e ricostruisce nel dettaglio la deportazione e la sorte di trenta componenti della propria famiglia.
Con la stessa abbondanza di citazioni documentali l'A. tratteggia la storia e il ruolo di rom, sinti e manouches nella guerriglia partigiana in tutta Europa, prima di chiudere la trattazione storica con una lunga serie di considerazioni sul permanere dell'antiziganismo nell'epoca contemporanea.
Il secondo capitolo su La popolazione fornisce dati, cifre e definizioni sui ventidue milioni di rom, sinti, cale e manouches stimati nel mondo con particolare riguardo all'Europa e alla penisola italiana, presentando una dettagliata tassonomia degli etnonimi d sottolineando che "ogni comunità romanès rappresenta una realtà culturale, religiosa e linguistica a sé stante". Nella penisola italiana Spinelli stima in quaranta/cinquantamila i "rom di antico insediamento" presenti nel sud dal XIV o XV secolo, per lo più artigiani, allevatori o commercianti di cavalli... passati poi alle auto. I sinti di insediamento altrettanto antico, prevalenti al nord e con una consistenza numerica analoga, spiccano per tradizione nelle attività circensi. Nel XX e primi decenni del XXI secolo sarebbero identificabili almeno cinque ondate migratorie diverse e distinte per origine e per sorte dei partecipanti. Nel caso delle ultime, dopo il 1960, l'integrazione e la regolarizzazione non sono state la norma e mancano quasi del tutto per i rom rumeni e bulgari arrivati negli ultimi anni e insediatisi ai margini delle città del sud della penisola italiana. Spinelli critica in modo esplicito -ed è una critica che riemerge a tratti in tutta la trattazione- la politica dei "campi nomadi" e la loro gestione. Anche a questa l'A. attribuisce parte della colpa per la frattura che separa i due mondi del romano them -a sua volta ripartito in tanti mondi quanti sono i gruppi che condividono comportamenti e credenze- e del gaćkano them. Spinelli ascrive al romano them l'"essere" e un sistema sociale orizzontale in cui esistono paritarie posizioni di prestigio, e al gaćkano them l'"apparire" e un sistema sociale gerarchizzato. Il primo punta al futuro e guarda al passato, il secondo considera (e si gode) il presente senza rifarsi a modelli di vita statici, fissi e ripetitivi. "Una civiltà che per i popoli europei non è civiltà poiché non si basa sugli stessi criteri", in cui l'unica gerarchia verticale è quella tra ricchi e poveri e dove la principale struttura sociale è quella della famìlje, che lega i consanguinei di tutte le generazioni e che veicola un complesso di valori etici e culturali vincolanti. I punti di forza di questa organizzazione, in cui esistono ruoli definiti in base al prestigio e al sesso, sono la solidarietà e la condivisione: eventi onorevoli o disonorevoli, fausti o luttuosi vi sono percepiti collettivamente. Secondo una consuetudine che va indebolendosi e che definiva la donna in rapporto alle sue relazioni con gli uomini, le donne sono preposte alla sfera domestica. Al netto delle attenuazioni e delle innovazioni portate dalla modernità Spinelli descrive un'organizzazione cristallinamente patriarcale dalle condizioni di proverbiale durezza, tanto più che il prestigio e l'autorevolezza delle figure maschili verso l'esterno della famìlje sono direttamente connessi al modo in cui essi riescono a difendere l'onorabilità del gruppo da dicerie, critiche e cattive nomee spesso riguardanti il comportamento delle donne. Un ćhaćho rom non è mai sottomesso ma non esistono riti cruenti per l'affermazione della virilità, che si misura con la capacità di provvedere al sostentamento e alla tutela della famìlje.
Spinelli illustra poi l'origine dei cognomi dei rom di antico insediamento nella penisola italiana, indicandone l'origine in quelli delle famiglie nobili servite, nei patronimici o nei nomi di mestiere più spesso che nei toponimi.
Ogni comunità ha un sistema giuridico e valori etici e morali complessivamente noto come romanì kris di cui sono depositari gli anziani; il singolo phuro è sostanzialmente un paciere; i phure della comunità organizzano una kris per deliberare su casi importanti. Sono regolati e promossi dalle norme tradizionali il rispetto per gli anziani, la solidarietà intracomunitaria, la libertà di vivere secondo gli usi della comunità a prescindere da quelli del mondo esterno, la famiglia, la protezione dei bambini e la trasmissione del romanì kris stesso.
