Traduzione da Consortium News, 9 giugno 2017.
MbS e MbZ hanno strafatto? Il blocco del Qatar ad opera dei sauditi è appena cominciato ma si può dire che, si, hanno strafatto. E lo strafare di MbS, vale a dire Muhammad bin Salman, ministro della difesa saudita e potente figlio di re Salman, e quello di MbZ, cioè Muhammad bin Zayed, principe ereditario di Abu Dhabi e comandante supremo delle forze armate degli Emirati Arabi Uniti cambierà l'architettura geopolitica della regione.
L'errata premessa strategica e l'altrettanto errata narrativa di Trump secondo cui l'Iran è responsabile ultimo di ogni fattore che destabilizza la regione e che schiacciare il Qatar in quanto grande protettore dello Hamas palestinese era di per sé cosa buona e giusta sono dirette responsabili della direzione che prenderà adesso la geopolitica mediorientale.
Il presidente Trump è rientrato dal suo primo viaggio in Medio Oriente convinto di aver stretto un fronte comune tra gli alleati arabi storici degli Stati Uniti e di aver sferrato un forte colpo al terrorismo.
Non ha fatto né una cosa né l'altra.
Lo hanno informato male.
Non ha fatto né una cosa né l'altra.
Lo hanno informato male.
La spaccatura tra Qatar e Arabia Saudita è una questione antica e tormentata che risale a vecchi rancori della Casa dei Saud dovuti all'iniziale decisione dei britannici di rafforzare la famiglia degli al Thani nella loro roccaforte del Qatar, che in caso contrario sarebbe stato un feudo saudita. Se cessiamo per un momento di prestare orecchio alla lunga lista di esternazioni contro il Qatar ripetuta oggi dall'Arabia Saudita e dagli Emirati -e che serve per lo più solo come giustificativo per le ultime iniziative- possiamo tornare ai due principi che sostanzialmente plasmano la mentalità della Casa dei Saud e la sua strategia, e che costituiscono l'essenza stessa degli attuali dissapori verso il Qatar.
I sauditi reazionari
In primo luogo gli al Saud sono convinti che nessun dubbio legittimo o ammissibile possa andare ad intaccare la purezza islamica delle loro credenziali come successori dei Quraysh (la tribù di Muhammad) o come custodi dei luoghi santi dell'Islam. In secondo luogo, come seguaci di Muhammad al Wahhab, sono convinti che soltanto loro, che sono rappresentanti dell'orientamento wahabita, costituiscono il vero e l'unico Islam. Al contrario gli sciiti sono considerati apostati, innovatori, revisionisti e negazionisti, perché negano il dato storico della legittima trasmissione dell'autorità islamica alla Casa dei Saud.
Cosa c'entra questo con il Qatar, che è anch'esso wahabita? C'entra, per parecchi motivi. In primo luogo agli occhi dei sauditi la famiglia regnante nel Qatar è l'ultima arrivata, ovvero il mero prodotto delle politiche coloniali britanniche, e si comporta con indipendenza mostrando così di non nutrire alcun autentico rispetto per la legittimità ed il buon diritto dell'autorità e della leadership saudita. Al contrario il Qatar si comporta come un rivale alla pari, come un usurpatore.
In secondo luogo c'è Hamas. Il punto non è che Hamas è un movimento della resistenza palestinese o un movimento "terrorista". Il punto è che fa parte dei Fratelli Musulmani e che durante l'esilio dell'organizzazione nel Golfo all'epoca di Nasser i Fratelli Musulmani conferirono sostegno intellettuale alla dottrina wahabita (ovvero al salafismo) secondo il volere dei sauditi, ma vi aggiunsero una coda velenosa: invece di indicare nella monarchia saudita il legittimo sovrano universale, i Fratelli Musulmani attribuirono -orrore- la sovranità alla 'Umma, ovvero alla comunità dei credenti.
