Luglio 2008. Il Consiglio Comunale di Firenze approva un'altra caterva di divieti da aggiungere ai già troppi che ci sono, proseguendo diritto sulla strada che punta a fare di Firenze un salotto per fannulloni redditieri anziché una città fatta per essere utilizzata, in cui trecento e rotte mila persone possano vivere da esseri umani e non solo dedicarsi a quel lavora, indébitati & dormi che nel libero "occidente" è l'unica condotta umana esente dall'essere guardata con aperto sospetto.
Ad un'operazione già discutibile di per sé, il cui unico risultato sarà con ogni probabilità l'aumentare di multe e multati, il "centrodestra" ha risposto con mugugni: troppa tolleranza coi poveri e pochi privilegi per i ricchi, a sentir loro. Ma il top lo raggiunge Jacopo Bianchi, occhiuto inventariatore di buche nell'asfalto e di borraccino nei fiumi in secca (tutta roba di cui incolpare la "sinistra") che deplora pubblicamente una lacuna fondamentale: un regolamento in cui si multa praticamente qualunque cosa che respiri, ha dimenticato di... proibire il burqa.
Ora, come sa chiunque non sia un cinghiale o un sostenitore del Partito della Libertà Per Cancellazione di Processo, il burqa è un capo di abbigliamento in uso solamente presso alcune tra le popolazioni che vivono in una ristretta area dell'Asia centrale da qualche anno al centro di una non richiesta intromissione "occidentale" vòlta ad esportarvi una teorica "democrazia" e più sostanziali e nefasti modelli di consumo le cui conseguenze abbiamo sotto gli occhi ogni giorno. Visto il biglietto da visita dei "democratizzatori", nulla di strano che questo capo d'abbigliamento, spesso di colore azzurro e che avvolge completamente il corpo femminile coprendo anche gli occhi con una rete fitta, sia rimasto più che mai nell'uso. Ma torniamo alla questione.
Jacopo Bianchi lamenta, nero su bianco: "Ferme restando le disposizioni di leggi vigenti, proponevo di introdurre il divieto di indossare indumenti e/o rendere invisibile il volto della persona con particolare riferimento al burqa, eccezion fatta per il periodo di carnevale". Attenzione: Jacopo ci sta spiegando fino a che punto arrivino le sue competenze in materia di hijab; l'abbigliamento modesto raccomandato alle credenti, per lui, si identifica esclusivamente con gli usi della popolazione afghana ed in ogni caso non può che nascondere delle malintenzionate decise a farsi saltare in aria nel Salone dei Dugento. Se proprio si vuol essere magnanimi, sempre secondo lui, lo hijab potrà essere rispettato limitatamente al periodo del carnevale... La stessa preparazione, la stessa cognizione di causa di chi considerasse la processione serale del Corpus Domini alla stregua di una gara podistica!
Alle risibili preoccupazioni di Jacopo circa la visita di intere comitive "in burqa" -che lui riduce a mero problema di documenti da prendere, mica si tratta di esseri umani!- non intendiamo riservare altro tempo, preferendo riportare un aneddoto piuttosto rivelatore.
Al contrario di Jacopo Bianchi, con buona pace dell'"ateismo cristiano" ostentato dalle pasionarie del suo "partito", noi non siamo affatto sconcertati dalla presenza quotidiana di donne rispettose dello hijab e non ci facciamo problemi ad indicarle come soggetti da imitare; va riferito qui un episodio cui ci è capitato di assistere personalmente a Firenze e che ha rafforzato questo nostro atteggiamento.
La periferia della città e ricca di supermercati-discount in cui ogni giorno si riversa una folla di non-redditieri che, per arrivare in fondo al mese, ha bisogno di far la spesa senza farsi sbranar viva dai prezzi di esercizi commerciali di maggior prestigio. Un giorno di marzo in uno di questi, in coda alla cassa, abbiamo visto due individui a loro modo esemplari.
Il primo era una donna dal forte accento toscano dal doppio mento e dall'epa prominente, con pantaloni da ginnastica e felpona informe, carrello pieno di salumi da poco prezzo e cioccolata di varia pezzatura insieme ad un bambino di circa un anno agitatissimo ai limiti del controllabile, redarguito di continuo con espressioni poco riferibili fino a quello scoppio di pianto che con ogni probabilità non è stato né il primo né l'ultimo della giornata.
Il secondo, una silenziosa figura di donna slanciata con pantaloni lunghi, spolverino e foulard nel pieno rispetto di quello hijab tanto temuto dal fatturato di parrucchiere ed estetiste, aveva un cestino da spesa privo delle mercanzie di cui sopra -ed il cui mancato consumo si rifletteva in un fisico assai più sano- ed un bambino di qualche mese più giovane, tenuto in un marsupio, che per tutto il tempo non soltanto non si è fatto sentire ma ha scrutato con occhio attentissimo e curioso tutto quello che gli succedeva attorno. Lucidità silente.