Matrimonio e procreazione sono sentiti come insostituibili e imprescindibili mezzi di affermazione sociale perché consentono di stabilire legami e di aumentare il prestigio della famìlje. L'istituto della dote è regolato da consuetudini diverse a seconda della comunità. I rapporti tra coniugi non sono paritari, scrive Spinelli senza infingimenti, e il prestigio dell'uomo dipende dalla sua capacità di tenere fronte agli impegni contratti e in pari misura dal comportamento della moglie, che deve essere moralmente irreprensibile. L'educazione e la crescita dei figli, cui provvedono anziani, genitori e fratelli maggiori, avvengono in un ambiente in cui non esiste una separazione netta tra mondo dei bambini (cui viene lasciata molta libertà) e mondo degli adulti. Il lavoro serve al sostentamento e non deve diventare ragione di vita. Spinelli indica tra i mestieri tradizionali quelli legati alla metallurgia, all'allevamento e al commercio di animali, agli spettacoli circensi, alla musica e (in ultimo, per quanto vi insistano i luoghi comuni) alla divinazione; molte di queste attività si sono evolute o specializzate nell'epoca contemporanea.
Spinelli elenca un certo numero di rom/roma, sinti, cale/kale, manouches e romanichals divenuti celebri per la propria attività nel mondo dell'imprenditoria, delle scienze, dell'insegnamento accademico, delle armi o delle arti, sottolineando che la notorietà ha implicato per molti la rescissione o il soffocamento delle proprie origini.
Il terzo capitolo espone i tratti essenziali della romanipen, la identità romanì, i cui tratti -avverte l'A.- vengono spesso confusi con quelli che sono invece gli effetti devastanti della discriminazione. Il reale viene categorizzato secondo dicotomie di opposti in una visione dualistica dell'universo che si estende a ogni aspetto del vivere, e il vivere è per lo più ancorato al presente dal momento che il futuro non offre alcuna certezza. La dicotomia baxt / bibaxt, amplissimi concetti di fausto e infausto, regola l'esistenza dell'individuo al pari di quella -altrettanto ampia- tra puro e impuro. Se è puro quanto attiene alla luce e al cielo, è impuro quanto è ascrivibile alla terra e alla corruzione dei corpi anche in senso figurato. Spinelli riporta qualche pagina di aneddoti, proverbi, indovinelli e relative traduzioni prima di dedicarne altrettante alle usanze alimentari; anche i cibi risentono delle dicotomie su cui si fonda l'esistenza.
La spiritualità romanì presenta aspetti sincretici perché le credenze induiste e buddiste si sono modificate o sono scomparse col progredire degli eventi storici e sociali anche se hanno lasciato tracce ancora evidenti nella lingua e in un certo spirito di rassegnazione e di accettazione fatalistica della vita. Più che per esigenze di fede, l'adozione delle diverse religioni dei paesi ospitanti sarebbe avvenuta volta per volta per evitare persecuzioni ed emarginazione anche se gli esempi di intensa devozione personale non sono mai stati rari. Spinelli nota come accanto al cristianesimo ortodosso, al cattolicesimo e all'Islam dal 1950 in poi abbia fatto proseliti anche il cristianesimo evangelico, come le competenze nella divinazione possano risalire al contatto con la cultura persiana e come la festa di Ederlezi e i pellegrinaggi vengano vissuti come occasioni per la riaffermazione della propria identità e per rafforzare legami sociali.
L'A. attesta che la cultura romanì propone un'etica positiva della vita e considera la morte come la fine di tutto. In questo non si noterebbero reminiscenze indù o buddiste. I riti funebri seguono quelli prescritti dalla fede professata; esistono invece -ancora praticate- prescrizioni abbastanza precise per il kalipen, un lutto che si traduce in una lunga sofferenza necessaria a superare l'impurità della morte e che diventa un modus vivendi che si protrae anche per anni, gradatamente allentato secondo le prescrizioni degli anziani senza che il legame col defunto (spesso concretizzato dall'aspetto imponente delle sepolture) venga mai meno.
In chiusura Spinelli considera la lingua romanì e gli studi che hanno portato alla sua standardizzazione, iniziati nel XVIII secolo quando emerse la consapevolezza che si trattava di una lingua vera e propria e non di un gergo o di un parlar furbesco. A una rassegna delle fonti sull'argomento l'A. fa seguire un compendio della pronuncia e delle principali caratteristiche grammaticali.
