Dal novembre 2011 lo stato che occupa la penisola italiana sarebbe "governato" da un esecutivo tecnico. Nel panorama mediatico ed in particolare in quello della comunicazione politica, la cosa ha portato a mutamenti sostanziali ed immediatamente percepibili, in primo luogo togliendo molta visibilità alla ciurma di sfaticati in cui l'"occidentalismo" incarna il meglio delle proprie istanze.
I temi cari all'"occidentalismo" sono stati tante volte qui irrisi e disprezzati al pari dei loro propugnatori, in un'opera di confutazione intrisa di dileggio che non si ha la minima intenzione di interrompere dato il pochissimo impegno che richiede. Dalla sihurézza a i'ddegràdo, dai ristoranti ai parassiti immobiliari, dalla "difesa dell'Occidente" alle autoattribuite "radici cristiane" cui fanno trasandata guardia manigoldi capaci solo di ingrassare e di frequentare femmine pubbliche, dalla criminalizzazione del dissenso alla carcerizzazione integrale della vita sociale passando per le "rivoluzioni" fatte con quelle autoschedature per mediocri che prendono il nome di Cinguettatore e di Libro dei Ceffi. Tutte cose che restano validissime in una prospettiva di ampio respiro, perché le "agenzie di stampa" non hanno certo smesso di secernere accurati ed economicissimi servizi foto e video che mostrano la bella vita delle giovani di Beirut e la cattiveria dei carnefici di Tabriz, ma nel più corto respiro della realtà peninsulare hanno quasi smesso, e per di più nel giro di poche settimane, di colare le loro secrezioni sull'agenda setting.
Venti anni di dominio mediatico "occidentalista" hanno contribuito in misura determinante a sporcare in modo irrimediabile ogni aspetto della vita pubblica nello stato che occupa la penisola italiana. Vent'anni di dominio politico "occidentalista" hanno prodotto come unico risultato lo riempimento delle galere, che -tocca concludere- non esistono solo a Tehran per quanto i gazzettieri si affannino a sostenere il contrario.
In tempi in cui la situazione conservava qualche parvenza di normalità e la sovversione non era giunta al punto di chiamare in modo sistematico libertà la schiavitù più umiliante, un vecchissimo Indro Montanelli fu tra i primi a sperimentare i metodi con cui la marmaglia "occidentalista" stava consolidando un dominio privo di seri contrasti in entrambi i campi, e la gratificò del troppo benevolo titolo di "feccia che risale il pozzo".
Adesso, tutto d'un tratto, pare che nella penisola italiana la propaganda "occidentalista" non la voglia più nessuno e che insistere su certi temi conduca le gazzette diritte al fallimento, per di più in tempi in cui affrontare a viso aperto la mano neanche tanto invisibile del "libero mercato" non piace troppo neppure ai suoi più convinti e documentati difensori.
Questo ha lasciato quasi afasici molti ben vestiti, la cui attività "politica" essenziale consiste nella produzione di "comunicati stampa" e che sono costretti a ripiegare nel migliore dei casi sulle gazzettine a diffusione locale.
Una di queste gazzettine, sedicente e piccata "voce fuori dal coro", è quel "Giornale della Toscana" la cui linea editoriale è da sempre tanto impermeabile alle critiche (per tacere del puro e semplice buon senso, del realismo, di un minimo di pudore, di una infinitesima quantità di residua buona fede) quanto degna di qualsiasi atteggiamento sia compreso tra l'indifferenza più gelida e la repulsione più ostentata: se quelli che vi "lavorano" (venticinque persone per otto pagine) non percepiscono stipendio da mesi è probabile che ci siano dei validi motivi.
Non è da escludere che la ripetizione ecoica, quotidiana e puntuale delle istanze care all'"occidentalismo" più ebefrenico non occupi una posizione di primo piano tra le cause del prevedibile, previsto e -speriamo- incombente disastro: nel contesto sociale della città di Firenze le istanze suddette sono state tradotte a livello operazionale in un miscuglio in cui l'insihurèzza e i'ddegrado si alternano e mischiano ad Oriana Fallaci, a linciaggi spiccioli, a queruli "chi paga" e ad un tipo di islamofobia in cui non si capisce più se mai vi sia stato un confine a separare la malafede premeditata dall'incultura pura e semplice.
