Traduzione da Strategic Culture, 1 luglio 2024.

A Washington la scorsa settimana avranno anche reagito con una breve scrollata di spalle, a leggere la dichiarazione di Sergei Lavrov all'ambasciatore statunitense a Mosca. La Russia stava dicendo agli Stati Uniti: "Non siamo più in pace"!
Non è solo questione di non essere più in pace. La Russia ha considerato gli Stati Uniti responsabili dell'attacco con una bomba a grappolo su una spiaggia della Crimea durante la festa di Pentecoste di domenica scorsa, attacco che ha causato diversi morti (tra cui bambini) e molti feriti. Gli Stati Uniti insomma sarebbero parte a tutti gli effetti della guerra per procura in Ucraina; l'ordigno era uno ATACM fornito dagli Stati Uniti, programmato da specialisti statunitensi e basato su dati della stessa provenienza. Nella dichiarazione russa si legge che "seguiranno certamente misure di ritorsione".
Insomma, da qualche parte una luce ambrata ha preso a lampeggiare con sfumature rosa e rosse. Il Pentagono ha capito che era successo qualcosa: "Non si può fare finta di niente; la situazione potrebbe degenerare". Il Segretario alla Difesa -era da marzo 2023 che non si faceva sentire- ha preso il telefono per chiamare la sua controparte russa: "Gli Stati Uniti si rammaricano per la morte di civili; gli ucraini avevano piena contezza degli obiettivi".
L'opinione pubblica russa, comunque, è ovviamente furibonda.
Il modo di dire della diplomazia per cui "adesso la situazione non è né di guerra né di pace" descrive la cosa solo a metà.
La Russia è persa, per l'Occidente. In modo molto più grave di quanto si creda.
Il Presidente Putin nella sua dichiarazione al Consiglio del Ministero degli Esteri all'indomani di un G7 tenutosi nel tintinnare di sciabole, ha spiegato come siamo arrivati a questo punto cruciale e di escalation inevitabile. Putin ha specificato che la gravità della situazione richiedeva di pensare a una sorta di ultima offerta per l'Occidente. Putin ha affermato perentorio che "non si tratta di un cessate il fuoco temporaneo per consentire a Kiev di preparare una nuova offensiva, né di un congelamento del conflitto, ma piuttosto di giungere a una conclusione definitiva delle ostilità".
È senz'altro chiaro che l'unico modo credibile per porre fine alla guerra in Ucraina sarebbe un accordo di "pace" frutto di negoziati tra Russia e Stati Uniti.
Questa convinzione tuttavia ha le sue radici nella nota visione che mette gli Stati Uniti al centro di ogni cosa: "Aspettiamo Washington...".
Lavrov ha sarcasticamente commentato, in parafrasi, che se qualcuno è convinto che stiamo "aspettando Godot" e che "non vediamo l'ora", si sbaglia.
Mosca ha in mente qualcosa di molto più radicale, che sconvolgerà l'Occidente.
Mosca -e la Cina- non intendono aspettare i comodi dell'Occidente. Intendono invertire completamente il paradigma dell'architettura di sicurezza: creare un'architettura alternativa per il vasto spazio dell'Eurasia, nientemeno. L'intenzione è quella di uscire dall'attuale confronto a somma zero. Non si intende arrivare a un nuovo confronto, ma la nuova architettura intende comunque costringere gli "attori esterni" a ridurre la loro egemonia sul continente.
Nel suo discorso al Ministero degli Esteri, Putin ha esplicitamente prospettato il crollo del sistema di sicurezza euroatlantico e l'emergere di una nuova architettura: "Il mondo non sarà più lo stesso", ha detto.
Cosa intendeva dire?
Yuri Ushakov, il principale consigliere di Putin per la politica estera, ha chiarito al Forum Primakov la telegrafica allusione di Putin. Ushakov avrebbe detto che la Russia è sempre più convinta che non ci sarà una riorganizzazione a lungo termine del sistema di sicurezza in Europa. E senza una profonda riorganizzazione non ci sarà una "conclusione definitiva" (parole di Putin) del conflitto in Ucraina. Ushakov ha spiegato che questo sistema di sicurezza unificato e indivisibile in Eurasia deve sostituire i modelli euro-atlantici ed euro-centrici, che stanno diventando obsoleti.
"Questo discorso [quello tenuto da Putin al Ministero degli Esteri russo] a mio parere indica la direzione per ulteriori iniziative del nostro Paese sulla scena internazionale, compresa la costruzione di un sistema di sicurezza unico e indivisibile in Eurasia", ha detto Ushakov.
I pericoli derivanti dalla troppa propaganda sono risultati evidenti in un precedente episodio in cui un grande Stato si è trovato intrappolato dalla demonizzazione dei propri avversari da esso stesso condotta. Anche l'architettura di sicurezza del Sudafrica per l'Angola e l'Africa sud-occidentale (oggi Namibia) andò in pezzi nel 1980; all'epoca mi trovavo sul posto. Le Forze di Difesa sudafricane conservavano ancora un residuo della loro immensa capacità distruttiva nel nord del Sudafrica, ma l'uso di quella forza non produceva alcuna soluzione politica e nessun miglioramento. Piuttosto, stava portando il Sudafrica all'obsolescenza, proprio la situazione in cui si troverebbe oggi il modello euroatlantico secondo Ushakov. Pretoria voleva un cambiamento; era pronta -in linea di principio- a stringere un accordo con la SWAPO, ma il tentativo di arrivare a un cessate il fuoco andò in fumo all'inizio del 1981.
Il problema più grande era che il governo sudafricano dell'apartheid aveva avuto un tale successo di propaganda demonizzando la SWAPO come "marxista e terrorista" che l'opinione pubblica era contraria a qualsiasi accordo, e ci sarebbe voluto un altro decennio -oltre a una rivoluzione geostrategica- prima che la cosa diventasse finalmente possibile.
Oggi, la "élite" che sovrintende alla sicurezza degli Stati Uniti e dell'Unione Europea ha avuto un tale successo con la sua propaganda antirussa -dai toni altrettanto esagerati- che anch'essa è finita nella stessa trappola. Anche se lo volessero (e comunque non vogliono), l'idea di un'architettura di sicurezza alternativa potrebbe semplicemente rivelarsi, e per anni, al di là di ogni possibile negoziato.
Quindi, come ha sottolineato Lavrov, i Paesi eurasiatici sono giunti alla consapevolezza che la sicurezza del continente deve essere costruita dall'interno, e che deve essere libera e lontana dall'influenza statunitense. In questo costrutto il principio dell'indivisibilità della sicurezza -una qualità non prevista per il progetto euroatlantico- può e deve diventare il concetto fondamentale per la costruzione della struttura euroasiatica, ha specificato Lavrov.
In questa "indivisibilità" si trova una concretizzazione non solo nominale delle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite, compreso il principio dell'uguaglianza sovrana.
I Paesi eurasiatici stanno unendo gli sforzi per contrastare insieme le pretese statunitensi di egemonia globale e l'ingerenza dell'Occidente negli affari degli altri Stati, ha dichiarato Lavrov mercoledì al Forum Primakov.
Gli Stati Uniti e altri Paesi occidentali "stanno cercando di interferire negli affari" dell'Eurasia, trasferendo le infrastrutture della NATO in Asia, organizzando esercitazioni congiunte e creando nuovi patti. Lavrov ha previsto che

