Quello delle scritte murali è un fenomeno antichissimo ed eterogeneo, dalle varietà e dalle evoluzioni troppo numerose per poter tentarne in questa sede una tassonomia o una differenziazione particolareggiata; basterà dire che una parte di esso è tema dello slogan che identifica muri puliti e popoli muti, tentando di stabilire una correlazione diretta tra scritte murali e presa di coscienza.
Non sempre è così, come molti muri "occidentali" e non solo stanno a dimostrare. In questioni di un certo genere i contenuti sono più importanti della forma e la maggior parte delle scritte reperibili in una città qualsiasi non va oltre i tags caratteristici del solito sconciamento da yankee, tracciati pressoché sempre da irritanti ed inutili epigoni di quella vita da ghetto amriki che l'industria cinematografica ha presentato per molti decenni in modo da occultarne con cura tutte le bassezze e tutte le brutture.
Questo significa che ad un muro non pulito può benissimo corrispondere un popolo dotato dell'autoconsapevolezza di uno scarafaggio. Il fatto che molte amministrazioni "occidentaliste" abbiano incentivato l'opera dei cosiddetti graffitari col patto più o meno tacito che nelle loro produzioni non comparisse traccia di rivendicazioni e di temi politici è un caso particolare di un fenomeno noto, che contempla il saccheggio abituale ed esplicito delle "culture popolari" ad opera del mercato, previo svuotamento dei contenuti sociali e politici che esse possono veicolare. Il risultato è quello di un inglobamento da parte del mercato degli aspetti formali ed estetici di questo tipo di comunicazione: il fatto rappresenta una prassi almeno dall'inizio degli anni Settanta del passato secolo.
La "normalizzazione" e la "occidentalizzazione" di questo veicolo per la manifestazione delle idee politiche e delle rivendicazioni sociali fa anche in modo che di solito una scritta sul muro non costituisca oggetto per il confezionamento di news ad uso di pubblico e sudditi: nel caso della "informazione" di orientamento "occidentalista" si verifica al massimo il caso in cui le produzioni afasiche ed ebefreniche da ghetto amriki su ricordate, quando la gendarmeria non sia riuscita ad accanirsi sui loro autori, vengano usate con insistenza per il linciaggio mediatico di un'amministrazione politicamente sgradita.
In altre parole, se qualcuno scarabocchia un muro è colpa degli avversari politici, insieme alle lettere all'antrace ed al terremoto ad Haiti.
Nulla di grave, gli "occidentalisti" ci hanno abituato a sporcizie anche morali di ben altra estensione, e non solo a spese della logica.
La scritta dell'immagine qui riportata è comparsa a Firenze, ed è stata utilizzata per la costruzione di una new perché non rientra in alcuno dei canoni qui schematizzati. Riporta un messaggio preciso, lo riporta scritto con cura e non è inquadrabile né tra le produzioni del politicame partitico né in quelle del cosiddetto viral marketing.
Il Black Bloc rappresenta la negazione di ogni valore presentato come positivo dagli "occidentalisti" ed il suo accanirsi in particolare contro banche e beni di lusso gli ha valso una demonizzazione gazzettiera di cui non sarebbe mai stato fatto vittima se si fosse limitato, per esempio, a massacrare persone in maniera efferata.
Questo non stupisce perché per un "occidentalista" una vetrina intera conta molto di più della vita di un essere umano. Al di là della demonizzazione, a chi scavi a fondo nella weltanschaauung di chi vi si riconosce appare chiaro che i rudimenti ideologici -mai compiutamente sviluppati- del Black Bloc sono caratterizzati da una radicale avversione al progresso e dall'identificazione della civiltà con qualche cosa di differente, se non di opposto, ad esso.
Black Bloc è il popolo, nel senso che al di là delle considerazioni numeriche non è l'Altro, il mostro assetato di sangue in agguato alla frontiera con cui gli "occidentalisti" legittimano la loro azione politica.