Il 19 aprile "Il Giornale della Toscana" spreca una delle poche pagine a disposizione perché un paio di "occidentalisti" della committenza tovano mal spesi i settantacinquemila euro erogati ad un'organizzazione specializzata in ricerca sociale, incaricata di costruire un "percorso partecipativo" sull'erigenda moschea fiorentina. Tommaso Villa tuona -tuona, nientemeno- sostanzialmente preoccupato del fatto che l'imam di Firenze Izzedin Elzir approfitti della vicenda per "acquistare visibilità".
La realtà, ovviamente, è sempre opposta a come gli "occidentalisti" la raffigurano. Ad uno degli incontri del percorso partecipativo, al quale abbiamo partecipato di persona, Izzedin Elzir si limitò a presentare l'iniziativa abbandonando poi la sala. Non è un atteggiamento da persona in cerca di visibilità, il che significa che anche in questo caso gli "occidentalisti" attribuiscono a quanti intendono presentare come loro nemici delle caratteristiche che appartengono, invece, a loro stessi.
Esistono cose imperdonabili, ad occhi "occidentalisti": una di queste è il comportarsi da persone competenti. Un'altra, lo smascherare le loro macchinazioni. In Izzedin Elzir, che ha osato ignorare la barzellettistica "consulta sull'Islam" messa in piedi dagli "occidentalisti" per conferire patenti di "democrazia occidentale", le cose si assommano.
Qualcosa di inaudito. Se poi ci si mette anche uno dei "ministri tecnici" in carica, a considerare le iniziative "occidentaliste" per quello che sono, ce n'è veramente di che uscire di senno per l'indignazione.
Parte delle lamentele escrete da questo Tommaso Villa è centrata sull'entità della cifra. Peccato che settantacinquemila euro rappresentino una cifra ridicola a fronte delle spese pretese da una propaganda "occidentalista" che ha spinto la ricerca di visibilità fino a sfruttare a questo scopo tragedie trasformate in passerelle di potenti o a fronte della partecipazione quotidiana alle guerre volute dal presenzialismo "occidentalista". Uno dei più complessi sistemi d'arma in dotazione alle forze armate dello stato che occupa la penisola italiana, il Cavour, costa settantacinquemila euro ogni diciotto ore. Ogni diciotto ore di permanenza in porto, non ogni diciotto ore di effettivo impiego.
Un altro frequentatore di ristoranti, tale Stefano Alessandri, allunga misericorde lo scrittarello di una Giulia Ghizzani che, vista la situazione dei vari foglietti per cui "lavora", siamo soddisfatti di poter immaginare ormai giunta ai limiti dell'indigenza.
I temi cari all'"occidentalismo" sono stati tante volte qui irrisi e disprezzati al pari dei loro propugnatori, in un'opera di confutazione intrisa di dileggio che non si ha la minima intenzione di interrompere dato il pochissimo impegno che richiede. Dalla sihurézza a i'ddegràdo, dai ristoranti ai parassiti immobiliari, dalla "difesa dell'Occidente" alle autoattribuite "radici cristiane" cui fanno trasandata guardia manigoldi capaci solo di ingrassare e di frequentare femmine pubbliche, dalla criminalizzazione del dissenso alla carcerizzazione integrale della vita sociale passando per le "rivoluzioni" fatte con quelle autoschedature per mediocri che prendono il nome di Cinguettatore e di Libro dei Ceffi. Tutte cose che restano validissime in una prospettiva di ampio respiro, perché le "agenzie di stampa" non hanno certo smesso di secernere accurati ed economicissimi servizi foto e video che mostrano la bella vita delle giovani di Beirut e la cattiveria dei carnefici di Tabriz, ma nel più corto respiro della realtà peninsulare hanno quasi smesso, e per di più nel giro di poche settimane, di colare le loro secrezioni sull'agenda setting.
Venti anni di dominio mediatico "occidentalista" hanno contribuito in misura determinante a sporcare in modo irrimediabile ogni aspetto della vita pubblica nello stato che occupa la penisola italiana. Vent'anni di dominio politico "occidentalista" hanno prodotto come unico risultato lo riempimento delle galere, che -tocca concludere- non esistono solo a Tehran per quanto i gazzettieri si affannino a sostenere il contrario.
