Traduzione da Strategic Culture, 18 aprile 2022.
I falchi della NATO negli USA e in Europa e gli interventisti liberali vogliono più di ogni altra cosa vedere Putin umiliato e reietto. Molti in Occidente vogliono la testa insanguinata di Putin su una picca alle porte della città, ben in vista per tutti, come esplicito monito a quanti sfidano l'ordine internazionale costituito. Il loro obiettivo non è solo il Pakistan o l'India, ma la Cina innanzitutto.
Eppure i falchi si rendono conto che non si azzardano -non possono- procedere a tutta manetta. Nonostante il loro atteggiamento bellicista vogliono che l'aspetto cinetico del conflitto resti limitato ai confini dell'Ucraina: Niente truppe statunitensi sul terreno (anche se quelle sulla cui esistenza si deve tacere sono già sul posto, e hanno "guidato i colpi").
Il Pentagono per esempio -almeno quello- non vuole rischiare una guerra con la Russia suscettibile di degenerare e di arrivare fino al ricorso alle armi nucleari. Questa posizione tuttavia viene adesso messa in discussione da protagonisti dello schieramento neoconservatore che sostengono che il timore che la Russia possa ricorrere al potenziale nucleare è frutto di esagerazioni e dovrebbe essere messo da parte.
Così, per realizzare questi grandiosi progetti l'Occidente si è limitato (dal 2015) ad addestrare e armare i quadri delle forze di élite (come il reggimento Azov) e ad assicurarsi che venissero inseriti a tutti i livelli -compresi i vertici- della leadership politica e militare ucraina.
L'obiettivo in questo caso è stato quello di reggere le operazioni belliche (dato che quella di una piena vittoria non è un'opzione). Più a lungo la guerra continua, recita la narrativa statunitense, più quelle cinquemila sanzioni varate contro la Russia ne danneggeranno l'economia e eroderanno il sostegno alla guerra da parte dell'opinione pubblica russa.
Le esperienze fatte in Siria permeano il teatro degli scontri. Per le forze russe è stata preziosa l'esperienza acquisita ripulendo Aleppo dagli estremisti jihadisti.Per il Comando per le Operazioni Speciali degli Stati Uniti, che addestra queste unità d'élite ucraine, le virtù rappresentate dall'esercizio della pura spietatezza e delle provocazioni (affinate a Idlib dai loro protetti di ieri) sembrano aver impressionato i loro ex istruttori occidentali a sufficienza da giustificarne il passaggio ad un presunto movimento insurrezionale guidato dal battaglione Azov, anche se in azione dal polo opposto dell'ideologia insurrezionalista.
Ci sono motivi per pensare che l'FSB (il servizio di sicurezza russo) possa aver sottovalutato come il ricorso a tattiche di gestione della popolazione come quelle usate a Idlib potrebbe lasciare persino una popolazione civile a maggioranza filorussa troppo imbelle per respingere efficacemente un dominio in stile Azov. Di conseguenza, le forze russe hanno dovuto impegnarsi più del previsto. Questo può essere stato un errore tattico, ma non un errore strategico.
Un grosso errore strategico invece è stato, per l'Occidente, decidere di combattere innanzitutto una guerra finanziaria contro la Russia, guerra che potrebbe rivelarsi la rovina per i piani occidentali. L'insurrezione ucraina, in pratica, è stata confinata in gran parte a operare in modo da fornire più tempo alle sanzioni e alle operazioni di guerra psicologica in grande stile, in modo che il fronte interno russo inizi a risentire di entrambe.
Bene, ecco il problema: a marzo il presidente Biden si è presentato al Congresso e ha dichiarato che il rublo russo era sceso del 30% e il mercato azionario russo del 40%. L'economia russa, diceva, era sulla via del collasso; la missione era quasi compiuta.
