La sua critica di una certa visione del mondo è ancora meno sospetta di parzialità se si sa che il signor Miguel Guillermo Martinez Ball non è un iscritto al sindacato che a scuola ha studiato sui libri ammannitigli da cattivi maestri sessantottini (la vita vera e il ritratto che la marmaglia "occidentalista" ne fa fare dalla sua feccia gazzettiera sono due cose molto distanti, quando non opposte) ma un interprete e traduttore che -secondo la sua autodefinizione- manda avanti una ditta individuale da dietro un computer.
L'incarnazione fedele dell'inglese, internet e impresa cari ad almeno i tre quinti dell'elettorato attivo.
L’altro giorno, Renato Pagliaro di Mediobanca, un signore che guadagna 2.5 milioni di euro (l’anno, presumiamo), si è esibito in una conferenza al Liceo Carducci di Milano, dove ha spiegato ai giovani alcuni concetti fondamentali:
«Non avrete mai la certezza del posto fisso, nessuno al mondo ha il dovere di assumervi». Tra gli astanti serpeggia qualche brusio, ma il banchiere ha rincarato la dose: «Se in questa sala c’è un giovane che dice “Io non voglio lavorare la domenica”, vi dico che siete fuori dal mondo» [...]
Poi ha spiazzato tutti invitando i giovani a pianificare famiglie numerose: «Non abbiate paura di fare figli», perché lo sviluppo «ha molto a che fare con la demografia, più un Paese è giovane e più cresce».”
Pagliaro non ha spiegato dove bisogna scaricare i Figli-per-lo-sviluppo la domenica.
Leggo invece le parole di un imprenditore italiano, che scrive felice dagli Stati Uniti:
“Io in Silicon Valley sono un “employee at-will”, cosi’ come tutti i miei colleghi (e tutti quelli che vivono qui). Vuol dire che devo dare ZERO giorni di preavviso se me ne voglio andare, ma anche che l’azienda mi puo’ segare dall’oggi al domani. E capita, spesso. Si arriva in ufficio al venerdi’, si scopre che il badge non funziona piu’, si firma un foglio e via, senza passare manco dall’ufficio perche’ il computer e’ dell’azienda. Se va bene, ci sono due settimane di severance (no, il TFR non esiste, l’unica cosa garantita sono le ferie non pagate, che qui sono due settimane all’anno per i neo-assunti…).
Io sono un precario. Questa sera potrei non avere piu’ il lavoro, essere buttato in mezzo alla strada, senza protezione alcuna. Eppure dormo bene la notte. E sono felice.”
L’autore ha evidentemente un animo sportivo.
Quante volte abbiamo visto certe pubblicazioni patinate per imprenditori solitari, con immagini di corridori, nuotatori, alpinisti o praticanti del bungee jumping al culmine della loro attività?
Sono l’improbabile metafora di persone che passano in realtà il loro tempo chini su computer o in riunioni di consigli di amministrazione, ma che si sentono sudate e tese quanto gli sportivi in cui si immedesimano. Anzi, fare impresa, per loro, è una forma di sport estremo, solo praticato al chiuso. Come le scommesse sui cavalli.[1]
L’imprenditore italiano che scrive dalla Silicon Valley è felice così, e non abbiamo ragione di dubitarne.
Nel suo particolare sport estremo, ci mette di sicuro l’anima, o meglio quel poco che gliene rimane. Dorme bene la notte, probabilmente perché anche nei sogni continua a giocare.
C’è una differenza fondamentale, però, tra i normali sport estremi e quelli praticati da questa gente qui.
Noi abbiamo conosciuto diversi appassionati di paracadutismo, alcuni simpatici e altri antipatici.
Ma non abbiamo conosciuto nessun paracadutista convinto che l’intera specie umana dovesse buttarsi giù dall’aereo assieme a lui oppure crepare.
P.S. Potete farvi un quadro clinico piuttosto preciso della sottospecie umana che si illude di dominarci, cercando su Google (immagini) le parole businessman jumping.
PP.SS. Gli anglofoni possono leggere qui una descrizione un po’ meno romantica della Silicon Valley, da parte di qualcuno che ci è nato. Le foto danno un’idea un po’ più realistica dello sfondo contro cui i businessmen fanno i loro saltelli.
Nota:
[1] Un secolo fa, il sociologo tedesco Werner Sombart dedicò all’aspetto ludico/psicopatico del capitalismo un intero e scorrevole libro, Der Bourgeois: zur Geistesgeschichte des modernen Wirtschaftsmenschen, che si trova liberamente in rete in tedesco e in francese. Di eccezionale interesse, il terzo capitolo del primo libro, sulla mania dei tulipani in Olanda nel Seicento.
Per i non anglofoni, ecco il businessman jumping come lo intende la ricerca di Google:
La funzione della ricchezza nella Silicon Valley
I lettori di questo blog sanno che ho pesanti critiche da muovere alla cultura dominante -o alla mancanza di una cultura in ogni senso- tipica della mia città di origine, che è San Josè in California, l'autoproclamata "capitale della Silicon Valley". Come molte persone nutro sentimenti di amore e di odio, di attrazione e repulsione al tempo stesso, verso la mia città. Il fatto di essere andato a vivere in altre zone del paese ha ampliato le prospettive che avevo verso il luogo in cui sono nato, un posto che raggiunse per me il massimo dell'interesse quando avevo da un pezzo compiuto i vent'anni. So come San Josè era una volta: un mezzo paradiso pieno di specie diverse, lussureggiante, con un sacco di frutteti e di case costruite artigianalmente; qualche vestigia degli uni e delle altre si poteva ancora vedere quand'ero ragazzo. E so anche com'è San Josè adesso: un opprimente spianata priva di alberi fatta di case tutte uguali e di centri commerciali, ed una specie di Mecca per i consumatori compulsivi.
