Tra la fine del 2010 e l'inizio del 2011 imperversa sui mass media "occidentali" una campagna denigratoria martellante contro la Repubblica Islamica dell'Iran, e fin qui niente di nuovo: è fondamentale per gli interessi dei poteri di ogni sorta che nulla e nessuno metta in discussione l'immagine della Repubblica Islamica dell'Iran come landa polverosa ed arretrata in cui torme di barbuti malvestiti fanno a gara ad impiccarsi a vicenda o a lapidare la gente perbene. Se poi nel fare questo si calpestano logica, buon senso e soprattutto rigore documentale, poco importa: la storia recentissima è piena di guerre d'aggressione condotte con pretesti ancora più precari.
La maggior parte degli esponenti e dei simpatizzanti di quella che Sherif el Sebaie ha definito sinistra alle sardine, non potendo per vari motivi definirla sinistra al caviale, ha abboccato all'amo con tutta la prontezza desiderata dagli ideatori dell'operazione. In questa sede si è preferito restare a guardare fino a che punto arrivava la farsa, per poi esprimere un po' di considerazioni.
La maggior parte degli esponenti e dei simpatizzanti di quella che Sherif el Sebaie ha definito sinistra alle sardine, non potendo per vari motivi definirla sinistra al caviale, ha abboccato all'amo con tutta la prontezza desiderata dagli ideatori dell'operazione. In questa sede si è preferito restare a guardare fino a che punto arrivava la farsa, per poi esprimere un po' di considerazioni.
- ...Pietre, signori?
- Nàh, ce ne sono già tante per terra!
- Mica come queste, guardi qua, senta che qualità! Tutte rifinite a mano!
- ...Mi hai convinto, dammene due a punta e una grossa piatta!
- La voglio anch'io, mamma....
- Eh?!
- Ah, sì... papà!
- Sì... va bene; due a punta, due piatte e un cartoccio di ghiaia per il mio bambino!
- ...Un sacchetto di ghiaia! Grande lapidazione, oggi!
- Ah, chi è?
- Una del posto, buon divertimento!
(Monty Python, Life of Brian, 1979)
Incipit e titolo del post sono scopertamente carogneschi. La consapevolezza che generalmente si riscontra nel pubblico per casi come quello in oggetto autorizza davvero a pensare che la cognizione di causa che in "Occidente" si ha di certe questioni non differisca poi molto dalla scena cinematografica di cui qui si trascrivono i dialoghi. E che il mainstream faccia il possibile e l'impossibile, il lecito e l'illecito, il giusto e l'ingiusto perché le cose rimangano come sono.
Il miscuglio di cialtroneria e malafede con cui il mainstream, e purtroppo non soltanto esso, affronta qualunque notizia abbia a che fare non tanto con il Medio Oriente, quanto con le realtà politiche e statali che in esso sussistono e che l'"occidentalismo" statuisce essergli invise è abituale, consueto, normale, impermeabile alle critiche e alla logica.
Il trattamento mediatico che la Repubblica Islamica dell'Iran subisce in questi termini è noto, e presenta refrain quotidiani che non deviano mai da linee guida qui spesso delineate. Colpevole di esistere, la Repubblica Islamica deve essere dipinta come una pietraia riarsa in cui frotte di uomini barbuti e malvestiti fanno a gara ad impiccarsi l'un l'altro, lasciando lo spettatore a vagheggiare di festini dorati del tempo che fu, prima dell'arrivo dei Cattivi e dei Lapidatori, in cui il caviale del Caspio veniva distribuito a mestolate da catini d'argento. Se per puro caso arriva ad emergere qualche dato che contraddice un panorama come questo, compito dell'informazione "occidentale" di cui si postula la "libertà" è quello di ricondurre il tutto nei binari consueti, in un modo o nell'altro.
Dopo la "rivoluzione verde" del 2009, sulla quale l'occidentalame aveva puntato molto, iconificando una vittima degli scontri di piazza con velocità e metodo mai utilizzati per le vittime della repressione sionista (nel "paese" dove mangiano spaghetti sono molto avanti e i Roberto Sgalla statuiscono nell'assenso generale che il sangue sui muri della scuola Diaz è salsa di pomodoro) era essenziale trovare qualcosa che ottundesse una realtà scomoda.