Eppure, contrariamente alle attese del G7 per cui le sanzioni occidentali avrebbero fatto crollare l'economia russa, il Financial Times ha dovuto ammettere che "Va detto sottovoce... Ma il sistema finanziario russo sembra [oggi] essersi ripreso dallo shock iniziale delle sanzioni"; il "settore finanziario russo si è rimesso in piedi dopo gli ostacoli costituiti dapprincipio dalle sanzioni". E le vendite di petrolio e gas dalla Russia -più di un miliardo di dollari al giorno, in marzo- significano che essa sta continuando ad accumulare grandi profitti dal commercio estero. La Russia si ritrova col più grande surplus dal 1994, dato che i prezzi dell'energia e delle materie prime si sono impennati. Ironicamente, oggi come oggi le prospettive economiche della Russia sembrano per molti aspetti migliori di quelle dell'Occidente. Come la Russia, l'Europa ha già -o avrà presto- un tasso di inflazione a due cifre. La grande differenza è che l'inflazione russa sta scendendo, mentre quella europea sta aumentando al punto (in particolare per i prezzi dei generi alimentari e dell'energia) che gli aumenti accenderanno probabilmente il malcontento popolare e le proteste.
Bene. Il G7 ha sbagliato; la crisi politica in effetti era stata messa in programma per la Russia, non per l'Europa. E gli stati dell'Unione Europea sembrano ora intenzionati a raddoppiare: se la Russia non è crollata come ci si aspettava, allora tocca all'Europa deve fare il servizio completo: via tutto, semplicemente. Nessuna nave russa che entra nei porti dell'Unione Europea, nessun camion che attraversa le frontiere dell'Unione Europea, niente carbone, niente gas e niente petrolio. "In Russia non deve arrivare un euro", è il grido di battaglia. Ambrose Evans-Pritchard scrive sul Telegraph: "Olaf Scholz deve scegliere tra un embargo energetico alla Russia o un embargo morale alla Germania":
Il secondo errore strategico è dato dall'incapacità di comprendere che la resilienza economica della Russia non deriva solo dal fatto che l'UE continua ad acquistarne il gas. Essa è piuttosto frutto del fatto che la Russia ha operato su entrambi i lati dell'equazione, collegando il rublo all'oro e poi collegando i pagamenti energetici al rublo; in questo modo il valore della sua valuta è salito.
La Banca di Russia sta così alterando dalle fondamenta tutti i presupposti del funzionamento del sistema commerciale globale, sostituendo come valuta commerciale il traballante dollaro con una solida valuta basata sulle materie prime. Allo stesso tempo sta innescando un mutamento del ruolo dell'oro, che torna ad essere un baluardo a sostegno del sistema monetario.
Paradossalmente, sono stati gli stessi Stati Uniti a preparare il terreno per questo passaggio al commercio in valuta locale, col sequestro senza precedenti delle riserve russe e con le loro minacce nei confronti dell'oro russo (se solo potessero metterci le mani sopra). Questo ha allarmato altri paesi che temevano che dopo sarebbe stato il loro turno, se solo avessero provocato il capriccioso "dispiacere" di Washington. Più che mai, il mondo non occidentale è oggi aperto al commercio in valuta locale.
Questa strategia fondata sul boicottaggio delle fonti energetiche russe ovviamente mette all'angolo l'Europa. L'Europa non può in alcun modo sostituire l'energia russa con altre fonti, almeno per i prossimi anni: né rivolgendosi all'AmeriKKKa, né al Qatar, né alla Norvegia. Ma la leadership europea, in preda a un'indignazione frenetica per la marea di immagini atroci che arriva dall'Ucraina e convinta che l'"ordine liberale" ad ogni costo deve prevenire una sconfitta nel conflitto ucraino, sembra pronta ad andare a diritto nonostante tutto.
Ambrose Evans-Pritchard continua:
Ci sono serie linee di faglia che si irradiano da questo tentativo eurostatunitense di riaffermare il proprio "liberalismo", e che insiste nel non tollerare alcuna alterità. Su questioni come l'agenda di un'élite scientifico-tecnologica e sulla "vittoria" in Ucraina, non può esistere un'altra prospettiva. Siamo in guerra.