Secondo l'opinione corrente la Silicon Valley è un posto dove si guadagna più della media e dove anche vivere è molto costoso. Certo, i beni di prima necessità possono avere prezzi più alti che altrove, ma non sono i beni di prima necessità ad essere un problema. Il problema, invece, è l'ostentazione di beni di lusso: qualcosa che annebbia la mente e che disgusta i sensi. Nella Silicon Valley si buttano via soldi a bocca di barile per cose che non fanno altro che deprezzarsi nel tempo. Invece di acquistare abitazioni, oggetti d'arte o di viaggiare, la gente "investe" in automobili, in elettronica di consumo, in gite a Las Vegas (che non possono certo essere definite viaggi) ed in altre cose prive di senso. Anche nelle attuali condizioni dell'economia la Silicon Valley non è altro che un enorme accumulo di ricchezza. Una ricchezza visibile nei lussi ostentati e grossolani: abitazioni vastissime e grottesche, automobili costose, monture di cattivo gusto fatte di lustrini abbacinanti e comportamenti di vario genere ma sempre sprezzanti, antipatici, pieni di degnazione e socialmente inaccettabili.
Guardatevi un po' intorno. Tutti mandano una BMW, una Lexus o una Mercedes, oppure un qualche SUV impestato che beve come una spugna. La spesa si fa da Wole Foods, da Draeger's o da Andronico's. Tutti hanno televisori giganteschi con l'audio in surround. Le persone hanno un sacco di cose per divertirsi: roulotte enormi (autentiche case con le ruote con tutte le comodità di una casa vera e propria; la differenza è che ci vuole un sacco di benzina per farle muovere), moto d'acqua (quei rumorosi e idioti rimasugli degli anni Ottanta), motoscafi e moto da cross. Nonostante quello che raccontano quelli che ne possiedono o quelli a cui piacciono, tutti questi arnesi a motore non favoriscono affatto il contatto con la natura o le belle escursioni fuori di casa. Sono semplicemente degli osceni aggeggi fracassoni fatti apposta per testimoniare ad un tempo la ricchezza ed il dubbio vigore sessuale dei loro possessori.
Allo stesso tempo caratterizzano la Silicon Valley la scarsità di istituzioni a tutela delle belle arti, un sistema di verde pubblico a corto di soldi e confinato in terreni angusti, ed uno stile architettonico inguardabile.
Ecco a cosa ha portato, il cosiddetto trionfo dei nerd. La gente col pallino dell'informatica può anche essere brillante, creativa e interessante, ma ha un senso del dovere civico e del rispetto pressoché pari a zero ed è capace di coltivare gusti persino peggiori. Buttano via i soldi in sciocchezze assurde ed autoreferenziali e a farne le spese è la qualità della vita di chi sta accanto a loro. Se ne vivono sui fianchi delle colline e tagliano ogni rapporto con la vita vera. Le loro mogli sono fatte di plastica, i loro figli dei disadattati privi di anima.
Ora, siccome i soldi di questi qui finiscono sperperati in robaccia o a prender polvere in qualche banca, va a finire che non tornano mai nella valle che per prima li ha fatti guadagnare a chi li possiede. Le nostre scuole e le altre istituzioni ne soffrono: quanto a cultura siamo un bello zero spaccato. L'esperienza che ho fatto lavorando in orgnaizzazioni non profit che operano nella zona mi ha raccontato che la generosità della popolazione locale è una bestiolina spinosa ed elusiva; cercare di raccogliere soldi per qualche istituzione culturale nella Silicon Valley è una sfida che demoralizza.
Non sto parlando di carità pura e semplice. Sto parlando di qualcosa che ha ben maggiori proporzioni e che è ben più importante. Sto parlando dell'ottica che è necessario avere per fare un buon uso della ricchezza, e quest'ottica non è fatta di organizzazioni caritatevoli o di imprese che vogliono costruirsi una bella reputazione finanziando questa o quella buona causa. Sono gli individui che dispongono dei mezzi in grado di fare la differenza a doverla sviluppare e fare propria. Essi devono innanzitutto prendere consapevolezza della rilevanza delle loro proprietà e del potenziale che la loro ricchezza rappresenta. C'è il caso che si debbano anche prendere tutti questi geek, e costringerli a studiare tutte quelle materie universitarie che sono riusciti ad evitare prima di mettere le mani su quegli stipendi a sei cifre e su quelle stock option: sociologia, economia, arte, storia e geografia. Chissà che non comincino ad acquisire le competenze e le conoscenze davvero necessarie a costruire un grande sistema sociale.
Quello che sono andato descrivendo è in buona sostanza un problema che si accompagna alla ricchezza recente. Le persone che si sono ritrovate ricche dalla sera alla mattina non sanno cosa fare dei propri soldi e sono inclini a sprecarli. Per un po' si può anche essere indulgenti nei loro confronti, ma questo limite lo abbiamo superato da un pezzo. Tutti coloro che vivono nella Silicon Valley, quale che sia il loro livello di reddito, devono diventare consapevoli del potenziale che c'è nelle grandi risorse cui hanno accesso, e queste risorse devono essere dirette verso quel beneficio di superiore portata che è rappresentato dalla costruzione di una cultura solida e concreta. Una grande società non necessita di una sovrastruttura utopistica per controllare le divisioni di classe; ha invece bisogno che i ricchi che ne fanno parte comprendano il fatto che devono portare il peso di una responsabilità speciale. Questo non significa che essi debbano ridistribuire le proprie ricchezze, ma che hanno la responsabilità di farne uso per un maggior bene comune.
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