Una realtà che facesse pericoloso capolino nel mainstream avrebbe infatti mostrato una Repubblica Islamica dell'Iran molto meno isolata di quanto non si postuli in certe sedi internazionali, con una vita diplomatica oltremodo vivace ed un'industria in espansione in una quantità di campi, in cui quello bellico dominato dal reverse engineering e dai miracoli che servono a tenere in piedi attrezzature e flotte aeree decrepite -altro che bombe nucleari- è soltanto uno dei settori e non certo il più rappresentativo.
In altre parole, un'adesione anche minima dei contenuti mediatici al principio di realtà avrebbe mostrato la Repubblica Islamica dell'Iran come se fosse un paese sovrano come tutti, con i limiti, le storture, i pregi ed i difetti di qualunque altra organizzazione statale e di qualunque altra forma di stato. Un paese in cui i tempi dei Mossadeq sconsolati che dovevano allargare le braccia davanti alla majlis ed ammettere che senza l'intervento straniero gli iraniani avrebbero avuto i loro problemi perfino a mandare avanti un cementificio paiono davvero finiti.
Un'idea insopportabile, inconcepibile, che contraddice trent'anni consecutivi in cui il fine ultimo della "libera informazione" è stato dimostrare in modo inoppugnabile che le esecuzioni capitali sono un'esclusiva di Mashad, che in carcere si muore soltanto ad Evin, che la condizione femminile è insopportabile e disperata solo nei vicoli di Yazd.
Nel corso del 2010 il gazzettaio ha cominciato a seguire la vicenda processuale di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la cui lapidazione è stata statuita imminente da comunicati stampa e flash di agenzia almeno due o tre volte. Personalità eminenti della politica iraniana, diplomatici, artisti e figure di qualunque genere purché minimamente note a livello internazionale sono state interpellate a freddo sull'argomento, spesso dando l'impressione di non essere neppure a conoscenza di una questione che a distanza di qualche mese appare per intero esser stata frutto di una intromissione "occidentale" condotta in modo pressappochista, ondivago e fumoso al solo fine di continuare a mettere la Repubblica Islamica dell'Iran nella peggior luce possibile. Qualcosa oltre i limiti del controproducente per gli stessi individui coinvolti.
L'ovvio effetto di tanta curiosità è stato quello di contrariare un apparato repressivo più che mai sensibile alle dicerie, ai rumours e ai complottismi in un paese in cui eventi della storia contemporanea come l'Operazione Ajax vengono a tutt'oggi giustamente presentati all'opinione pubblica come esempi della costante propensione "occidentale" all'intromissione colonialista.
Il mainstream ha presentato la questione senza concedere alcunché alle argomentazioni della controparte, in questo caso uno stato sovrano riconosciuto come tale da centinaia di altri: non lo ha fatto neppure quando ha vomitato per mesi fandonie sull'arsenale chimico di Saddam Hussein e non si vede perché avrebbe dovuto farlo adesso, quando in mezzo c'era soltanto un cittadino qualsiasi accusato di adulterio e di complicità in omicidio, rappresentato in tutto e per tutto da una foto di vent'anni prima.
Carne da cannone, mediaticamente parlando.
Non è qui il caso di dilungarsi sui rapporti, non lineari, non immediati e non semplici, che esistono tra mainstream, nuovi media, opinione pubblica e tutti i livelli della vita e delle organizzazioni politiche. Il bias negativo che da sempre circonda la Repubblica Islamica colpevole di esistere ha fatto sì che la vicenda servisse a manifestazioni granguignolesche messe in scena in qualche piazza d'"Occidente" e che svariate amministrazioni locali prendessero aperta posizione senza curarsi di verificare alcunché di quanto statuito dal mainstream e comportandosi come se davvero potessero influire sugli eventi. Non che potessero fare altro: sono dieci anni almeno che contraddire un gazzettiere ammanicato significa passare all'istante dalla parte dei sodomizzatori di bambine.
La credibilità percepita (che non ha nulla a che vedere con l'obiettività) del mainstream si è in questo caso ripercossa rapidamente sulle reti telematiche, in cui nulla vieta di amplificare al massimo qualsiasi contenuto privo di verifiche. Negli ultimi anni centinaia di milioni di individui si sono autoschedati ed autofotosegnalati sul Libro dei Ceffi, mettendo in piedi con entusiasmo -e con bella coerenza- un'abietta autoschedatura di massa da far impallidire la più occhiuta delle polizie politiche. Ed il Libro dei Ceffi dà anche misura di quali interessi e di quali competenze amino dare pubblica testimonianza i soggetti che si autoschedano. Nulla consente di affermare con certezza che ogni autoschedatura ed ogni ceffo fotografato corrispondano ad un individuo reale: soltanto un raffronto con dati di altra provenienza può consentire un margine decente di approssimazione.
