L'anno è il 2010; da otto anni sono in corso i lavori per l'ampliamento delle carreggiate autostradali attorno alla città di Firenze, e dei lavori non si vede la fine. L'idea presentata nello scritto è meno peregrina di quanto si pensi, se si considerano le ottime competenze di cui sono spesso dotati gli appartenenti ad un esercito contemporaneo.
All'inizio del 2010 la propaganda "occidentalista" mostra con inaspettata onestà l'essenza dei risultati conseguiti dal governo che la controlla. La trasformazione della penisola italiana in un immenso carcere a cielo aperto governato con le menzogne e con la forza militare sta per essere portata a piena realizzazione da una gang autoreferenziale di individui che agisce esclusivamente per il conseguimento di livelli di ingiustizia sociale i più alti possibile. Una razza che Enzo Tortora ebbe a definire, in anni già sospettissimi e conoscendola bene avendo ampiamente mangiato dallo stesso piatto, come un branco di boy scout intenti a litigare tra di loro mentre si disputano i comandi di un jet supersonico.
Negli ultimi giorni di gennaio, mentre nella vicina città di Prato si susseguivano rastrellamenti stile Schutzstaffeln applauditi da sudditi ai balconi, il Corriere Fiorentino pubblica un articolo sulle condizioni della viabilità fiorentina sulla cui veridicità siamo in grado di testimoniare in prima persona. L'autostrada A1 circonda Firenze per due terzi e viene sostanzialmente -e giustamente- usata come tangenziale. I lavori per la terza corsia sono in corso da otto anni e comportano un paio di strozzature puntualmente responsabili di rallentamenti anche in assenza di altri problemi; basta un tamponamento per formare all'istante file lunghe chilometri.
La nostra esperienza di viaggiatori ci ha fatto conoscere imprese più felici in paesi in cui questo tipo di infrastrutture rappresenta un servizio vitale e non una fonte di reddito per gli azionisti. In Kirghizistan Osh e Bishkek sono unite da una larga strada che unisce il nord ed il sud del paese e che attraversa le montagne attorno al vallone di Fergana. Le opere, tra le quali una galleria lunga chilometri, sono curate da un curioso insieme di imprese che unisce statunitensi, cinesi ed iraniani.
La highway M41 costeggia il fiume che divide il Tagikistan dall'Afghanistan: la parte meno aspra del percorso, che attraversa il territorio compreso tra Dušanbe e Khorog prima di girare tutt'attorno ai picchi del Pamir, è stata allargata e pavimentata con furia rabbiosa e con estrema cura al tempo stesso, ed aperta al traffico con i lavori ancora in corso; per quanto abbiamo avuto modo di vedere il progredire dei lavori era più che rapido e si avvaleva di una mano d'opera dotata di tutti i mezzi necessari e sicuramente all'altezza del compito sia come preparazione che, soprattutto, come numero. Uno spettacolo opposto a quello dei cantieri peninsulari, intermittenti, presidiati a stento, dalla durata indefinita e indefinibile.
La propaganda "occidentalista" tiene in gran conto l'esercito: non c'è vigilia elettorale in cui la militarizzazione delle strade non venga presentata come una panacea. Noi siamo, ovviamente, di parere diametralmente opposto, ma questo non cancella una realtà di fatto che rappresenta soprattutto un costo di assoluta rilevanza per i sudditi e per tutti i lavoratori. Un qualcosa per cui tanto vale ipotizzare qualche impiego costruttivo in un esercizio sì retorico, ma che consente di contrapporre un ipotesi di utilizzo razionale delle forze disponibili a fronte di un loro abituale utilizzo "occidentalista" strumentale agli interessi dei dominatori, smentito soltanto -e neppure sempre- dall'utilizzo delle forze armate nelle circostanze eccezionali che si verificano in occasione di qualche calamità naturale.
Invece di mandarli a rastrellare disperati per il tornaconto elettorale di qualche sindaco, a cercare qualche pazzesca gloria tra le pietraie di Herat o a pavoneggiarsi per il centro di qualche città con ordinanze nuove e fucili d'assalto, lo stato che occupa la penisola italiana potrebbe utilizzare le centinaia di migliaia di armati di cui dispone per togliere dalle manine dell'imprenditoria privata alcuni settori strategici. Potrebbe cominciare proprio cacciando i privati dai cantieri autostradali e sostituendoli con reparti di genieri, e proseguire facendo a meno delle compagnie private per la sorveglianza aeroportuale; in Uzbekistan, in Kirghizistan, nello Yemen ed in altre realtà statali meno propense a prendere in giro i sudditi la cosa rientra appieno tra i compiti delle forze armate, e nessuno vi trova nulla di strano. Ovvio che nello stato che occupa la penisola italiana, in cui non vi è nulla che non sia a servizio della sedicente élite, il solo ventilare qualcosa di simile provocherebbe levate di scudi furibonde.