Il Qatar allora, come sostenitore di Hamas, viene considerato responsabile della piaga dell'islamismo sunnita, che rappresenta una minaccia diretta per la monarchia saudita e per la sua legittimità. La Casa dei Saud vuole la distruzione dei Fratelli Musulmani non perché sono dei terroristi (come evidentemente crede Trump), ma perché disprezzano la monarchia ereditaria.
Inoltre il Qatar ha ospitato, ospita tuttora e sovvenziona anche, una stampa irriverente e "irrispettosa" che mette in questione lo status quo e al tempo stesso concede spazio ai sentimenti "democratici" dei Fratelli Musulmani. Gli Emirati Arabi Uniti e l'Arabia Saudita vogliono mettere a tacere l'irritante circuito mediatico qatariota, in cui rientrano Al Jazeera, Al Arabi al Jadid, Al Quds al Arabi e all'edizione in arabo dello Huffington Post, oltre a volere l'espulsione di Azmi Bishara, uno scrittore ed intellettuale palestinese residente in Qatar oggi direttore dello Arab Center for Research and Policy Studies.
La diplomazia verso l'Iran
Ed ecco la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il Qatar, e con il Qatar anche altri appartenenti al Consiglio degli Stati del Golfo come l'Oman e il Kuwait, sta cercando un modus vivendi con quei negazionisti degli iraniani, mettendo così a rischio i principi basilari dell'alleanza fra sunniti.
Emile Nakleh è un ex funzionario superiore dei servizi, e dirige il programma di analisi strategica dell'Islam politico della CIA. Scrive che "le frizioni all'interno del Consiglio degli Stati del Golfo risalgono all'epoca della sua fondazione nel maggio del 1981. Per quanto riluttanti, gli emirati arabi del Golfo assecondarono l'invito dell'Arabia Saudita ad unirsi ad esso perché condividevano i tre principali scopi dell'organizzazione: lavorare alla conservazione della supremazia della famiglia tribale, soffocare le proteste democratiche antigovernative e preservare l'autocrazia. Accettarono anche di ricorrere al sostegno militare occidentale per difendere le coste arabe del Golfo da un Iran che dopo la rivoluzione del 1979 veniva considerato una minaccia."
Insomma, la questione non ha niente a che vedere con la semplicistica idea occidentale della lotta al terrorismo. È una questione di potere: il rafforzare e l'espandere il potere saudita. Il leader dell'Arabia Saudita si sentono deboli e vulnerabili e secondo loro sarebbe giunto il momento di tracciare un limite. L'azione contro il Qatar, inattesa ma chiaramente preparata in anticipo, ne rappresenta la concretizzazione sul piano pratico.
Gli amici del ministro saudita della difesa Muhammad bin Salman assai prima che tutto questo succedesse avevano iniziato a presentare il conflitto con l'Iran come una guerra di religione contro gli sciiti, e ad usare il linguaggio del jihad sia per galvanizzare la base, sia per promuovere un'alleanza militare sunnita -capeggiata dall'Arabia- che ripristinasse l'influenza saudita in Medio Oriente. Invocare il jihad religioso è uno strumento collaudato quando c'è da costringere a fare fronte comune.
Solo che come ha scritto di recente Gregory Copley in Defense and Foreign Affairs Strategic Policy [Muhammad bin Salman ha incontrato il Presidente Trump nello Studio Ovale il 14 marzo scorso] "Il Principe Muhammad ha già fatto imboccare all'Arabia Saudita un percorso dal quale è difficile ritirarsi senza danni. Per questo Riyadh sta facendo ancora più pressione sui suoi vecchi sodali affinché si impegnino a combattere le guerre che ha intrapreso, che sia a suo fianco o che sia per suo conto. Il principe Muhammad sta continuando a chiedere al Pakistan di entrare nel conflitto nello Yemen a dispetto del fatto che la guerra è stata presentata da Riyadh come una guerra contro gli sciiti (e dunque contro l'Iran) mentre in Pakistan vive una minoranza sciita che costituisce oltre il 20% della popolazione."