"Questa è una lotta geopolitica. Lo è sempre stata e forse durerà a lungo; forse non vedremo la fine di questo processo. Tuttavia, è un dato di fatto che il percorso verso il controllo dall'oceano di ciò che avviene ovunque avvenga viene adesso contrastato dal percorso verso l'unione degli sforzi dei Paesi eurasiatici".

L'avvio delle consultazioni su una nuova struttura di sicurezza non indica ancora la fondazione di un'alleanza politico-militare analoga alla NATO; "inizialmente potrebbe esistere sotto forma di un forum o di un meccanismo di consultazione dei Paesi interessati, non gravato da eccessivi obblighi organizzativi e istituzionali", scrive Ivan Timofeev.
Tuttavia i criteri con cui sarà organizzato questo sistema, ha spiegato Maria Zakharova,

"... non solo garantiranno una pace duratura, ma eviteranno anche grandi sconvolgimenti geopolitici dovuti alla crisi della globalizzazione costruita secondo i modelli occidentali. Creeranno garanzie politico-militari affidabili per la protezione della Federazione Russa e degli altri Paesi della macroregione dalle minacce esterne, creeranno uno spazio libero da conflitti e favorevole allo sviluppo, eliminando l'influenza destabilizzante degli attori extraregionali sui processi eurasiatici. In futuro, ciò significherà ridurre la presenza militare delle potenze esterne in Eurasia".