Ecco qui la screenshot di uno di quelli che hanno pensato bene di fare qualcosa di concreto (un clic) per Sakineh Mohammadi Ashtiani, scelta attenendosi ai criteri minimi su descritti. A dare prova di tanto costruttivo atteggiamento, al momento in cui scriviamo sono oltre 180000 soltanto tra quanti comprendono la lingua più diffusa nella penisola italiana.
Centoottantamila clic.
Chissà come si inteneriscono i giudici di Tabriz.
Il miscuglio di cialtroneria e malafede con cui il mainstream, e purtroppo non soltanto esso, affronta qualunque notizia abbia a che fare non tanto con il Medio Oriente, quanto con le realtà politiche e statali che in esso sussistono e che l'"occidentalismo" statuisce essergli invise è abituale, consueto, normale, impermeabile alle critiche e alla logica.
Il trattamento mediatico che la Repubblica Islamica dell'Iran subisce in questi termini è noto, e presenta refrain quotidiani che non deviano mai da linee guida qui spesso delineate. Colpevole di esistere, la Repubblica Islamica deve essere dipinta come una pietraia riarsa in cui frotte di uomini barbuti e malvestiti fanno a gara ad impiccarsi l'un l'altro, lasciando lo spettatore a vagheggiare di festini dorati del tempo che fu, prima dell'arrivo dei Cattivi e dei Lapidatori, in cui il caviale del Caspio veniva distribuito a mestolate da catini d'argento. Se per puro caso arriva ad emergere qualche dato che contraddice un panorama come questo, compito dell'informazione "occidentale" di cui si postula la "libertà" è quello di ricondurre il tutto nei binari consueti, in un modo o nell'altro.
Dopo la "rivoluzione verde" del 2009, sulla quale l'occidentalame aveva puntato molto, iconificando una vittima degli scontri di piazza con velocità e metodo mai utilizzati per le vittime della repressione sionista (nel "paese" dove mangiano spaghetti sono molto avanti e i Roberto Sgalla statuiscono nell'assenso generale che il sangue sui muri della scuola Diaz è salsa di pomodoro) era essenziale trovare qualcosa che ottundesse una realtà scomoda.
Una realtà che facesse pericoloso capolino nel mainstream avrebbe infatti mostrato una Repubblica Islamica dell'Iran molto meno isolata di quanto non si postuli in certe sedi internazionali, con una vita diplomatica oltremodo vivace ed un'industria in espansione in una quantità di campi, in cui quello bellico dominato dal reverse engineering e dai miracoli che servono a tenere in piedi attrezzature e flotte aeree decrepite -altro che bombe nucleari- è soltanto uno dei settori e non certo il più rappresentativo.
In altre parole, un'adesione anche minima dei contenuti mediatici al principio di realtà avrebbe mostrato la Repubblica Islamica dell'Iran come se fosse un paese sovrano come tutti, con i limiti, le storture, i pregi ed i difetti di qualunque altra organizzazione statale e di qualunque altra forma di stato. Un paese in cui i tempi dei Mossadeq sconsolati che dovevano allargare le braccia davanti alla majlis ed ammettere che senza l'intervento straniero gli iraniani avrebbero avuto i loro problemi perfino a mandare avanti un cementificio paiono davvero finiti.
Un'idea insopportabile, inconcepibile, che contraddice trent'anni consecutivi in cui il fine ultimo della "libera informazione" è stato dimostrare in modo inoppugnabile che le esecuzioni capitali sono un'esclusiva di Mashad, che in carcere si muore soltanto ad Evin, che la condizione femminile è insopportabile e disperata solo nei vicoli di Yazd.
Nel corso del 2010 il gazzettaio ha cominciato a seguire la vicenda processuale di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la cui lapidazione è stata statuita imminente da comunicati stampa e flash di agenzia almeno due o tre volte. Personalità eminenti della politica iraniana, diplomatici, artisti e figure di qualunque genere purché minimamente note a livello internazionale sono state interpellate a freddo sull'argomento, spesso dando l'impressione di non essere neppure a conoscenza di una questione che a distanza di qualche mese appare per intero esser stata frutto di una intromissione "occidentale" condotta in modo pressappochista, ondivago e fumoso al solo fine di continuare a mettere la Repubblica Islamica dell'Iran nella peggior luce possibile. Qualcosa oltre i limiti del controproducente per gli stessi individui coinvolti.