Tirare Trump dalla propria parte
Copley ha riassunto così l'incontro del 14 marzo: "Il Principe Muhammad pareva intenzionato ad accaparrarsi Trump per il lato saudita, e a parlare in nome di tutti i musulmani [a nome di Trump] per dire quanto bene avrebbero tutti tratto dall'amministrazione Trump."
Il problema è che non soltanto il Pakistan, ma anche appartenenti al Consiglio degli Stati del Golfo come il Qatar, l'Oman e il Kuwait non si sono mostrati d'accordo. Non volevano questa guerra settaria: volevano venire a patti con gli sciiti; in Kuwait esiste una rilevante popolazione sciita. Anche il leader del Qatar è recentemente riuscito a riconciliare l'ala sunnita e l'ala sciita della influente tribù dei Tamim, che si estende anche nel Neged saudita, sotto la sua supremazia. Un vero schiaffo in pieno viso a bin Salman, alla sua retorica sul jihad che è invece deliberatamente polarizzatrice e alla sua speranza di poter arruolare Trump in un campo saudita sempre più debole.
Perché Trump è andato avanti lo stesso? I due suoi "tweet" fondamentali nel corso della settimana provano al di là di ogni dubbio che è stato conquistato alla causa di una narrativa a senso unico. Trump ha prima scritto un tweet in cui rivendicava il plauso per l'ultimatum e per il blocco contro il Qatar ad opera degli EAU e dell'Arabia Saudita. L'impressione è che Trump deve aver pensato che la mossa di MbS e MbZ rappresentasse in qualche modo un colpo ai finanziatori del terrorismo e mettesse l'Iran all'angolo.
Poi, come ha scritto Ishan Tharoor sullo Washington Post subito dopo gli attacchi a Tehran (lo Stato Islamico ha assaltato il parlamento ed un sacrario), sulla capitale iraniana è stata una pioggia di deplorazioni e di condoglianze da tutto il mondo:
Poi è arrivato il Presidente Trump. La Casa Bianca ha eretto a propria inconfondibile abitudine l'emettere rapidi commenti sugli attacchi in cui è coinvolto lo Stato Islamico, ovunque si verifichino: Parigi, Londra, Manchester... e addirittura per un episodio mai accaduto nelle Filippine. Mercoledì invece Trump se ne è rimasto tranquillissimo per diverse ore. La portavoce del Dipartimento di Stato ha rilasciato una dichiarazione di condanna puramente formale, sostenendo che "nel mondo pacifico e civile non c'è posto per l'efferatezza del terrorismo".Quando alla fine Trump è uscito dal suo silenzio, il suo messaggio ha spazzato via in un solo colpo qualunque anelito di buona volontà i diplomatici ameriKKKani potessero aver avuto voglia di trasmettere. [corsivo di A. Crooke, n.d.t.]"Siamo addolorati e preghiamo per le vittime innocenti degli attacchi terroristici in Iran e per il popolo iraniano, che sta passando un così difficile periodo", diceva la dichiarazione prima di chiudersi con una pazzesca frecciata contro Tehran. "Sottolineiamo il fatto che i paesi che sostengono il terrorismo rischiano di rimanere vittime del male che promuovono."
Un grave insulto
Questi tweet indicano chiaramente che Trump si è completamente immerso nella retorica e nell'agenda dei più grandi rivali che l'Iran ha nella regione: l'Arabia Saudita e lo stato sionista. Si è trattato di un punto di svolta che in Medio Oriente non sarà né dimenticato né perdonato. Non è stata solo una mossa falsa sul piano politico. Si è trattato di una cosa più seria della politica pura e semplice, o del fatto che l'Iran a Trump piaccia o non piaccia. È stato un calpestare i sentimenti umani, è stato un disprezzare l'essere umano.
