Traduzione da Moon of Alabama.
Una competente e considerata penna dell'importante quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ) ha riferito, in lingua tedesca, di come il recente massacro di Al Houla in Siria sia stato perpetrato da ribelli sunniti. Ho tradotto in inglese l'articolo, che è stato accolto con un certo fastidio e ha fatto sì che gli "attivisti" di Al Houla rispondessero con una smentita anonima.
In un secondo articolo, sempre in tedesco, l'inviato Rainer Hermann ha sviluppato i concetti già espressi nel primo e spiega perché la sua versione dei fatti sia quella corretta e perché la versione opposta sia profondamente errata.
Il testo che segue è la mia traduzione dell'articolo pubblicato sulla FAZ
Lo sterminio
Il massacro di Al Houla ha rappresentato una svolta nella tragedia siriana. L'indignazione nel mondo è stata grande quando il 25 di maggio vi sono state uccise centootto persone, quarantanove delle quali erano bambini. Le voci a favore di un intervento armato per porre fine al bagno di sangue sono diventate più forti e da quel giorno il numero degli episodi violenti in Siria è salito repentinamente. L'opinione pubblica mondiale, rifacendosi alle trasmissioni televisive arabe e al sopralluogo degli osservatori dell'ONU del giorno successivo, ha quasi per intero addossato la responsabilità all'esercito regolare e alla milizia filogovernativa Shabiha.
Durante le scorse settimane, sulla base di quanto hanno riferito dei testimoni oculari, la Frankfurter Allgemeine Zeitung ha messo in dubbio questa versione dei fatti. Ha riferito che i civili uccisi erano tutti alawiti e sciiti, che sono stati uccisi a sangue freddo da sunniti armati a Taldou -una cittadina nella pianura di Al Houla- intanto che ai posti di blocco che circondavano la cittadina infuriavano i combattimenti tra esercito regolare e Libero Esercito Siriano. Il nostro articolo è stato ripreso da molte agenzie mediatiche in tutto il mondo e respinto da molte altre che lo hanno considerato poco plausibile. In ogni caso dobbiamo porci quattro domande: perché fino ad oggi l'opinione pubblica mondiale ha preso per buona una versione diversa dei fatti? Per quale motivo il contesto della guerra civile rende verosimile la versione dei fatti che invece è stata considerata poco degna di fiducia? Perché le testimonianze che abbiamo raccolto sono credibili? Quali altri dati di fatto ci sono a favore di quanto sosteniamo?
Cominciamo con la prima. Perché il mondo crede all'altra versione dei fatti? E' fuori di dubbio che di ogni atrocità commessa nel corso dei primi mesi del conflitto, quando l'opposizione non si era ancora armata e non aveva difese, debbano essere incolpate le forze governative, e la tendenza è a considerare scontato che le cose stiano ancora in questo modo. [Nota del traduttore: Hermann in questo caso si sbaglia. Esistono resoconti attendibili che attestano agguati mortali contro le forze governative, compiuti da soggetti ben armati e probabilmente finanziati dall'estero, fin dal 10 aprile del 2011]. Oltre a questo c'è il fatto che ai mass media statali siriani non viene attribuita alcuna credibilità: utilizzano fin dall'inizio del conflitto la definizione di "bande armate terroristiche" e quindi nessuno prende per buono quello che riferiscono, neppure quando sarebbe il caso di farlo. Due agenzie mediatiche, i canali di informazione in lingua araba Al Jazeera ed Al Arabiya sono diventate delle fonti di riferimento, dal momento che a controllarle sono il Qatar e l'Arabia Saudita, due stati sovrani che hanno un ruolo attivo nel conflitto in corso. Non è senza ragione che rammentiamo l'adagio secondo il quale "la prima vittima della guerra è la verità".
In secondo luogo, per quale motivo, nel contesto di una guerra civile, la versione di cui si dubita è invece quella plausibile? Nel corso degli ultimi mesi sono stati introdotti clandestinamente in Siria molti armamenti: i ribelli dispongono ora di armamenti di lunga gittata e di medio calibro. Ogni giorno in Siria vengono uccise oltre cento persone: il numero di perdite è più o meno pari per entrambe le parti. Le milizie che operano sotto la bandiera del Libero Esercito Siriano controllano ampie zone delle province di Homs e di Idlib, ed il loro dominio si estende anche ad altre parti del paese. Il crescente diffondersi del senso di impunità ha provocato un'ondata di rapimenti di natura puramente criminale e facilita anche la recrudescenza di vecchi dissapori. Se si consulta Facebook o si parla con qualche siriano, si nota che non c'è persona che non sia a conoscenza di quotidiane vicende di "pulizia religiosa", di persone che vengono uccise solo perché sono alawite o perché sono sunnite.
La pianura di Houla si trova tra la città sunnita di Homs e le montagne degli alawiti; è abitata in prevalenza da sunniti e la sua storia è una lunga storia di tensioni settarie. Il massacro è avvenuto a Taldou, una delle località più grandi della zona. Si conoscono i nomi di ottantaquattro dei civili uccisi: sono quarantanove bambini, con i loro padri e le loro madri, che appartengono alla famiglia Al Sayyid oltre che a due rami della famiglia Abdarrazzaq. Persone residenti in città affermano che si tratta di alawiti, e di musulmani che si erano convertiti dall'Islam sunnita all'Islam sciita. A pochi chilometri di distanza dalla frontiera libanese, la cosa li ha resi sospetti di essere sostenitori di Hezbollah, un'organizzazione che i sunniti detestano. Oltre a queste persone, a Taldou sono stati uccisi i parenti del parlamentare lealista Abdalmuti Mashlab.