La seconda parte della scritta, in forma di slogan, esprime contrarietà ad un'opera "pubblica" la cui utilità deve considerarsi dubbia alla luce dell'esperienza; toglie astrazione alla prima parte della scritta e la lega ad un contesto concreto.
Il tutto è sintomatico di un movimento di rivendicazione politica paritario, nato dal basso e difficilmente sradicabile, sopravvissuto a dieci anni almeno di ininterrotto accanimento massmediatico prima e ancora che giudiziario, di cui il Black Bloc vero e proprio rappresenta soltanto un fenomeno estremamente minoritario per quanto venga abitualmente sfruttato per delegittimare interi corpi sociali.
Per la marmaglia delle gazzette il problema è un altro, da non troppo tempo a questa parte. Ed è rappresentato dal fatto che nessuno crede più alle loro menzogne, che il passaparola -nemmeno sempre amplificato dalle tecnologie- si sta rivelando più forte, e che l'utilizzo delle bassezze da postribolo che costituiscono l'ossatura della pratica politica "occidentalista" si sta rivelando sempre meno remunerativo, ed in assenza di "nemici esterni" perfino controproducente.
Nel 2003 l'intero impero editoriale di Rupert Murdoch sostenne monoliticamente l'aggressione all'Iraq, che si basava sull'arroganza amriki, sul disprezzo del diritto internazionale e sulle menzogne ripetute all'ossessione. Nel 2011 è bastato molto meno, ovvero che i gazzettinisti si avvalessero di quelle stesse tecnologie e di quelle stesse prassi che potevano utilizzare contro i soldati iracheni per indagare i rapporti tra pallonieri e donne dalla poca virtù -due categorie intoccabili, per un "occidentalista"- perché quel miliardario decidesse seduta stante di chiudere una sua gazzetta. I personaggi e gli interessi in gioco non permettono neppure di augurarsi, riferendosi ad un fatto del genere, un cambiamento di rotta e di atmosfera; meglio cercare di identificarlo nelle strade e nel sentire comune. Strade e sentire comune sono contesti che appartengono al reale.
E con il reale l'"occidentalismo" ha rapporti sempre più labili ogni giorno che passa.
Non sempre è così, come molti muri "occidentali" e non solo stanno a dimostrare. In questioni di un certo genere i contenuti sono più importanti della forma e la maggior parte delle scritte reperibili in una città qualsiasi non va oltre i tags caratteristici del solito sconciamento da yankee, tracciati pressoché sempre da irritanti ed inutili epigoni di quella vita da ghetto amriki che l'industria cinematografica ha presentato per molti decenni in modo da occultarne con cura tutte le bassezze e tutte le brutture.
Questo significa che ad un muro non pulito può benissimo corrispondere un popolo dotato dell'autoconsapevolezza di uno scarafaggio. Il fatto che molte amministrazioni "occidentaliste" abbiano incentivato l'opera dei cosiddetti graffitari col patto più o meno tacito che nelle loro produzioni non comparisse traccia di rivendicazioni e di temi politici è un caso particolare di un fenomeno noto, che contempla il saccheggio abituale ed esplicito delle "culture popolari" ad opera del mercato, previo svuotamento dei contenuti sociali e politici che esse possono veicolare. Il risultato è quello di un inglobamento da parte del mercato degli aspetti formali ed estetici di questo tipo di comunicazione: il fatto rappresenta una prassi almeno dall'inizio degli anni Settanta del passato secolo.
La "normalizzazione" e la "occidentalizzazione" di questo veicolo per la manifestazione delle idee politiche e delle rivendicazioni sociali fa anche in modo che di solito una scritta sul muro non costituisca oggetto per il confezionamento di news ad uso di pubblico e sudditi: nel caso della "informazione" di orientamento "occidentalista" si verifica al massimo il caso in cui le produzioni afasiche ed ebefreniche da ghetto amriki su ricordate, quando la gendarmeria non sia riuscita ad accanirsi sui loro autori, vengano usate con insistenza per il linciaggio mediatico di un'amministrazione politicamente sgradita.
