Traduzione da Strategic Culture, 2 luglio 2018.
Almeno lo hanno detto chiaro e tondo, su questo non ci sono dubbi. Quel "Noi siamo l'AmeriKKKa, e che cazzo" detto da un funzionario statunitense fa piazza pulita delle stupidaggini del potere morbido. Non si tratta certo di "democrazia" o di "libertà"; l'ordine mondiale universale non ha mai avuto a che fare con questi concetti. Va detto a credito del Presidente Trump che almeno non usa mezzi termini: perché scusarsi per la potenza ameriKKKana? Servirsene o perderla, dice Trump; e l'AmeriKKKa è ancora abbastanza forte da proseguire per la propria strada, che è quella di rimanere la potenza dominante.
La Cina si permette di dissentire. Ha già superato gli Stati Uniti nel 2013 in termini di prodotto interno lordo a parità di potere d'acquisto e adesso sente che la storia è giunta ad una svolta: la Cina sta per riprendere la propria vecchia identità e per ergersi come la cultura primigenia che pensa di essere sempre stata, andando ad occupare il centro del mondo. La traduzione concreta di questa ritrovata identità è rappresentata dalla nuova Via della Seta, che unisce "una comunità che condivide uno stesso destino". L'espressione politica di questo fenomeno nei confronti del mondo esterno è però riflessa più fedelmente dai concetti originariamente russi di euroasianesimo e di multipolarità, che risalgono agli anni 20 del XX secolo.
Il concetto di multipolarità è ovviamente in diretta opposizione all'universalismo occidentale e al concetto di "fine della storia". Non è antioccidentale di per sé, ma si oppone direttamente ai progetti utopistici occidentali che hanno cercato di incastrare tutto ciò che c'è di umano in un modello di società dove tutto è uguale per tutti. Il concetto russo di Eurasia contempla culture diverse, autonome e sovrane che sono in linea di principio l'esatta negazione dell'universalità e dell'egemonia. L'idea piuttosto è quella di un raggruppamento di "nazioni" che si rifanno tutte ad una propria cultura e a una propria identità primordiali -ad esempio la Russia è russa secondo una cultura russa propria- e che non sono costrette a imitare la spinta occidentalizzatrice. A rendere plausibile l'edificazione di questo ampio raggruppamento è il fatto che le identità culturali sono complesse e dotate di una propria storia; questo modo di intendere elude l'ossessione predominante a ridurre ogni nazione ad un valore pari a uno e a un singolo "significato". La collaborazione e il dialogo quindi avvengono su un terreno che si amplia considerando qualcosa che va al di là del "o l'uno o l'altro".
Apparentemente il Presidente Trump andrebbe collocato nel mucchio di quanti sostengono la ripresa di sovranità da parte dell'Europa e dello stato che occupa la penisola italiana, o, almeno, questo è quello che Steve Bannon ha suggerito dopo una sua recente visita nello stato che occupa la penisola italiana, dove ha cercato di ritrarre il nuovo governo formato da Lega e Movimento 5 Stelle come l'embrione di una nascente rivolta paneuropea contro lo establishment liberalprogressista e globalista. Bannon ha detto che questo embrione "ha in Trump il proprio fulcro". Un pensatore e scrittore russo che si trovava nella penisola italiana nello stesso periodo ha definito il nuovo orientamento dello stato che la occupa in modo piuttosto diverso, come un germoglio in Europa dell'ideale euroasiatico e multipolare.
Può senz'altro essere vero che Trump si sta impegnando a far saltare il mondo dell'Europa liberale come dice Bannon, ma il paradosso grave in questo caso è che il Presidente degli USA sta cercando di arrivare a questo risultato e alla restaurazione del ruspante vigore ameriKKKano usando gli stessi strumenti che lo establishment liberale ha sviluppato per costruire la globalizzazione guidata dagli USA. Esiste una contraddizione di fondo fra l'essere contro lo establishment liberale in patria e usare gli stessi esiziali strumenti all'estero per ricostruire l'AmeriKKKa dall'interno. Sulla questione è probabile che il visitatore russo abbia centrato il punto meglio di Bannon.