Il presidente onorario del Consiglio per la politica estera e di difesa della Russia Sergei Karaganov in una recente intervista ha tuttavia formulato una analisi più sobria:

Purtroppo ci stiamo dirigendo verso una vera e propria guerra mondiale, una guerra vera e propria. Le fondamenta del vecchio sistema globale stanno cedendo e i conflitti deflagreranno. È necessario bloccare il percorso che porta a questa guerra... I conflitti sono già scoppiati e sono in atto in ogni settore.
L'ONU è sulla via del'estinzione perché è legata all'apparato occidentale ed è quindi irriformabile. Bene, che rimanga. Ma dobbiamo costruire strutture parallele... Penso che dovremmo costruire sistemi paralleli espandendo i BRICS e la SCO, sviluppando la loro interazione con l'ASEAN, la Lega degli Stati Arabi, l'Organizzazione dell'Unità Africana, il Mercosur latinoamericano, eccetera.
In generale, siamo interessati a creare nel mondo un sistema di deterrenza nucleare multilaterale. Quindi, personalmente non sono preoccupato dall'emergere di nuove potenze nucleari e dal rafforzamento di quelle vecchie, semplicemente perché affidarsi alla ragione delle persone non funziona. Deve esistere la paura. Bisogna fare maggiore affidamento su una deterrenza nucleare che incuta paura, e che ispiri a tenere un registro assennato.

Quella della politica nucleare è oggi una questione complessa e controversa in Russia. Alcuni sostengono che una dottrina nucleare russa troppo restrittiva può essere pericolosa, se dovesse finire con indurre gli avversari a comportarsi con snobistica indifferenza; vale a dire, se gli avversari dovessero diventare indifferenti o indifferenti all'effetto di deterrenza al punto da ignorarne la concretezza.
Altri preferiscono un atteggiamento da ultimissima istanza. Tutti concordano comunque sul fatto che l'architettura di sicurezza eurasiatica dispone di molti passi di escalation oltre a quello nucleare.
Tuttavia, le potenzialità di un "blocco di sicurezza" nucleare a livello continentale a fronte di una NATO equipaggiata con armi nucleari è evidente: Russia, Cina, India, Pakistan -e ora la Corea del Nord- sono tutti Stati dotati di armi nucleari, il che comporta di per sé un certo grado di potenziale di deterrenza.
La definizione di altri passi di escalation sarà senza dubbio al centro delle discussioni del vertice dei BRICS di Khazan del prossimo ottobre, perché un'architettura di sicurezza non è, per concetto, materia esclusivamente militare. L'agenda comprende questioni commerciali, finanziarie e in materia di sanzioni.
La logica insita nell'invertire il paradigma militare della NATO in favore di un sistema di sicurezza eurasiatico alternativo sembrerebbe per forza di cose implicare che se il paradigma della sicurezza deve essere invertito, anche l'egemonia finanziaria e commerciale occidentale deve essere invertita.
L'abbandono del dollaro ovviamente, è già all'ordine del giorno. I meccanismi per tradurre operativamente questo intento potrebbero essere svelati in ottobre. Ma se l'Occidente si sente libero di sanzionare l'Eurasia a suo piacimento, è anche possibile che l'Eurasia sanzioni a sua volta gli Stati Uniti, l'Europa o entrambi.
Sì, la Russia possiamo darla per persa, sia pure non per sempre. E potremmo perdere molto di più. La visita del Presidente Putin in Corea del Nord e in Vietnam ha un suo scopo, se la si considera nel contesto della progettata architettura di sicurezza euroasiatica. Entrambi i paesi ne fanno parte.
E per parafrasare la celebre poesia di Kavafis,

E perché, all'improvviso, questa inquietudine e questa confusione?
(Come sono divenuti seri i volti!)
Perché è scesa la notte e i russi non arrivano.
E alcuni dei nostri sono tornati dalle frontiere dicendo
Che non ci sono più russi.
E ora, che ci succederà senza i russi?
Loro, bene o male, erano una soluzione.