Cosa succederà, allora? Il risultato più probabile è che l'economia russa non crollerà, nemmeno se l'Unione Europea dovesse fare tabula rasa del commercio energetico e di tutto quanto il resto. La Cina appoggerà la Russia, e dire Cina significa dire l'economia globale. Non è che si può metterla sotto sanzioni fino a quando non capitola.
Scacco matto? Bene, quale potrebbe essere il piano C dell'Occidente? La frenesia bellicista, l'odio viscerale, un linguaggio che sembra fatto apposta per escludere qualsiasi venire a patti con Putin, oppure la leadership di Mosca è ancora al suo posto, e i neo-conservatori stanno sentendo nell'aria che è la loro occasione.
Naturalmente quando l'invasione dell'Iraq si è conclusa con una sconfitta monumentale, i neoconservatori sono stati scherniti da tutti e Podhoretz si era messo a balbettare scuse. Non sorprende che di conseguenza l'originario avallo all'intervento militare degli Stati Uniti sia rapidamente uscito di scena e che e la guerra a colpi di sanzioni intrapresa dal Tesoro ne abbia preso il posto: un interventismo di questo genere non richiede l'invio di truppe sul terreno.
Insomma, ecco perché i neoconservatori condividono l'idea -sbagliata- che la guerra intrapresa dal Tesoro unita a una guerra psicologica tirata fino all'estremo potrebbe far abbassare la cresta a Putin.
I neoconservatori sono entusiasti del fatto che la guerra finanziaria stia fallendo. Dal loro punto di vista, questo rimette sul tavolo l'opzione militare, con l'apertura di un nuovo 'fronte': un'azione aggressiva basata sulla fondamentale originaria premessa per cui uno scambio nucleare con la Russia deve essere evitato, e che l'elemento cinetico del conflitto deve restare accuratamente circoscritto per evitare questa possibilità.
"È vero che agire con fermezza nel 2008 o nel 2014 avrebbe significato rischiare uno scontro", ha scritto Robert Kagan nell'ultimo numero di Foreign Affairs deplorando il rifiuto degli Stati Uniti di affrontare militarmente la Russia.
I falchi della NATO negli USA e in Europa e gli interventisti liberali vogliono più di ogni altra cosa vedere Putin umiliato e reietto. Molti in Occidente vogliono la testa insanguinata di Putin su una picca alle porte della città, ben in vista per tutti, come esplicito monito a quanti sfidano l'ordine internazionale costituito. Il loro obiettivo non è solo il Pakistan o l'India, ma la Cina innanzitutto.
Eppure i falchi si rendono conto che non si azzardano -non possono- procedere a tutta manetta. Nonostante il loro atteggiamento bellicista vogliono che l'aspetto cinetico del conflitto resti limitato ai confini dell'Ucraina: Niente truppe statunitensi sul terreno (anche se quelle sulla cui esistenza si deve tacere sono già sul posto, e hanno "guidato i colpi").
Il Pentagono per esempio -almeno quello- non vuole rischiare una guerra con la Russia suscettibile di degenerare e di arrivare fino al ricorso alle armi nucleari. Questa posizione tuttavia viene adesso messa in discussione da protagonisti dello schieramento neoconservatore che sostengono che il timore che la Russia possa ricorrere al potenziale nucleare è frutto di esagerazioni e dovrebbe essere messo da parte.
Così, per realizzare questi grandiosi progetti l'Occidente si è limitato (dal 2015) ad addestrare e armare i quadri delle forze di élite (come il reggimento Azov) e ad assicurarsi che venissero inseriti a tutti i livelli -compresi i vertici- della leadership politica e militare ucraina.
L'obiettivo in questo caso è stato quello di reggere le operazioni belliche (dato che quella di una piena vittoria non è un'opzione). Più a lungo la guerra continua, recita la narrativa statunitense, più quelle cinquemila sanzioni varate contro la Russia ne danneggeranno l'economia e eroderanno il sostegno alla guerra da parte dell'opinione pubblica russa.