L'ovvio effetto di tanta curiosità è stato quello di contrariare un apparato repressivo più che mai sensibile alle dicerie, ai rumours e ai complottismi in un paese in cui eventi della storia contemporanea come l'Operazione Ajax vengono a tutt'oggi giustamente presentati all'opinione pubblica come esempi della costante propensione "occidentale" all'intromissione colonialista.
Il mainstream ha presentato la questione senza concedere alcunché alle argomentazioni della controparte, in questo caso uno stato sovrano riconosciuto come tale da centinaia di altri: non lo ha fatto neppure quando ha vomitato per mesi fandonie sull'arsenale chimico di Saddam Hussein e non si vede perché avrebbe dovuto farlo adesso, quando in mezzo c'era soltanto un cittadino qualsiasi accusato di adulterio e di complicità in omicidio, rappresentato in tutto e per tutto da una foto di vent'anni prima.
Carne da cannone, mediaticamente parlando.
Non è qui il caso di dilungarsi sui rapporti, non lineari, non immediati e non semplici, che esistono tra mainstream, nuovi media, opinione pubblica e tutti i livelli della vita e delle organizzazioni politiche. Il bias negativo che da sempre circonda la Repubblica Islamica colpevole di esistere ha fatto sì che la vicenda servisse a manifestazioni granguignolesche messe in scena in qualche piazza d'"Occidente" e che svariate amministrazioni locali prendessero aperta posizione senza curarsi di verificare alcunché di quanto statuito dal mainstream e comportandosi come se davvero potessero influire sugli eventi. Non che potessero fare altro: sono dieci anni almeno che contraddire un gazzettiere ammanicato significa passare all'istante dalla parte dei sodomizzatori di bambine.
La credibilità percepita (che non ha nulla a che vedere con l'obiettività) del mainstream si è in questo caso ripercossa rapidamente sulle reti telematiche, in cui nulla vieta di amplificare al massimo qualsiasi contenuto privo di verifiche. Negli ultimi anni centinaia di milioni di individui si sono autoschedati ed autofotosegnalati sul Libro dei Ceffi, mettendo in piedi con entusiasmo -e con bella coerenza- un'abietta autoschedatura di massa da far impallidire la più occhiuta delle polizie politiche. Ed il Libro dei Ceffi dà anche misura di quali interessi e di quali competenze amino dare pubblica testimonianza i soggetti che si autoschedano. Nulla consente di affermare con certezza che ogni autoschedatura ed ogni ceffo fotografato corrispondano ad un individuo reale: soltanto un raffronto con dati di altra provenienza può consentire un margine decente di approssimazione.
Ecco qui la screenshot di uno di quelli che hanno pensato bene di fare qualcosa di concreto (un clic) per Sakineh Mohammadi Ashtiani, scelta attenendosi ai criteri minimi su descritti. A dare prova di tanto costruttivo atteggiamento, al momento in cui scriviamo sono oltre 180000 soltanto tra quanti comprendono la lingua più diffusa nella penisola italiana.
Centoottantamila clic.
Chissà come si inteneriscono i giudici di Tabriz.
Gran cosa davvero questo Libro dei Ceffi.
Poi, purtroppo per tanti appassionati di nobili cause, c'è il piano del reale.
E il piano del reale, cui sarebbe bene fare per lo meno finta di mantenere qualche contatto in più, mostra dati ancor meno piacevoli per tanti appassionati delle buone cause e per gli "occidentalisti" in particolare.
Mostra dati ancor meno piacevoli perché la polarizzazione delle posizioni, dei gruppi sociali e dei valori che ha fatto seguito alle operazioni di "esportazione di democrazia" incessantemente susseguitesi negli ultimi anni ha fatto sì che la pratica della lapidazione riprendesse vigore proprio in Afghanistan ed in Iraq. I casi cui facciamo riferimento sono del 2010 e del 2007: nel frattempo nulla e nessuno è intervenuto a smentirne la realtà.