Negli ultimi giorni di gennaio, mentre nella vicina città di Prato si susseguivano rastrellamenti stile Schutzstaffeln applauditi da sudditi ai balconi, il Corriere Fiorentino pubblica un articolo sulle condizioni della viabilità fiorentina sulla cui veridicità siamo in grado di testimoniare in prima persona. L'autostrada A1 circonda Firenze per due terzi e viene sostanzialmente -e giustamente- usata come tangenziale. I lavori per la terza corsia sono in corso da otto anni e comportano un paio di strozzature puntualmente responsabili di rallentamenti anche in assenza di altri problemi; basta un tamponamento per formare all'istante file lunghe chilometri.
La nostra esperienza di viaggiatori ci ha fatto conoscere imprese più felici in paesi in cui questo tipo di infrastrutture rappresenta un servizio vitale e non una fonte di reddito per gli azionisti. In Kirghizistan Osh e Bishkek sono unite da una larga strada che unisce il nord ed il sud del paese e che attraversa le montagne attorno al vallone di Fergana. Le opere, tra le quali una galleria lunga chilometri, sono curate da un curioso insieme di imprese che unisce statunitensi, cinesi ed iraniani.
La highway M41 costeggia il fiume che divide il Tagikistan dall'Afghanistan: la parte meno aspra del percorso, che attraversa il territorio compreso tra Dušanbe e Khorog prima di girare tutt'attorno ai picchi del Pamir, è stata allargata e pavimentata con furia rabbiosa e con estrema cura al tempo stesso, ed aperta al traffico con i lavori ancora in corso; per quanto abbiamo avuto modo di vedere il progredire dei lavori era più che rapido e si avvaleva di una mano d'opera dotata di tutti i mezzi necessari e sicuramente all'altezza del compito sia come preparazione che, soprattutto, come numero. Uno spettacolo opposto a quello dei cantieri peninsulari, intermittenti, presidiati a stento, dalla durata indefinita e indefinibile.
La propaganda "occidentalista" tiene in gran conto l'esercito: non c'è vigilia elettorale in cui la militarizzazione delle strade non venga presentata come una panacea. Noi siamo, ovviamente, di parere diametralmente opposto, ma questo non cancella una realtà di fatto che rappresenta soprattutto un costo di assoluta rilevanza per i sudditi e per tutti i lavoratori. Un qualcosa per cui tanto vale ipotizzare qualche impiego costruttivo in un esercizio sì retorico, ma che consente di contrapporre un ipotesi di utilizzo razionale delle forze disponibili a fronte di un loro abituale utilizzo "occidentalista" strumentale agli interessi dei dominatori, smentito soltanto -e neppure sempre- dall'utilizzo delle forze armate nelle circostanze eccezionali che si verificano in occasione di qualche calamità naturale.
Invece di mandarli a rastrellare disperati per il tornaconto elettorale di qualche sindaco, a cercare qualche pazzesca gloria tra le pietraie di Herat o a pavoneggiarsi per il centro di qualche città con ordinanze nuove e fucili d'assalto, lo stato che occupa la penisola italiana potrebbe utilizzare le centinaia di migliaia di armati di cui dispone per togliere dalle manine dell'imprenditoria privata alcuni settori strategici. Potrebbe cominciare proprio cacciando i privati dai cantieri autostradali e sostituendoli con reparti di genieri, e proseguire facendo a meno delle compagnie private per la sorveglianza aeroportuale; in Uzbekistan, in Kirghizistan, nello Yemen ed in altre realtà statali meno propense a prendere in giro i sudditi la cosa rientra appieno tra i compiti delle forze armate, e nessuno vi trova nulla di strano. Ovvio che nello stato che occupa la penisola italiana, in cui non vi è nulla che non sia a servizio della sedicente élite, il solo ventilare qualcosa di simile provocherebbe levate di scudi furibonde.