Le esperienze fatte in Siria permeano il teatro degli scontri. Per le forze russe è stata preziosa l'esperienza acquisita ripulendo Aleppo dagli estremisti jihadisti.Per il Comando per le Operazioni Speciali degli Stati Uniti, che addestra queste unità d'élite ucraine, le virtù rappresentate dall'esercizio della pura spietatezza e delle provocazioni (affinate a Idlib dai loro protetti di ieri) sembrano aver impressionato i loro ex istruttori occidentali a sufficienza da giustificarne il passaggio ad un presunto movimento insurrezionale guidato dal battaglione Azov, anche se in azione dal polo opposto dell'ideologia insurrezionalista.
Ci sono motivi per pensare che l'FSB (il servizio di sicurezza russo) possa aver sottovalutato come il ricorso a tattiche di gestione della popolazione come quelle usate a Idlib potrebbe lasciare persino una popolazione civile a maggioranza filorussa troppo imbelle per respingere efficacemente un dominio in stile Azov. Di conseguenza, le forze russe hanno dovuto impegnarsi più del previsto. Questo può essere stato un errore tattico, ma non un errore strategico.
Un grosso errore strategico invece è stato, per l'Occidente, decidere di combattere innanzitutto una guerra finanziaria contro la Russia, guerra che potrebbe rivelarsi la rovina per i piani occidentali. L'insurrezione ucraina, in pratica, è stata confinata in gran parte a operare in modo da fornire più tempo alle sanzioni e alle operazioni di guerra psicologica in grande stile, in modo che il fronte interno russo inizi a risentire di entrambe.
Bene, ecco il problema: a marzo il presidente Biden si è presentato al Congresso e ha dichiarato che il rublo russo era sceso del 30% e il mercato azionario russo del 40%. L'economia russa, diceva, era sulla via del collasso; la missione era quasi compiuta.
Eppure, contrariamente alle attese del G7 per cui le sanzioni occidentali avrebbero fatto crollare l'economia russa, il Financial Times ha dovuto ammettere che "Va detto sottovoce... Ma il sistema finanziario russo sembra [oggi] essersi ripreso dallo shock iniziale delle sanzioni"; il "settore finanziario russo si è rimesso in piedi dopo gli ostacoli costituiti dapprincipio dalle sanzioni". E le vendite di petrolio e gas dalla Russia -più di un miliardo di dollari al giorno, in marzo- significano che essa sta continuando ad accumulare grandi profitti dal commercio estero. La Russia si ritrova col più grande surplus dal 1994, dato che i prezzi dell'energia e delle materie prime si sono impennati. Ironicamente, oggi come oggi le prospettive economiche della Russia sembrano per molti aspetti migliori di quelle dell'Occidente. Come la Russia, l'Europa ha già -o avrà presto- un tasso di inflazione a due cifre. La grande differenza è che l'inflazione russa sta scendendo, mentre quella europea sta aumentando al punto (in particolare per i prezzi dei generi alimentari e dell'energia) che gli aumenti accenderanno probabilmente il malcontento popolare e le proteste.
Bene. Il G7 ha sbagliato; la crisi politica in effetti era stata messa in programma per la Russia, non per l'Europa. E gli stati dell'Unione Europea sembrano ora intenzionati a raddoppiare: se la Russia non è crollata come ci si aspettava, allora tocca all'Europa deve fare il servizio completo: via tutto, semplicemente. Nessuna nave russa che entra nei porti dell'Unione Europea, nessun camion che attraversa le frontiere dell'Unione Europea, niente carbone, niente gas e niente petrolio. "In Russia non deve arrivare un euro", è il grido di battaglia. Ambrose Evans-Pritchard scrive sul Telegraph: "Olaf Scholz deve scegliere tra un embargo energetico alla Russia o un embargo morale alla Germania":
"...il rifiuto dell'Europa occidentale di tagliare i finanziamenti alla macchina da guerra di Vladimir Putin è inammissibile. Il danno morale e politico per la stessa UE sta diventando proibitivo. Una linea politica che è già un disastro diplomatico per la Germania, che scopre attonita che il presidente Frank-Walter Steinmeier è un paria -il Kurt Waldheim della nostra epoca?- così stigmatizzato da due decenni nel ruolo di signore oscuro delle collusioni col Cremlino che l'Ucraina non lo farà entrare nel paese. Questo indugiare non rende giustizia al popolo tedesco, che sostiene in modo schiacciante una risposta che sia all'altezza della minaccia alla propria esistenza che l'ordine liberale europeo sta affrontando".Ecco chiaramente la seconda revisione, il piano B per i grandiosi progetti: la Russia sta sopravvivendo alla guerra mossale dal Tesoro perché l'Unione Europea compra ancora gas ed energia. L'UE -e la Germania più in particolare- stanno finanziando la "grottesca e immotivata guerra" di Putin. Si continua con la tiritera: "Non un euro a Putin!".