L'Afghanistan e l'Iraq sono due paesi aggrediti ed occupati da dieci anni perché bisognava esportare la "democrazia" da qualche cliente dubbioso.
In entrambi i casi nessuno ha pensato di scomodare i tribunali.
E per nessuno dei due casi in "Occidente" si è provveduto a scomodare i clic di chi mangia patatine fritte e coni di gelato spaparanzato sul sedile di qualche automobile da yankee di complemento.
Nello stesso periodo, la majlis stava facendo in modo che le disposizioni in materia vigenti nella Repubblica Islamica dell'Iran rimanessero lettera morta. Pare che la questione in Iran non abbia avuto ripercussioni mediatiche di eccessiva rilevanza, il che fa pensare che la cosa non interessi più di tanto l'opinione pubblica, oppure che la consuetudine e la giurisprudenza rendano da sole l'esecuzione di certe sentenze tanto improbabile da non giustificare prese di posizione di tipo drastico. L'opinione pubblica iraniana in ogni caso non è certo costituita da campioni di sopportazione ed è capace di approvare propositi forcaioli esattamente come quella "occidentale", nella quale, anzi, tale propensione viene ogni giorno incentivata con ogni mezzo e con ogni pretesto senza che nessuno trovi nulla da obiettare.
Resta il fatto che la notizia fu resa pubblica sul mainstream iraniano un anno prima della campagna mediatica sul caso Ashtiani.
Qualche "occidentalista" preposto alle Buone Cause si sarà dimenticato di andare a controllare.
Salviamo il Difensore Civico metropolitano, La punta di cioccolato del Cornetto Algida, Fairyland, NO ALLA LAPIDAZIONE DI Sakineh Mohammadi Ashtiani, Fairy Beauty, Il ruggito del coniglio, Patatine Fritte, Quattroruote, Lancia, Fiat Freemont, obblighiamo youtube a denunciare chi filma atti di violenza su animaliAutomobili inutili e costose, cibo spazzatura, preoccupazioni di bottega, roba amriki vista in televisione. Tutto a fare da contorno a tanta professione dei più alti ideali di dignità umana e di libertà.
Poi, purtroppo per tanti appassionati di nobili cause, c'è il piano del reale.
E il piano del reale, cui sarebbe bene fare per lo meno finta di mantenere qualche contatto in più, mostra dati ancor meno piacevoli per tanti appassionati delle buone cause e per gli "occidentalisti" in particolare.
Mostra dati ancor meno piacevoli perché la polarizzazione delle posizioni, dei gruppi sociali e dei valori che ha fatto seguito alle operazioni di "esportazione di democrazia" incessantemente susseguitesi negli ultimi anni ha fatto sì che la pratica della lapidazione riprendesse vigore proprio in Afghanistan ed in Iraq. I casi cui facciamo riferimento sono del 2010 e del 2007: nel frattempo nulla e nessuno è intervenuto a smentirne la realtà.
L'Afghanistan e l'Iraq sono due paesi aggrediti ed occupati da dieci anni perché bisognava esportare la "democrazia" da qualche cliente dubbioso.
In entrambi i casi nessuno ha pensato di scomodare i tribunali.
E per nessuno dei due casi in "Occidente" si è provveduto a scomodare i clic di chi mangia patatine fritte e coni di gelato spaparanzato sul sedile di qualche automobile da yankee di complemento.
Nello stesso periodo, la majlis stava facendo in modo che le disposizioni in materia vigenti nella Repubblica Islamica dell'Iran rimanessero lettera morta. Pare che la questione in Iran non abbia avuto ripercussioni mediatiche di eccessiva rilevanza, il che fa pensare che la cosa non interessi più di tanto l'opinione pubblica, oppure che la consuetudine e la giurisprudenza rendano da sole l'esecuzione di certe sentenze tanto improbabile da non giustificare prese di posizione di tipo drastico. L'opinione pubblica iraniana in ogni caso non è certo costituita da campioni di sopportazione ed è capace di approvare propositi forcaioli esattamente come quella "occidentale", nella quale, anzi, tale propensione viene ogni giorno incentivata con ogni mezzo e con ogni pretesto senza che nessuno trovi nulla da obiettare.
Resta il fatto che la notizia fu resa pubblica sul mainstream iraniano un anno prima della campagna mediatica sul caso Ashtiani.
Qualche "occidentalista" preposto alle Buone Cause si sarà dimenticato di andare a controllare.