Sembra che il Presidente Trump intenda alzare la voce con la Cina, con l'Iran e magari anche con la Germania, facendo propri gli stessi sistemi di quello establishment che disprezza: l'egemonia del dollaro, le pretese eccezionaliste di giurisdizione legale statunitense su tutto il pianeta e il diritto di procedere al rovesciamento dei governi altrui, per esempio in Iran, dove e quando vogliono gli USA. Per molti, e sicuramente per la Russia e per la Cina, si tratta di una palude da bonificare, al pari di ogni equivalente di Washington.
David Stockman, ex membro del Congresso e responsabile del bilancio per il governo statunitense scrive a proposito della Cina:
Peter Navarro, il principale architetto della... guerra commerciale [ha detto, dopo un tonfo di quattrocento punti negli indici dei mercati statunitensi] che non esiste alcun progetto per mettere dei limiti agli investimenti stranieri negli USA; Donald Trump intende solo salvaguardare la tecnologia ameriKKKana e assicurare un "commercio libero, equo e di reciproca soddisfazione"... Navarro stava tirando la volata a una caterva di bugie belle e buone. Nel campo delle restrizioni agli investimenti in realta l'amministrazione Trump si sta muovendo per ripristinare un misconosciuto e farraginoso statuto di quarantun anni fa, chiamato Atto per i Poteri d'Emergenza in Economia Internazionale... ed usarlo per bloccare potenziali investimenti che riguardino "tecnologie di importanza significativa per il settore industriale" da parte di società che siano per il 25% o più di proprietà cinese.Non c'è bisogno di dire che questo significherà scoperchiare un vaso di Pandora letteralmente senza fondo per ogni coinvolgimento e ogni mano in pasta che Washington potrà mai avere in qualsiasi materia riguardi gli affari con la Cina, fatta eccezione per i settori assolutamente obsoleti. Donald Trump sta preparando la madre di tutte le bombe nel settore degli investimenti per impedire ad ameriKKKani che possiedano una tecnologia di rivenderla a stranieri di qualsiasi parte -non solo ai cinesi, secondo il segretario Mnuchin- se qualche strapagata testa d'uovo statuisce che si tratta di una tecnologia sensibile.
Per quanto riguarda l'Iran,
Secondo quanto pensano esperti osservatori dell'industria petrolifera -scrive Esfandyar Batmanghelidj, Trump si è messo a fare la voce grossa. In un discorso in un incontro a margine tenutosi il 26 giugno, un funzionario superiore del dipartimento di stato ha annunciato che l'amministrazione Trump intende far sì che i propri attuali clienti cessino qualsiasi importazione di greggio dall'Iran. Il funzionario ha detto ai giornalisti che in un giro di paesi già iniziato con una visita in Giappone i funzionari USA "chiederanno senza dubbio che le importazioni di greggio iraniano vengano azzerate".
Questa guerra da ministero del Tesoro sta già infastidendo la Cina -qui c'è un articolo in cui un think tank cinese mette in guardia contro il pericolo di un'ondata di panico nel mondo della finanza- e la campagna statunitense per bloccare completamente le esportazioni di greggio dall'Iran impatterà negativamente sul paese, anche se la Cina e l'India non rispetteranno le sanzioni di tipo secondario decise dagli USA e continueranno, cosa che possono fare, ad acquistare petrolio iraniano. Sembra che gli USA stiano rilanciando e che l'unica cosa che potrebbe far tornare Trump sui suoi passi sia un crollo sostanziale nei mercati statunitensi, qualcosa come il 9% o più dell'indice Standard & Poor (si veda qui) nell'imminenza delle elezioni di metà mandato previste per novembre.