Il secondo errore strategico è dato dall'incapacità di comprendere che la resilienza economica della Russia non deriva solo dal fatto che l'UE continua ad acquistarne il gas. Essa è piuttosto frutto del fatto che la Russia ha operato su entrambi i lati dell'equazione, collegando il rublo all'oro e poi collegando i pagamenti energetici al rublo; in questo modo il valore della sua valuta è salito.
La Banca di Russia sta così alterando dalle fondamenta tutti i presupposti del funzionamento del sistema commerciale globale, sostituendo come valuta commerciale il traballante dollaro con una solida valuta basata sulle materie prime. Allo stesso tempo sta innescando un mutamento del ruolo dell'oro, che torna ad essere un baluardo a sostegno del sistema monetario.
Paradossalmente, sono stati gli stessi Stati Uniti a preparare il terreno per questo passaggio al commercio in valuta locale, col sequestro senza precedenti delle riserve russe e con le loro minacce nei confronti dell'oro russo (se solo potessero metterci le mani sopra). Questo ha allarmato altri paesi che temevano che dopo sarebbe stato il loro turno, se solo avessero provocato il capriccioso "dispiacere" di Washington. Più che mai, il mondo non occidentale è oggi aperto al commercio in valuta locale.
Questa strategia fondata sul boicottaggio delle fonti energetiche russe ovviamente mette all'angolo l'Europa. L'Europa non può in alcun modo sostituire l'energia russa con altre fonti, almeno per i prossimi anni: né rivolgendosi all'AmeriKKKa, né al Qatar, né alla Norvegia. Ma la leadership europea, in preda a un'indignazione frenetica per la marea di immagini atroci che arriva dall'Ucraina e convinta che l'"ordine liberale" ad ogni costo deve prevenire una sconfitta nel conflitto ucraino, sembra pronta ad andare a diritto nonostante tutto.
Ambrose Evans-Pritchard continua:
"In Germania, gli sbarramenti della politica stanno cedendo. Die Welt fotografa l'esasperazione dei media definendo l'idillio fra la Germania e la Russia di Putin 'il più grande e pericoloso errore di calcolo nella storia della Repubblica federale'. I presidenti delle commissioni esteri, difesa e dei rapporti con l'Europa al Bundestag -che comprendono tutti e tre i partiti della coalizione - hanno tutti chiesto un embargo sul petrolio giovedì [14 aprile, n.d.t.]. "Dobbiamo finalmente dare all'Ucraina ciò di cui ha bisogno, armi pesanti comprese. Un embargo energetico completo è fattibile", ha detto Anton Hofreiter, dei Verdi, presidente della commissione per i rapporti con l'Europa".L'aumento dei costi energetici implicito nel fare a meno delle fonti russe finirà semplicemente di stroncare ciò che rimane della competitività dell'UE, e porterà a un'inflazione altissima e a disordini politici. Tutto questo fa parte dell'agenda originale della NATO, che prevede di tenere l'AmeriKKKa in Europa, tenerne fuori la Russia e far volare bassa la Germania?
Ci sono serie linee di faglia che si irradiano da questo tentativo eurostatunitense di riaffermare il proprio "liberalismo", e che insiste nel non tollerare alcuna alterità. Su questioni come l'agenda di un'élite scientifico-tecnologica e sulla "vittoria" in Ucraina, non può esistere un'altra prospettiva. Siamo in guerra.
