Maggio 2009. Enrico Bosi è un attempato signore in forza al piddì con la elle, in procinto di ricandidarsi per un'altra tornata amministrativa. Quale migliore occasione per ricordarne i presunti meriti e le discutibilissime iniziative?
Questa storia è un po' vecchia, ma non è certo male approfondirla perché aiuta a rimettere al loro posto tanti palloni gonfiati da campagna elettorale.
Enrico Bosi, consigliere comunale fiorentino del piddì con la elle ricandidato anche per il prossimo giro, è già noto ai nostri ventitré lettori per aver tenuto alta la bandiera dell'autoreferenzialità lunare con cui personaggi mediatici e politici di vario genere si assistono a vicenda nei reciproci interessi, per aver accusato di lascivia l'amministrazione comunale o per la profonda conoscenza delle tematiche legate all'antirazzismo.
Nel 2007 un gruppo di mustad'afin fiorentini ha occupato e rimesso all'onore del mondo una vecchia casa umbertina in riva al torrente Ema, nel sobborgo del Galluzzo.
Tra le mirabili proprietà di ogni occupazione c'è quella di attivare all'istante l'"occidentalista" di quartiere. Enrico Bosi ha chiuso il librone con l'opera omnia di Oriana Fallaci sul quale stava sonnecchiando beato, e si è attivato per chiedere lo sgombero dello stabile. Va da sé che senza mustad'afin, nessuno si sarebbe occupato della palazzina di qui alla fine dei secoli: ma così non è stato, e dal momento che gli occupanti della neonata Riottosa (questo il nome dello squat) non hanno mai dato fastidio a nessuno, Enrico è stato letteralmente costretto a fare un'arrampicata sugli specchi che ha qualcosa di prodigioso.
L'interrogazione da lui presentata il 31 ottobre del 2007 merita una lettura approfondita, perché è il solito lavoretto di malafede, neanche dei più sfacciati. In particolare, Enrico Bosi lamenta che "l’immobile, con ogni probabilità, già vincolato dalla Sovrintendenza, si trova in un’area demaniale prossima alla Certosa ed al ponte Bailey e che ne è stata decisa la destinazione come sede della biblioteca della Certosa, in attesa da decenni di una nuova collocazione definitiva" per chiedere poi al sindaco, due righe più sotto, "Quale destinazione è stata attribuita all’immobile". Questo sì che è avere le idee chiare.
La Certosa di Firenze è un complesso immenso, nel quale vivono oggi 7 (sette) frati; deve proprio mancare il posto perché si debba pensare a trasferire una biblioteca in una sede distaccata come la palazzina dei telegrafi.
Una palazzina che si trova in una delle zone più umide del quartiere.
Tanto varrebbe scaricare i libri direttamente nel fiume.
Ecco perché proporremmo volentieri Enrico Bosiper l'affidamento ai servizi sociali per una laurea ad honorem in biblioteconomia.
Questa storia è un po' vecchia, ma non è certo male approfondirla perché aiuta a rimettere al loro posto tanti palloni gonfiati da campagna elettorale.
Enrico Bosi, consigliere comunale fiorentino del piddì con la elle ricandidato anche per il prossimo giro, è già noto ai nostri ventitré lettori per aver tenuto alta la bandiera dell'autoreferenzialità lunare con cui personaggi mediatici e politici di vario genere si assistono a vicenda nei reciproci interessi, per aver accusato di lascivia l'amministrazione comunale o per la profonda conoscenza delle tematiche legate all'antirazzismo.
Nel 2007 un gruppo di mustad'afin fiorentini ha occupato e rimesso all'onore del mondo una vecchia casa umbertina in riva al torrente Ema, nel sobborgo del Galluzzo.
Tra le mirabili proprietà di ogni occupazione c'è quella di attivare all'istante l'"occidentalista" di quartiere. Enrico Bosi ha chiuso il librone con l'opera omnia di Oriana Fallaci sul quale stava sonnecchiando beato, e si è attivato per chiedere lo sgombero dello stabile. Va da sé che senza mustad'afin, nessuno si sarebbe occupato della palazzina di qui alla fine dei secoli: ma così non è stato, e dal momento che gli occupanti della neonata Riottosa (questo il nome dello squat) non hanno mai dato fastidio a nessuno, Enrico è stato letteralmente costretto a fare un'arrampicata sugli specchi che ha qualcosa di prodigioso.
L'interrogazione da lui presentata il 31 ottobre del 2007 merita una lettura approfondita, perché è il solito lavoretto di malafede, neanche dei più sfacciati. In particolare, Enrico Bosi lamenta che "l’immobile, con ogni probabilità, già vincolato dalla Sovrintendenza, si trova in un’area demaniale prossima alla Certosa ed al ponte Bailey e che ne è stata decisa la destinazione come sede della biblioteca della Certosa, in attesa da decenni di una nuova collocazione definitiva" per chiedere poi al sindaco, due righe più sotto, "Quale destinazione è stata attribuita all’immobile". Questo sì che è avere le idee chiare.
La Certosa di Firenze è un complesso immenso, nel quale vivono oggi 7 (sette) frati; deve proprio mancare il posto perché si debba pensare a trasferire una biblioteca in una sede distaccata come la palazzina dei telegrafi.
Una palazzina che si trova in una delle zone più umide del quartiere.
Tanto varrebbe scaricare i libri direttamente nel fiume.
Ecco perché proporremmo volentieri Enrico Bosi