Traduzione da Asia Times.
Il raid aereo sionista del trenta gennaio su un bersaglio siriano ancora da identificare con precisione si è verificato nello stesso momento in cui sono emersi indizi, difficili da contestare, secondo i quali i tentativi di giungere ad un "regime change" in Siria tramite la forza, con un intervento militare straniero e con la ribellione in armi sul fronte interno, sono falliti inducendo l'opposizione siriana in esilio a prendere controvoglia in considerazione l'idea di "trattative" con il governo in carica, con la benedizione degli Stati Uniti, dell'Unione Europea e della Lega Araba.
Il Primo Ministro dello stato sionista Benjamin Netanyahu continua ad affermare che lo stato sionista si sta preparando per "macroscopici cambiamenti" in Siria, ma i funzionari più alti in grado del ministero degli esteri hanno accusato Netanyahu di star utilizzando la Siria come uno spauracchio, per giustificare il fatto di aver ordinato quello che secondo il Times of Israel i russi hanno definito un raid "privo di pretesti".
Un altro funzionario ha riferito al quotidiano Maariv che per quanto riguarda le asserite armi chimiche siriane nessun limite fissato dallo stato sionista era stato superato, così da giustificare l'attacco. Il sedici di gennaio il portavoce del Consiglio Nazionale per la Sicurezza dello stato sionista Tommy Vietor aveva detto che "non c'erano prove" che i siriani si accingessero in qualchye modo ad utilizzare armi di questo genere. Il Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki Moon, il Segretario alla Difesa statunitense Leon Panetta, il Segretario della NATO Fogh Rasmussen e il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov avevano affermato nei due mesi antecedenti l'attacco che "non esistevano resoconti confermati" o "novità di qualche genere" sulle armi chimiche siriane.
Secondo l'ex capo della direzione generale dei servizi militari, il maggiore generale della riserva Amos Yaldin, è più probabile che lo stato sionista stia cercando di provocare una escalation per impelagare nel conflitto siriano i riluttanti Stati Uniti, in un tentativo fuori tempo massimo di precedere una soluzione politica del conflitto, sulla base della credenza che la caduta del governo di Bashar al Assad possa essere utile alla strategia dello stato sionista, o che stia cercando di assicurarsi un posto al tavolo dei negoziati destinato a definire il futuro assetto governativo siriano.
Alzare la tensione sul piano militare non assicurerà allo stato sionista un posto in alcuna sede di discussione sulla Siria. Questo è quello che deve essersi sentito dire il capo dei stato maggiore luogotenente generale Benny Gantz durante la sua ultima visita di cinque giorni negli Stati Uniti dal suo ospite di Washington, il presidente dello stato maggiore congiunto generale Martin Dempsey. Il capo dell'Ufficio per la Sicurezza Nazionale, il maggiore generale della riserva Yaakov Amidor, che si trovava a Mosca nello stesso periodo, deve essersi sentito rivolgere dai suoi ospiti qualche messaggio dello stesso tenore.
L'intervento militare sionista in questo particolare momento getta benzina sul fuoco di una Siria in cui negli ultimi tempi si stanno cercando invece dei pompieri in mezzo al crescente numero dei sostenitori del dialogo, dei negoziati e delle soluzioni politiche a livello nazionale, regionale ed internazionale.
In Siria la crisi umanitaria che si sta aggravando e il tributo di sangue che sta crescendo hanno imposto di scegliere tra due possibilità: un intervento militare straniero o una soluzione politica. Sono passati due anni da quando gli Stati Uniti, l'Unione Europea, la Turchia ed il Qatar hanno deciso di imporre con la forza un cambiamento di governo in Siria; la prima possibilità non si è concretizzata.
Sul piano militare il legittimo governo siriano sta prendendo il sopravvento sul terreno; i ribelli non sono riusciti a "liberare" neppure una città o un sobborgo e neppure una zona di campagna abbastanza ampia da poter essere dichiarata "zona cuscinetto" o da poter accogliere l'autonominata leadership dell'opposizione in esilio; la seconda opzione rappresentata dalla soluzione politica rimane l'unica via d'uscita dal bagno di sangue e da una crisi umanitaria che si aggrava di ora in ora.
Il messaggio che l'attacco sionista manda è che c'è ancora spazio per l'opzione militare. I ribelli, che hanno basato la loro strategia complessiva su un intervento militare straniero, hanno di recente scoperto che l'unico intervento militare straniero che sono riusciti ad ottenere è stato quello della rete internazionale di Al Qaeda e dell'organizzazione internazionale dei Fratelli Musulmani. Non c'è da stupirsi se adesso i frustrati ribelli siriani stanno perdendo terreno, slancio e morale.
Un intervento militare sionista puntellerebbe senz'altro il morale dei ribelli, ma solo per poco, perché potenzialmente non garantisce affatto di portare ad un miglioramento delle loro possibilità in una situazione in cui lo sforzo collettivo di tutti gli "amici della Siria" si è rivelato destinato al fallimento.
Un intervento militare sionista non farebbe che peggiorare la situazione, prolungando il conflitto armato, spargendo ancor più sangue siriano, esacerbando la crisi umanitaria, moltiplicando il numero dei profughi nel paese e dei rifugiati siriani all'estero, allontanando nel tempo una soluzione politica che è inevitabile, e portando un numero ancor più significativo di siriani a sostenere il governo in carica nella difesa del paese contro l'occupante sionista delle alture del Golan, isolando in questo modo i ribelli e privandoli di qualsiasi sostegno possano aver loro lasciato le tattiche terroristiche che usano.