Abbiamo avuto l'impressione che certi postulati sulla "civiltà occidentale" e sulla sua "superiorità" vadano profondamente rivisti. Il rischio, come minimo, è quello di esportare merce avariata.
Ad un'operazione già discutibile di per sé, il cui unico risultato sarà con ogni probabilità l'aumentare di multe e multati, il "centrodestra" ha risposto con mugugni: troppa tolleranza coi poveri e pochi privilegi per i ricchi, a sentir loro. Ma il top lo raggiunge Jacopo Bianchi, occhiuto inventariatore di buche nell'asfalto e di borraccino nei fiumi in secca (tutta roba di cui incolpare la "sinistra") che deplora pubblicamente una lacuna fondamentale: un regolamento in cui si multa praticamente qualunque cosa che respiri, ha dimenticato di... proibire il burqa.
Ora, come sa chiunque non sia un cinghiale o un sostenitore del Partito della Libertà Per Cancellazione di Processo, il burqa è un capo di abbigliamento in uso solamente presso alcune tra le popolazioni che vivono in una ristretta area dell'Asia centrale da qualche anno al centro di una non richiesta intromissione "occidentale" vòlta ad esportarvi una teorica "democrazia" e più sostanziali e nefasti modelli di consumo le cui conseguenze abbiamo sotto gli occhi ogni giorno. Visto il biglietto da visita dei "democratizzatori", nulla di strano che questo capo d'abbigliamento, spesso di colore azzurro e che avvolge completamente il corpo femminile coprendo anche gli occhi con una rete fitta, sia rimasto più che mai nell'uso. Ma torniamo alla questione.
Jacopo Bianchi lamenta, nero su bianco: "Ferme restando le disposizioni di leggi vigenti, proponevo di introdurre il divieto di indossare indumenti e/o rendere invisibile il volto della persona con particolare riferimento al burqa, eccezion fatta per il periodo di carnevale". Attenzione: Jacopo ci sta spiegando fino a che punto arrivino le sue competenze in materia di hijab; l'abbigliamento modesto raccomandato alle credenti, per lui, si identifica esclusivamente con gli usi della popolazione afghana ed in ogni caso non può che nascondere delle malintenzionate decise a farsi saltare in aria nel Salone dei Dugento. Se proprio si vuol essere magnanimi, sempre secondo lui, lo hijab potrà essere rispettato limitatamente al periodo del carnevale... La stessa preparazione, la stessa cognizione di causa di chi considerasse la processione serale del Corpus Domini alla stregua di una gara podistica!
Alle risibili preoccupazioni di Jacopo circa la visita di intere comitive "in burqa" -che lui riduce a mero problema di documenti da prendere, mica si tratta di esseri umani!- non intendiamo riservare altro tempo, preferendo riportare un aneddoto piuttosto rivelatore.
Al contrario di Jacopo Bianchi, con buona pace dell'"ateismo cristiano" ostentato dalle pasionarie del suo "partito", noi non siamo affatto sconcertati dalla presenza quotidiana di donne rispettose dello hijab e non ci facciamo problemi ad indicarle come soggetti da imitare; va riferito qui un episodio cui ci è capitato di assistere personalmente a Firenze e che ha rafforzato questo nostro atteggiamento.
La periferia della città e ricca di supermercati-discount in cui ogni giorno si riversa una folla di non-redditieri che, per arrivare in fondo al mese, ha bisogno di far la spesa senza farsi sbranar viva dai prezzi di esercizi commerciali di maggior prestigio. Un giorno di marzo in uno di questi, in coda alla cassa, abbiamo visto due individui a loro modo esemplari.
Il primo era una donna dal forte accento toscano dal doppio mento e dall'epa prominente, con pantaloni da ginnastica e felpona informe, carrello pieno di salumi da poco prezzo e cioccolata di varia pezzatura insieme ad un bambino di circa un anno agitatissimo ai limiti del controllabile, redarguito di continuo con espressioni poco riferibili fino a quello scoppio di pianto che con ogni probabilità non è stato né il primo né l'ultimo della giornata.
Il secondo, una silenziosa figura di donna slanciata con pantaloni lunghi, spolverino e foulard nel pieno rispetto di quello hijab tanto temuto dal fatturato di parrucchiere ed estetiste, aveva un cestino da spesa privo delle mercanzie di cui sopra -ed il cui mancato consumo si rifletteva in un fisico assai più sano- ed un bambino di qualche mese più giovane, tenuto in un marsupio, che per tutto il tempo non soltanto non si è fatto sentire ma ha scrutato con occhio attentissimo e curioso tutto quello che gli succedeva attorno. Lucidità silente.
Abbiamo avuto l'impressione che certi postulati sulla "civiltà occidentale" e sulla sua "superiorità" vadano profondamente rivisti. Il rischio, come minimo, è quello di esportare merce avariata.