In tempi in cui la situazione conservava qualche parvenza di normalità e la sovversione non era giunta al punto di chiamare in modo sistematico libertà la schiavitù più umiliante, un vecchissimo Indro Montanelli fu tra i primi a sperimentare i metodi con cui la marmaglia "occidentalista" stava consolidando un dominio privo di seri contrasti in entrambi i campi, e la gratificò del troppo benevolo titolo di "feccia che risale il pozzo".
Adesso, tutto d'un tratto, pare che nella penisola italiana la propaganda "occidentalista" non la voglia più nessuno e che insistere su certi temi conduca le gazzette diritte al fallimento, per di più in tempi in cui affrontare a viso aperto la mano neanche tanto invisibile del "libero mercato" non piace troppo neppure ai suoi più convinti e documentati difensori.
Questo ha lasciato quasi afasici molti ben vestiti, la cui attività "politica" essenziale consiste nella produzione di "comunicati stampa" e che sono costretti a ripiegare nel migliore dei casi sulle gazzettine a diffusione locale.
Una di queste gazzettine, sedicente e piccata "voce fuori dal coro", è quel "Giornale della Toscana" la cui linea editoriale è da sempre tanto impermeabile alle critiche (per tacere del puro e semplice buon senso, del realismo, di un minimo di pudore, di una infinitesima quantità di residua buona fede) quanto degna di qualsiasi atteggiamento sia compreso tra l'indifferenza più gelida e la repulsione più ostentata: se quelli che vi "lavorano" (venticinque persone per otto pagine) non percepiscono stipendio da mesi è probabile che ci siano dei validi motivi.
Non è da escludere che la ripetizione ecoica, quotidiana e puntuale delle istanze care all'"occidentalismo" più ebefrenico non occupi una posizione di primo piano tra le cause del prevedibile, previsto e -speriamo- incombente disastro: nel contesto sociale della città di Firenze le istanze suddette sono state tradotte a livello operazionale in un miscuglio in cui l'insihurèzza e i'ddegrado si alternano e mischiano ad Oriana Fallaci, a linciaggi spiccioli, a queruli "chi paga" e ad un tipo di islamofobia in cui non si capisce più se mai vi sia stato un confine a separare la malafede premeditata dall'incultura pura e semplice.
Il 19 aprile "Il Giornale della Toscana" spreca una delle poche pagine a disposizione perché un paio di "occidentalisti" della committenza tovano mal spesi i settantacinquemila euro erogati ad un'organizzazione specializzata in ricerca sociale, incaricata di costruire un "percorso partecipativo" sull'erigenda moschea fiorentina. Tommaso Villa tuona -tuona, nientemeno- sostanzialmente preoccupato del fatto che l'imam di Firenze Izzedin Elzir approfitti della vicenda per "acquistare visibilità".
La realtà, ovviamente, è sempre opposta a come gli "occidentalisti" la raffigurano. Ad uno degli incontri del percorso partecipativo, al quale abbiamo partecipato di persona, Izzedin Elzir si limitò a presentare l'iniziativa abbandonando poi la sala. Non è un atteggiamento da persona in cerca di visibilità, il che significa che anche in questo caso gli "occidentalisti" attribuiscono a quanti intendono presentare come loro nemici delle caratteristiche che appartengono, invece, a loro stessi.
Esistono cose imperdonabili, ad occhi "occidentalisti": una di queste è il comportarsi da persone competenti. Un'altra, lo smascherare le loro macchinazioni. In Izzedin Elzir, che ha osato ignorare la barzellettistica "consulta sull'Islam" messa in piedi dagli "occidentalisti" per conferire patenti di "democrazia occidentale", le cose si assommano.
Qualcosa di inaudito. Se poi ci si mette anche uno dei "ministri tecnici" in carica, a considerare le iniziative "occidentaliste" per quello che sono, ce n'è veramente di che uscire di senno per l'indignazione.