In altre parole, se qualcuno scarabocchia un muro è colpa degli avversari politici, insieme alle lettere all'antrace ed al terremoto ad Haiti.
Nulla di grave, gli "occidentalisti" ci hanno abituato a sporcizie anche morali di ben altra estensione, e non solo a spese della logica.
La scritta dell'immagine qui riportata è comparsa a Firenze, ed è stata utilizzata per la costruzione di una new perché non rientra in alcuno dei canoni qui schematizzati. Riporta un messaggio preciso, lo riporta scritto con cura e non è inquadrabile né tra le produzioni del politicame partitico né in quelle del cosiddetto viral marketing.
Black Bloc è il popolo! No tav!
Una manciata di lettere che contiene nella prima parte una smentita di dieci anni di propaganda gazzettinista, nella seconda uno slogan preciso.Il Black Bloc rappresenta la negazione di ogni valore presentato come positivo dagli "occidentalisti" ed il suo accanirsi in particolare contro banche e beni di lusso gli ha valso una demonizzazione gazzettiera di cui non sarebbe mai stato fatto vittima se si fosse limitato, per esempio, a massacrare persone in maniera efferata.
Questo non stupisce perché per un "occidentalista" una vetrina intera conta molto di più della vita di un essere umano. Al di là della demonizzazione, a chi scavi a fondo nella weltanschaauung di chi vi si riconosce appare chiaro che i rudimenti ideologici -mai compiutamente sviluppati- del Black Bloc sono caratterizzati da una radicale avversione al progresso e dall'identificazione della civiltà con qualche cosa di differente, se non di opposto, ad esso.
Black Bloc è il popolo, nel senso che al di là delle considerazioni numeriche non è l'Altro, il mostro assetato di sangue in agguato alla frontiera con cui gli "occidentalisti" legittimano la loro azione politica.
La seconda parte della scritta, in forma di slogan, esprime contrarietà ad un'opera "pubblica" la cui utilità deve considerarsi dubbia alla luce dell'esperienza; toglie astrazione alla prima parte della scritta e la lega ad un contesto concreto.
Il tutto è sintomatico di un movimento di rivendicazione politica paritario, nato dal basso e difficilmente sradicabile, sopravvissuto a dieci anni almeno di ininterrotto accanimento massmediatico prima e ancora che giudiziario, di cui il Black Bloc vero e proprio rappresenta soltanto un fenomeno estremamente minoritario per quanto venga abitualmente sfruttato per delegittimare interi corpi sociali.
Per la marmaglia delle gazzette il problema è un altro, da non troppo tempo a questa parte. Ed è rappresentato dal fatto che nessuno crede più alle loro menzogne, che il passaparola -nemmeno sempre amplificato dalle tecnologie- si sta rivelando più forte, e che l'utilizzo delle bassezze da postribolo che costituiscono l'ossatura della pratica politica "occidentalista" si sta rivelando sempre meno remunerativo, ed in assenza di "nemici esterni" perfino controproducente.
Nel 2003 l'intero impero editoriale di Rupert Murdoch sostenne monoliticamente l'aggressione all'Iraq, che si basava sull'arroganza amriki, sul disprezzo del diritto internazionale e sulle menzogne ripetute all'ossessione. Nel 2011 è bastato molto meno, ovvero che i gazzettinisti si avvalessero di quelle stesse tecnologie e di quelle stesse prassi che potevano utilizzare contro i soldati iracheni per indagare i rapporti tra pallonieri e donne dalla poca virtù -due categorie intoccabili, per un "occidentalista"- perché quel miliardario decidesse seduta stante di chiudere una sua gazzetta. I personaggi e gli interessi in gioco non permettono neppure di augurarsi, riferendosi ad un fatto del genere, un cambiamento di rotta e di atmosfera; meglio cercare di identificarlo nelle strade e nel sentire comune. Strade e sentire comune sono contesti che appartengono al reale.
E con il reale l'"occidentalismo" ha rapporti sempre più labili ogni giorno che passa.