Cosa succederà, allora? Il risultato più probabile è che l'economia russa non crollerà, nemmeno se l'Unione Europea dovesse fare tabula rasa del commercio energetico e di tutto quanto il resto. La Cina appoggerà la Russia, e dire Cina significa dire l'economia globale. Non è che si può metterla sotto sanzioni fino a quando non capitola.
Scacco matto? Bene, quale potrebbe essere il piano C dell'Occidente? La frenesia bellicista, l'odio viscerale, un linguaggio che sembra fatto apposta per escludere qualsiasi venire a patti con Putin, oppure la leadership di Mosca è ancora al suo posto, e i neo-conservatori stanno sentendo nell'aria che è la loro occasione.
"L'intellettuale neoconservatore ed ex scrittore di discorsi per Reagan John Podhoretz ha recentemente scritto un tronfio editoriale intitolato La riscossa dei neoconservatori. In questo corsivo si legge che gli architetti della Guerra al Terrore come lui sono ora 'di nuovo sulla breccia', gli eventi mondiali hanno dimostrato che hanno ragione su tutto - dai poliziotti di quartiere alla guerra".Non solo sono tornati sulla breccia, afferma Podhoretz, ma i neoconservatori hanno sconfitto i loro principali nemici intellettuali sul piano della cornice morale della deterrenza. Sul piano interno la questione Ucraina si traduce in questo modo e i neoconservatori pensano che l'Ucraina li abbia portati alla riscossa.
Naturalmente quando l'invasione dell'Iraq si è conclusa con una sconfitta monumentale, i neoconservatori sono stati scherniti da tutti e Podhoretz si era messo a balbettare scuse. Non sorprende che di conseguenza l'originario avallo all'intervento militare degli Stati Uniti sia rapidamente uscito di scena e che e la guerra a colpi di sanzioni intrapresa dal Tesoro ne abbia preso il posto: un interventismo di questo genere non richiede l'invio di truppe sul terreno.
Insomma, ecco perché i neoconservatori condividono l'idea -sbagliata- che la guerra intrapresa dal Tesoro unita a una guerra psicologica tirata fino all'estremo potrebbe far abbassare la cresta a Putin.
I neoconservatori sono entusiasti del fatto che la guerra finanziaria stia fallendo. Dal loro punto di vista, questo rimette sul tavolo l'opzione militare, con l'apertura di un nuovo 'fronte': un'azione aggressiva basata sulla fondamentale originaria premessa per cui uno scambio nucleare con la Russia deve essere evitato, e che l'elemento cinetico del conflitto deve restare accuratamente circoscritto per evitare questa possibilità.
"È vero che agire con fermezza nel 2008 o nel 2014 avrebbe significato rischiare uno scontro", ha scritto Robert Kagan nell'ultimo numero di Foreign Affairs deplorando il rifiuto degli Stati Uniti di affrontare militarmente la Russia.
"Ma Washington lo scontro lo sta rischiando adesso; le ambizioni della Russia hanno creato una situazione intrinsecamente pericolosa. È meglio per gli Stati Uniti rischiare il confronto con qualche potenza belligerante quando essa è nelle prime fasi di un ambizioso programma di espansione, non dopo che essa ha già consolidato vantaggi sostanziali. La Russia può anche possedere un temibile arsenale nucleare, ma il rischio che Mosca vi ricorra non è più alto ora di quanto lo sarebbe stato nel 2008 o nel 2014 se l'Occidente fosse intervenuto allora. E poi il rischio è sempre stato straordinariamente piccolo: Putin non avrebbe mai ottenuto i suoi obiettivi distruggendo se stesso e il suo paese, insieme a gran parte del resto del mondo".
Insomma, non preoccupatevi di andare in guerra contro la Russia, Putin non userà la bomba.
Davvero? Perché si dovrebbe esserne così sicuri?