Parte delle lamentele escrete da questo Tommaso Villa è centrata sull'entità della cifra. Peccato che settantacinquemila euro rappresentino una cifra ridicola a fronte delle spese pretese da una propaganda "occidentalista" che ha spinto la ricerca di visibilità fino a sfruttare a questo scopo tragedie trasformate in passerelle di potenti o a fronte della partecipazione quotidiana alle guerre volute dal presenzialismo "occidentalista". Uno dei più complessi sistemi d'arma in dotazione alle forze armate dello stato che occupa la penisola italiana, il Cavour, costa settantacinquemila euro ogni diciotto ore. Ogni diciotto ore di permanenza in porto, non ogni diciotto ore di effettivo impiego.
Un altro frequentatore di ristoranti, tale Stefano Alessandri, allunga misericorde lo scrittarello di una Giulia Ghizzani che, vista la situazione dei vari foglietti per cui "lavora", siamo soddisfatti di poter immaginare ormai giunta ai limiti dell'indigenza.
Sul Libro dei Ceffi esiste una schedatura a nome Giulia Ghizzani che presenta contenuti come questo.
Un'occhiata al Libro dei Ceffi e alla sua miserabile rassegna umana, dando per buona quella che pare davvero la corrispondenza tra il contenuto della schedatura e la Giulia Ghizzani realmente esistente, permetterebbe di concludere che Giulia Ghizzani trova il tempo di posare sul Libro dei Ceffi con pochi vestiti addosso, ma non trova il tempo di aggiungere ai propri scritti una considerazione semplice ed essenziale.
A questa omissione poniamo rimedio noi.
Se organizzazioni politiche ben determinate, ben note e ben identificabili non avessero per oltre dieci anni fatto dell'islamofobia una delle principali armi del proprio arsenale propagandistico, traendo da essa la legittimazione ed i suffragi poi utilizzati in modo tanto lodevole e tanto costruttivo per il pubblico interesse, non ci sarebbe stata alcuna necessità di "percorsi partecipati" per arrivare alla realizzazione di un luogo di culto che è un diritto puro e semplice. E i settantacinquemila euro avrebbero potuto trovare impieghi meno "occidentalisticamente" eccepibili. I capitoli di spesa sui quali gli "occidentalisti" difficilmente emettono critiche sono noti a tutti, e non è il caso di riportarne i dettagli in una sede che non intende per sua natura ospitare scritti pornografici.
Il nostro auspicio è noto. La moschea a Firenze deve essere costruita; deve essere costruita con denaro pubblico esplicitamente distolto dalle spese militari e da quelle per la sihurézza e la lottaiddegràdo, deve risultare un edificio degno della città di Firenze come lo fu a suo tempo la sinagoga di via Farini, deve essere costruita in pieno centro. La sede da noi proposta è il lato orientale di piazza Ghiberti, previa la demolizione degli stabili che vi sorgono oggi, e nei quali si svolge da troppi anni un'attività responsabile di un degrado sociale autentico e palpabile.
A questa omissione poniamo rimedio noi.
Se organizzazioni politiche ben determinate, ben note e ben identificabili non avessero per oltre dieci anni fatto dell'islamofobia una delle principali armi del proprio arsenale propagandistico, traendo da essa la legittimazione ed i suffragi poi utilizzati in modo tanto lodevole e tanto costruttivo per il pubblico interesse, non ci sarebbe stata alcuna necessità di "percorsi partecipati" per arrivare alla realizzazione di un luogo di culto che è un diritto puro e semplice. E i settantacinquemila euro avrebbero potuto trovare impieghi meno "occidentalisticamente" eccepibili. I capitoli di spesa sui quali gli "occidentalisti" difficilmente emettono critiche sono noti a tutti, e non è il caso di riportarne i dettagli in una sede che non intende per sua natura ospitare scritti pornografici.
Il nostro auspicio è noto. La moschea a Firenze deve essere costruita; deve essere costruita con denaro pubblico esplicitamente distolto dalle spese militari e da quelle per la sihurézza e la lottaiddegràdo, deve risultare un edificio degno della città di Firenze come lo fu a suo tempo la sinagoga di via Farini, deve essere costruita in pieno centro. La sede da noi proposta è il lato orientale di piazza Ghiberti, previa la demolizione degli stabili che vi sorgono oggi, e nei quali si svolge da troppi anni un'attività responsabile di un degrado sociale autentico e palpabile.