Il quarto capitolo è una rassegna dei principali campi della cultura e delle arti cui rom/roma, sinti, cale/kale, manouches e romanichals abbiano dato contributi rilevanti o abbiano espresso contenuti originali. Spinelli espone per decine di pagine una lunga e curata serie di nomi e opere per i campi della letteratura, del teatro, delle arti figurative (a cominciare dal pittore quattrocentesco Antonio Solario) e della musica, con particolare attenzione a quest'ultima in considerazione delle sue competenze professionali come musicista con lo Alexian Group. La specificità romanì delle scale e delle forme, degli énsemble e degli strumenti utilizzati -come il cimbalom derivato dal santùr persiano- vengono considerati in rapporto con la musica popolare e con la musica colta, con cui le cui personalità di collegamento sono state Franz Liszt e Béla Bartòk e che soprattutto in epoca romantica considerò il mondo romanì una fonte di ispirazione cui ricorrere con frequenza; l'A. riepiloga le diverse tradizioni paese per paese, dal flamenco al jazz manouche di Django Reinhardt fino ai musicisti noti nelle comunità della penisola italiana, e fornisce indicazioni discografiche e su festival e rassegne in tema. La romanipen nelle arti ha avuto modo di svilupparsi al meglio nell'est europeo negli anni tra le due guerre mondiali, e anche successivamente in Unione Sovietica e in Yugoslavia grazie al sostegno pubblico; una considerazione che Spinelli esprime a proposito della musica e soprattutto del teatro, ma che ritorna in vari punti della trattazione. Quasi altrettanta attenzione viene dedicata nelle stesse pagine alla produzione poetica e letteraria, con enumerazioni dettagliate di opere e autori degli ultimi due secoli ripartite per paese e per lingua di pubblicazione, e con una certa cura si considerano anche gli scrittori che hanno dedicato riferimenti, personaggi o descrizioni al mondo della romanipen. Trattando della cinematografia Spinelli tocca nomi e argomenti più familiari al grande pubblico, e ricorda tra l'altro l'ascendenza romanichal di Michael Caine, di Bob Hoskins e soprattutto di Charlie Chaplin. Se apprezza il Goran Bregovic musicista non apprezza lo Emir Kusturica cineasta, trovandone le opere piene di "becero folklorismo".
Il quinto e ultimo capitolo espone la storia e l'attualità dell'associazionismo e dei rapporti con le istituzioni nazionali e sovranazionali. Spinelli ascrive alle trovate folkloristiche le iniziative che nel primo Novecento portarono qua e là alla proclamazione di "re degli zingari", ma esamina poi nel dettaglio varie associazioni nate successivamente -soprattutto dopo lo sterminio noto come samudaripen, avvenuto parallelamente alla distruzione degli ebrei d'Europa- al fine di combattere la discriminazione e di affermare positivamente l'identità dei gruppi aderenti. L'autore denuncia a questo proposito i limiti di iniziative quasi sempre viziate (fino a tempi recentissimi) da litigiosità e protagonismi individuali, evidenziando però la natura sincera di un impegno che contrappone a iniziative istituzionali tanto deludenti nei risultati quanto in malafede nelle intenzioni. Spinelli presenta la cronologia delle Raccomandazioni del Consiglio d'Europa e le iniziative dell'OCSE lamentando lo stridente contrasto che riscontra fra intenzioni e risultati pratici. Spinelli rileva in più occasioni che da istituzioni composte da non rom che si muovono senza una vera cognizione di causa -quando non sono guidate da fini quantomeno fumosi per non dire peggio- difficilmente si ottengono risultati diversi da uno spreco di denaro pubblico. Nel caso dello stato che occupa la penisola italiana Spinelli parla senza mezzi termini di una scandalosa Zingaropoli in cui l'aver proceduto guardandosi sistematicamente dal consultare i diretti interessati ha condotto immancabilmente a risultati controproducenti e al rafforzamento degli stereotipi più deteriori. Su cui si innesta il tornaconto della politica di rappresentanza.


Santino Spinelli - Le verità negate. Storia, cultura e tradizioni della popolazione romanì. Meltemi, Milano 2021. 688 pp.