La bomba a Manchester, le gole tagliate vicino al ponte di Londra sono accadimenti orrendi, ma per fortuna sono ancora eventi fuori dall'ordinario. Uomini, donne e bambini sciiti invece, in Iraq, in Siria e nello Yemen soffrono una Manchester al giorno. Appena qualche giorno fa lo stato islamico ha massacrato in tutto 163 civili -donne e bambini compresi- che stavano fuggendo da Mossul. Centinaia di migliaia di donne sciite arabe, turkmene e di altre nazionalità sono oggi nei campi profughi a piangere la sorte di mariti, figli e fratelli decapitati. E le salme dei caduti combattendo lo Stato Islamico in Iraq arrivano nelle moschee ogni giorno che passa.
Di fatto, Trump ha detto a questa gente che "se l'è meritata" perché ha sostenuto il "terrorismo". Fino a questo punto l'Iran e il mondo sciita erano ancora sinceramente propensi a concedere a Trump il beneficio del dubbio. Adesso le cose sono cambiate. Trump si è trasformato, senza che ce ne fosse alcun bisogno, in uno spietato nemico ideologico dell'Islam sciita.
In Medio Oriente non esiste una sola "verità": il Principe Bandar, quando era ancora capo dei servizi sauditi, una volta disse al capo dello MI6 che "non è lontano il momento, Richard, in cui in Medio Oriente si dirà letteralmente 'Che Dio aiuti gli sciiti.' Più di un miliardo di sunniti ne hanno semplicemente avuto abbastanza, di loro."
Il capo del MI6 capì così che il successivo jihad antisciita in Iraq e in Siria, l'ascesa dello Stato Islamico e i cupi ammonimenti di Bandar non erano privi di nesso.
La cattiva mossa di Trump
Il "terrorismo" non è mai un fenomeno trasparente come sembra, quando lo si osserva a distanza di sicurezza. Insomma, i due messaggi via Twitter fanno apparire il Presidente degli USA ingenuo e intollerante, cose che in genere non sono da lui. Trunp è abbastanza capace di ragionare senza preconcetti, ma ha bisogno di consigli che vengano da soggetti meno autoreferenziali, meno schierati e meno faziosi. Sarebbe già una miglior pratica politica, per lui, quella di limitarsi a mantenere legami con tutti i principali attori regionali.
Quali saranno gli esiti di questa crisi, che di fatto non è che un'iniziativa reazionaria contro le forze che promuovono il cambiamento? Esistono resoconti che fanno pensare che la leadership saudita si aspettava che il Qatar capitolasse senza condizioni entro ventiquattro ore dal blocco. Resoconti che possono aver commesso un grossolano errore di valutazione. Il Qatar sarà anche un piccolo stato, ma i suoi tentacoli finanziari arrivano lontano ed hanno una presa forte, in questi tempi di vacche magre.
Il Qatar ha anche amici potenti: la Turchia e, sia pure con maggiori cautele, l'Iran; forse anche l'Iraq e la Russia sia pure in secondo piano. Il Qatar può cercare di arrivare ad un compromesso e di tirarla per le lunghe, ma i primi resoconti fanno pensare che MbS e MbZ siano irremovibili: hanno trattato in modo scortese e sprezzante l'emiro del Kuwait. Staremo a vedere.
In ogni caso, è dubbio che il Consiglio degli Stati del Golfo riuscirà a sopravvivere come tale allo spadroneggiare dell'Arabia Saudita. Potrebbe verificarsi una spaccatura, e la Turchia o l'Egitto potrebbero cercare di tirare dalla propria parte abbastanza frammenti da spodestare la leadership saudita. Il panorama geopolitico cambierà comunque, sia che il centro di gravità si sposti a Nord, con la Turchia che acquista una presa strategica sul mondo arabo, sia che MbS cerchi di raddoppiare la posta.
In ogni caso, una mossa disperata come l'occupazione militare del Qatar da parte dell'Arabia Saudita -come fatto a suo tempo col Bahrain- potrebbe potrare ad una seria escalation o anche ad uno scontro militare. Ci si può chiedere anche se la Casa dei Saud non pensi che un colpo di stato -perché è così che si può considerarlo- contro un altro leader del Golfo sia davvero una cosa campata in aria.