Le abitazioni di queste tre famiglie si trovano in quartieri diversi di Taldous. I componenti dei tre nuclei familiari sono stati tutti uccisi, con una sola eccezione. Nessuno dei loro vicini è rimasto ferito. Una approfondita conoscenza della realtà locale era un prerequisito fondamentale per poter portare a termine queste esecuzioni, programmate con tanta cura. L'agenzia di stampa AP ha riportato quanto detto dall'unico sopravvissuto della famiglia Al Sayyid. Ali, undici anni, avrebbe detto che "Gli esecutori avevano la testa rasata e portavano la barba lunga". Sono gli jihadisti fanatici ad avere questo aspetto, non la milizia Shabiha. Il ragazzino ha raccontato di essere sopravvissuto perché si è finto morto e si è sporcato apposta con il sangue di sua madre.
Il 1 aprile madre Agnès Maryam, dal monastero di Giacobbe (Deir Mar Yakub) situato a sud di Homs nel villaggio di Qara, ha descritto in una lunga lettera aperta il clima di violenza e di terrore in cui si vive nella zona. La sua conclusione è che gli insorti sunniti stiano praticando una graduale liquidazione di tutte le altre minoranze. Descrive la cacciata dei cristiani e degli alawiti dalle loro case, occupate poi dai ribelli, e le violenze inflitte a ragazzine che i ribelli considerano preda bellica; ha assistito con i suoi occhi alla morte di un commerciante: i ribelli prima lo hanno ucciso per strada a Wadi Sajjeh tramite un'autobomba, dopo che si era rifiutato di tenere chiuso il negozio; poi hanno riferito alle telecamere di Al Jazeera che il delitto era stato commesso dal regime. In chiusura della lettera, descrive come gli insorti sunniti nel quartiere Khalidijah di Homs abbiano chiuso ostaggi cristiani ed alawiti in un'abitazione e l'abbiano quindi fatta saltare, soltanto per poter poi dire che si trattava di un'atrocità del regime.
Per quale motivo in questo contesto i testimoni siriani citati dal mio scritto vanno considerati delle fonti credibili? Perché non appartengono a nessuna delle fazioni in conflitto: sono stati presi in mezzo e non gli interessa altro che fermare l'ulteriore inasprirsi delle violenze. Molte persone come queste sono già state uccise e questo è il motivo per cui nessuna di esse vuole rivelare la propria identità. In un momento in cui non è realizzabile una rassegna indipendente di tutto quello che accade sul terreno, non si può avere alcuna certezza che tutti gli eventi narrati siano accaduti esattamente nei termini in cui vengono descritti. Anche il massacro di Al Houla, seppure è avvenuto nella maniera qui descritta, non serve a trarre conclusioni che possano essere estese a casi simili. Come è stato fatto in Kosovo, ogni episodio di massacro dopo questa guerra andrà considerato come un caso unico.
Quali altri dati di fatto sostengono la versione qui presentata? La Frankfurter Allgemeine Zeitung non è stata la prima a riferire in questi termini del massacro di Al Houla. Altri resoconti, semplicemente, non possono competere con i grandi mass media. Il giornalista russo Marat Musin, che lavora per la piccola agenzia di stampa Anna, si trovava ad Al Houla il 25 ed il 26 maggio e divenne testimone oculare di parte degli avvenimenti oltre ad aver pubblicato le dichiarazioni di altri testimoni oculari. Oltre a lui, c'è anche l'arabista e giornalista freelance olandese Martin Janssen, che vive a Damasco e che ha contattato il monastero di Giacobbe di Qara che si era fatto carico di molte delle vittime del conflitto, con le suore che si dedicavano con tutte loro stesse al servizio umanitario nei giorni successivi al massacro.
I ribelli sunniti perpetrano la liquidazione di tutte le minoranze
Le suore hanno raccontato a Janssen di come il 25 maggio oltre settecento ribelli armati arrivati da Rastan abbiano sopraffatto un posto di blocco dell'esercito vicino a Taldou e di come gli stessi ribelli a massacro ultimato abbiano ammucchiato i corpi dei soldati e dei civili uccisi davanti alla moschea, e di come, il giorno successivo, abbano fornito la loro versione dei fatti attribuendo all'esercito regolare la responsabilità della strage, davanti alle telecamere dei mass media a loro favorevoli e davanti agli osservatori dell'ONU.
Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha annunciato il 26 maggio al Consiglio di Sicurezza che le circostanze in cui tutto questo è avvenuto non sono chiare. L'ONU ha potuto in ogni caso confermare che "c'è stato un attacco in cui sono stati impiegati l'artiglieria ed i mortai. Ci sono state anche altre forme di violenza, tra le quali gli spari a bruciapelo e gravi maltrattamenti".
Possiamo dunque ricostruire gli eventi nella loro sequenza. Dopo la preghiera del venerdi del 25 maggio, più di settecento uomini armati sotto la guida di Abdurrazzaq Tlass e di Yahya Yusuf sono arrivati, divisi in tre gruppi, da Rastan, da Kafr Laha e da Akraba ed hanno attaccato tre posti di blocco dell'esercito tutt'attorno a Taldou. I ribelli, forti della superiorità numerica, e i soldati dell'esercito regolare (molti dei quali sunniti anch'essi) hanno combattuto in scontri sanguinosi, in cui sono morti oltre venti soldati, per la maggior parte militari di leva. Durante e dopo gli scontri i ribelli, con l'aiuto di cittadini di Taldou, hanno eliminato le famiglie Sayyid ed Abdarrazzaq. Avevano rifiutato di unirsi alla ribellione.