Intanto che Trump alza la voce con la Cina e con l'Iran (due alleati fondamentali della Russia) i due presidenti Putin e Trump si incontreranno il 16 luglio a Helsinki. Non sappiamo cosa ci sia in agenda, ma l'idea che al centro dei colloqui ci sarà il tentativo di Trump di ottenere dalla Russia il benestare per "l'accordo del secolo" in cambio di accomodamenti sulla situazione siriana è verosimile. Una simile "concessione" sulla Siria da parte ameriKKKana è facile per Trump, perché comporta poco più che la presa d'atto della situazione reale, vale a dire che i russi e i loro alleati hanno vinto la guerra. Persino negli ambienti governativi ameriKKKani si ammette tacitamente che le cose stanno in questo modo.
Non si sa quali siano i termini di questo "accordo del secolo", e non si sa neppure quale atteggiamento assumerà alla fine la Russia nei confronti di esso. In generale, e in anticipo sulla sua pubblicazione, la diplomazia russa si è mostrata prudente e sospettosa sulla base dei pochi particolari che sono trapelati. Lo stesso Ministero degli Esteri russo brancolava nel buio fino a qualche mese fa. Lavrov e Bogdanov hanno entrambi espresso l'idea che l'atteggiamento statunitense sulla questione di Gerusalemme abbia pericolosamente inasprito le tensioni in tutto il Medio Oriente.
Probabilmente Mosca esprimerà riserve su qualunque accordo sia chiaramente insuscettibile di accettazione da parte palestinese, e non vorrà farsi vedere a imporre un simile risultato a una popolazione palestinese con le spalle al muro. Più seriamente, Mosca può preoccuparsi del fatto che se i palestinesi respingono le proposte statunitensi i vertici politici delo stato sionista si metteranno tutto quanto in tasca, ignoreranno qualunque accantonamento a favore dei palestinesi e si limiteranno ad annettere ulteriori territori. Un gesto che può creare instabilità nella regione o causare un'esplosione di violenza. O mangari entrambe le cose. Insomma, non è un impegno che la Russia può prendersi facilmente.
Se a Putin viene chiesto semplicemente di invitare i Primi Ministri Netanyahu e Abbas a partecipare alla cerimonia di chiusura della Coppa del Mondo prevista per il 15 luglio in modo che possa avvenire un incontro in quella sede, Putin non dovrebbe farsi problemi, anche se potrebbe essere scettico sul fatto che Abbas accetti di incontrare Netanyahu. Abbas sa che aria tira nelle piazze palestinesi ed è assolutamente ostile agli abbozzi delle proposte statunitensi, e specialmente a qualsiasi concetto di una Gerusalemme che non sia la capitale dello stato palestinese.
Che altro potrebbe chiedere alla Russia il Presidente Trump, di imporre a Iran e Hezbollah di ritirarsi dalla Siria, come pretende lo stato sionista? Un impegno del genere la Russia non può prenderselo, e il Presidente Putin non potrebbe d'altro canto tradurlo in pratica.
Potrebbe chiedere Trump alla Russia di troncare i rapporti con la Cina e con l'Iran? Chiedere di rottamare due alleati della strategia multipolare russa e in cambio inserire la Russia come una tessera nel mosaico del dominio unipolare ameriKKKano? Sarebbe una scelta curiosa, questa.
E cosa potrebbe offrire Trump a Putin? Dei colloqui per fermare la nuova corsa agli armamenti? Certo, come no. La fine delle sanzioni contro la Russia? Non se ne parla neppure: in AmeriKKKa è il Congresso che controlla le sanzioni, e il Congresso è propenso ad accrescerle, non ad alleviarle. Una soluzione per l'Ucraina? Difficile.
Se i margini di manovra per arrivare a qualcosa di concreto sono davvero così ristretti, perché mai incontrarsi? Beh, servirebbe ad assestare uno schiaffo allo establishment anglofono che a questo incontro ha frapposto ogni sorta di ostacolo. Sia Putin che Trump possono trarre notevole soddisfazione anche soltanto da questo. Magari Putin riuscirà anche a far capire due o tre cose al suo compare statunitense, specie sull'Iran. Due o tre cose che vanno in direzione opposta alla livorosa visione del mondo dei massimi funzionari nella sicurezza nazionale e nella politica estera di Trump.