Questi neoconservatori sono riccamente sovvenzionati dall'industria bellica. Non vengono mai abbandonati dalle proprie reti. Vanno e vengono dentro e fuori dai posti di potere, sistemati in parcheggi come il Council on Foreign Relations o Brookings o l'AmeriKKKan Enterprise Institute, prima di essere richiamati al governo. Sono stati i benvenuti alla Casa Bianca di Obama o di Biden come alla Casa Bianca di Bush. La guerra fredda per loro non è mai finita e il loro mondo è rimasto binario: noi e loro, bene e male.
Solo che al Pentagono non ci cascano. Al Pentagono sanno cosa significa una guerra nucleare. Quindi la conclusione è che le sanzioni danneggeranno l'economia russa ma non la faranno crollare. La guerra vera, non quella della propaganda che racconta dell'incompetenza dei russi e dei loro fiaschi militari, sarà vinta dalla Russia. Tutte le forniture militari di apparati massicci provenienti da Europa e USA alla volta dell'Ucraina saranno vaporizzate appena attraversano il confine, e l'Occidente sperimenterà ciò che più teme: essere umiliato nel proprio tentativo di riaffermare l'ordine liberale.
L'Europa teme che senza una clamorosa riaffermazione vedrà comparire linee di faglia in tutto il mondo. Ma queste fratture sono già presenti: Trita Parsi scrive che "i paesi non occidentali tendono a vedere la guerra della Russia in modo molto, molto diverso":
La caratteristica più rilevante del primo turno delle elezioni presidenziali francesi della scorsa settimana è che anche se Macron dovesse vincere il 24 aprile (e l'establishment e i suoi media faranno di tutto per assicurare la sua vittoria), si tratterà di una vittoria di Pirro. La maggioranza degli elettori francesi il 13 aprile ha votato contro un sistema dominato dagli interessi incrociati tra lo Stato e la sfera delle grandi imprese.
Gli elettori francesi sentono di star andando diritti verso un'inflazione più alta, tenore di vita in declino, più regolamentazione sovranazionale, più NATO, più UE e più diktat ameriKKKani.
Ora, gli si viene a dire che l'aumento dei prezzi dei generi alimentari, del riscaldamento e dei carburanti è il prezzo da pagare per paralizzare la Russia e la Cina e per "salvaguardare il tessuto morale dell'ordine liberale".
Se si dovessero indicare le caratteristiche di questa tacita guerra, le si potrebbero trovare in un Macron che parla (a bassa voce) a La France, la Francia in senso astratto. La Le Pen, al contrario, ha parlato con il popolo francese, e ha parlato di una pratica politica con cui essi possono relazionarsi in modo personale. Dalla contesa elettorale le vecchie categorie e i "contenitori" tradizionali della politica francese -la Chiesa cattolica, il partito repubblicano e il partito socialista- sono usciti ridotti a qualcosa di insignificante. Il presidente Eisenhower, nel suo discorso d'addio del 1961, aveva chiaramente previsto lo scisma imminente:
Davvero? Perché si dovrebbe esserne così sicuri?
Questi neoconservatori sono riccamente sovvenzionati dall'industria bellica. Non vengono mai abbandonati dalle proprie reti. Vanno e vengono dentro e fuori dai posti di potere, sistemati in parcheggi come il Council on Foreign Relations o Brookings o l'AmeriKKKan Enterprise Institute, prima di essere richiamati al governo. Sono stati i benvenuti alla Casa Bianca di Obama o di Biden come alla Casa Bianca di Bush. La guerra fredda per loro non è mai finita e il loro mondo è rimasto binario: noi e loro, bene e male.
Solo che al Pentagono non ci cascano. Al Pentagono sanno cosa significa una guerra nucleare. Quindi la conclusione è che le sanzioni danneggeranno l'economia russa ma non la faranno crollare. La guerra vera, non quella della propaganda che racconta dell'incompetenza dei russi e dei loro fiaschi militari, sarà vinta dalla Russia. Tutte le forniture militari di apparati massicci provenienti da Europa e USA alla volta dell'Ucraina saranno vaporizzate appena attraversano il confine, e l'Occidente sperimenterà ciò che più teme: essere umiliato nel proprio tentativo di riaffermare l'ordine liberale.