Cosa ancora più importante, l'intervento sionista rischia di tradursi in un conflitto regionale se non viene arginato dalla comunità internazionale o se riesce ad innescare un conflitto tra siriani. I siriani ed i sionisti hanno preso atto dopo l'attacco che le regole di ingaggio bilaterali sono già cambiate.
Tutto quello di cui hanno preso atto gli "amici della Siria" è invece il fatto che hanno tentato tutto quanto era in loro potere per consolidare una "zona cuscinetto" all'interno del territorio siriano, ma che non sono riusciti a fare nulla di concreto. Hanno cercato di realizzarla con una risoluzione al Consiglio di Sicurezza dell'ONU, ma i loro sforzi sono stati vanificati per tre volte dal doppio veto di Russia e Cina. Hanno cercato, fino ad oggi senza successo, di instaurarne una al di fuori della giurisdizione delle Nazioni Unite armando la ribellione interna, la cui punta avanzata è costituita essenzialmente dal Fronte Al Nusra, collegato ad Al Qaeda.
Adesso lo stato sionista ha fatto il suo ingresso nel conflitto, ufficialmente per la prima volta, per cercare a modo suo di consolidare una "zona cuscinetto" per conto proprio, nel tentativo di riuscire laddove gli "amici della Siria" hanno fallito.
Il 3 febbraio il Sunday Times di Londra ha riferito che lo stato sionista sta prendendo in considerazione l'idea di realizzare una zona cuscinetto che si estenda per dieci miglia -sedici chilometri- all'interno del territorio siriano. Il quotidiano mainstream Maariv, pubblicato nello stato sionista, ha confermato il giorno successivo, aggiungendo che la zona cuscinetto verrebbe realizzata in cooperazione con i villaggi arabi locali che si trovano sul lato siriano della zona cuscinetto monitorata dalle Nazioni Unite, che venne creata da ambo i lati della linea armistiziale dopo la guerra tra Siria e stato sionista del 1973.
In concreto, lo stato sionista ha preparato il terreno per la realizzazione di una propria zona cuscinetto. In uno sviluppo meno pubblicizzato, lo stato sionista ha lasciato che la zona cuscinetto sotto sorveglianza dell'ONU che si trova tra la Siria e le alture del Golan siriano occupate dai sionisti venisse occupata dai ribelli siriani islamisti. Lo European Jewish Press ha riferito il primo gennaio 2013 che il premier sionista Netanyahu, durante una visita nel Golan occupato, è stato messo a conoscenza del fatto che i ribelli "hanno occupato posizioni lungo la frontiera con lo stato sionista, con l'eccezione della enclave di Quneitra".
Lo scorso 14 novembre il Ministro della Difesa Ehud Barak ha confermato alla Associated Press che "i ribelli siriani controllano quasi tutti i villaggi vicini alla frontiera con le alture del Golan controllate dallo stato sionista".
Il 13 dicembre lo Jerusalem Post ha citato una "fonte militare di grado superiore" secondo la quale "il fatto che la zona sia controllata da ribelli non richiede alcun cambiamento dalla nostra parte".
A controllare la zona ci sono circa mille osservatori delle Nazioni Unite. Un "ufficiale sionista" ha detto ad un inviato del McClatchy che i ribelli presenti in zona sono "meno di mille combattenti". Il Canada ha ritirato nel settembre scorso il proprio contingente di osservatori; il Giappone ha fatto lo stesso a gennaio. Secondo il Times of Israel, che ha citato il quotidiano arabo pubblicato a Londra Al Hayat il mese prima l'ambasciatore francese all'ONU Grard Araud avrebbe sostenuto che la forza per il mantenimento della pace nel Golan potrebbe "collassare".
L'accordo armistiziale del 1974 proibisce al governo siriano di intraprendere attività militari nella zona cuscinetto; nel caso, esso rischierebbe il confronto militare con lo stato sionista; secondo Moshe Maoz, professore emerito presso l'Università Ebraica di Gerusalemme, "L'esercito siriano non ha alcun interesse a provocare lo stato sionista".
In ogni caso, sarebbe il caso di sapere per quanto tempo la Siria potrà tollerare che la zona cuscinetto demilitarizzata e controllata dall'ONU diventi, intanto che i sionisti tengono chiusi entrambi gli occhi, un rifugio sicuro di terroristi ed un corridoio di rifornimento che mette in comunicazione i ribelli che si trovano in Libano con le loro conventicole nella Siria meridionale.
Lo stato sionista non ha sfidato militarmente la presenza dei ribelli collegati ad Al Qaeda sul lato di propria competenza della zona teoricamente demilitarizzata, né ha avanzato lamentele a riguardo o fatto richiesta alle Nazioni Unite per un rafforzamento degli osservatori dell'ONU di stanza nella zona.
Ironicamente, lo stato sionista fa riferimento alla presenza di questi stessi ribelli alla frontiera delle alture del Golan occupato come al pretesto per giustificare la "presa in esame della creazione di una zona cuscinetto" all'interno del territorio siriano.
Nicola Nasser è un giornalista arabo di lunga esperienza di Bir Zeit, nella West Bank dei territori palestinesi occupati dai sionisti.