L'Europa teme che senza una clamorosa riaffermazione vedrà comparire linee di faglia in tutto il mondo. Ma queste fratture sono già presenti: Trita Parsi scrive che "i paesi non occidentali tendono a vedere la guerra della Russia in modo molto, molto diverso":
"La richiesta occidentale di affrontare costosi sacrifici tagliando i legami economici con la Russia per difendere l'ordine costituito ha generato una reazione allergica. Quell'ordine non si è mai basato su delle regole; al contrario, ha permesso agli Stati Uniti di violare impunemente il diritto internazionale. I segnali dell'Occidente sulla situazione in Ucraina hanno portato la sua sordità selettiva a un livello completamente nuovo, ed è improbabile che esso si accattivi il sostegno di paesi che hanno spesso sperimentato gli aspetti peggiori dell'ordine internazionale".Allo stesso modo, l'ex consigliere indiano per la sicurezza nazionale Shivshankar Menon ha scritto su Foreign Affairs che "lungi dal consolidare il 'mondo libero', la guerra ha messo ancor più in evidenza la sua incoerenza sostanziale. In ogni caso, il futuro dell'ordine globale sarà deciso non dalle guerre in Europa ma dalla sfida in Asia, su cui gli eventi in Ucraina hanno una rilevanza limitata".
La caratteristica più rilevante del primo turno delle elezioni presidenziali francesi della scorsa settimana è che anche se Macron dovesse vincere il 24 aprile (e l'establishment e i suoi media faranno di tutto per assicurare la sua vittoria), si tratterà di una vittoria di Pirro. La maggioranza degli elettori francesi il 13 aprile ha votato contro un sistema dominato dagli interessi incrociati tra lo Stato e la sfera delle grandi imprese.
Gli elettori francesi sentono di star andando diritti verso un'inflazione più alta, tenore di vita in declino, più regolamentazione sovranazionale, più NATO, più UE e più diktat ameriKKKani.
Ora, gli si viene a dire che l'aumento dei prezzi dei generi alimentari, del riscaldamento e dei carburanti è il prezzo da pagare per paralizzare la Russia e la Cina e per "salvaguardare il tessuto morale dell'ordine liberale".
Se si dovessero indicare le caratteristiche di questa tacita guerra, le si potrebbero trovare in un Macron che parla (a bassa voce) a La France, la Francia in senso astratto. La Le Pen, al contrario, ha parlato con il popolo francese, e ha parlato di una pratica politica con cui essi possono relazionarsi in modo personale. Dalla contesa elettorale le vecchie categorie e i "contenitori" tradizionali della politica francese -la Chiesa cattolica, il partito repubblicano e il partito socialista- sono usciti ridotti a qualcosa di insignificante. Il presidente Eisenhower, nel suo discorso d'addio del 1961, aveva chiaramente previsto lo scisma imminente:
"Oggi, l'inventore solitario è stato surclassato da task force di scienziati nei laboratori e nei campi di collaudo. Allo stesso modo l'università, storicamente la fonte delle idee libere e della scoperta scientifica, ha sperimentato una rivoluzione nella conduzione della ricerca. In parte a causa degli enormi costi coinvolti, un contratto governativo diventa praticamente un sostituto della curiosità intellettuale. Per ogni vecchia lavagna ci sono ora centinaia di nuovi computer elettronici.La guerra è questa.
La prospettiva che gli studiosi di tutta la nazione finiscano sotto la supremazia dell'impiego federale, del finanziamento dei progetti e del potere del denaro è sempre presente - ed è qualcosa da considerare seriamente.
Tuttavia, nel considerare -come dovremmo- la ricerca e la scoperta scientifica con rispetto, dobbiamo anche essere attenti al pericolo uguale e contrario: che la politica pubblica possa finire essa stessa prigioniera di una élite scientifica e tecnologica".