Traduzione da Conflicts Forum, 6 gennaio 2017.
Il professor Peter Mair ha scritto non troppo tempo fa un libro intitolato Governare il vuoto. Un vuoto che è lo spazio libero che esiste tra i neolaburisti britannici e la loro base elettorale. Dopo la quarta sconfitta consecutiva subìta dai laburisti alle elezioni politiche, nel 1992, il nuovo segretario del partito John Smith affermò che se il Partito Laburista avesse voluto tornare al potere avrebbe dovuto avere dalla propria parte lo establishment statunitense; per questo, avrebbe dovuto acquisire credibilità a Wall Street e soprattutto nella City londinese. Cominciava allora l'ammaliante offensiva laburista, che Tony Blair portò convintamente avanti dal 1994 dopo l'improvvisa morte di Smith. Questa virata verso i centri rel potere conservatore ameriKKKano fu chiamata "la Terza Via" ed implicava una sorta di tecnocrazia legata ai dati e guidata da un modello, del tipo evidente soprattutto nel modus operandi per il controllo dell'economia usato dai banchieri centrali, e nel loro falsato "legame con i dati".
Questa Terza Via si posizionava in modo da coprire una zona che si postulava tranquilla, tra due poli estremisti. I leader neolaburisti si vantavano del fatto che questa compassatezza tecnocratica che derivava loro da una simile collocazione li avrebbe messi al riparo dalle tempeste della politica. Da Primo Ministro, poi, Blair disse che di politica vera e propria non si era realmente occupato mai.
Da dove nasceva tutto questo? La Terza Via era un'idea di Smith o di Blair, o piuttosto veniva fuori dalla squadra di Clinton, che si era insediato nel 1993? La questione è dibattuta, ma la seconda ipotesi è la più probabile.
In ogni caso, il concetto di vuoto è proprio quello fondamentale in Mair. Le élite, britanniche, europee e adesso ameriKKKane, sono giunte a disprezzare la base del loro consenso, i cosiddetti "detestabili". A sua volta la base del partito si è stancata della debosciata élite in stile Davos che ha considerato la sovranità statale una specie di fastidioso impiccio sulla via di una vita in stile cosmopolita da jet set degli affari. Una élite che stava al di sopra di tutto, in una bolla urbana e cosmopolita tutta sua, separata dalle radici nazionali. L'essenza di quanto Mair espone è questa.
I laburisti si svegliarono e scoprirono che la loro base elettorale in Scozia e nell'ex cuore manifatturiero della Gran Bretagna era evaporata. Ora è toccato ai democratici statunitensi scoprire la stessa cosa. Entrambi avevano giocato la carta delle "diversità" e avevano basato la propria politica sul multiculturalismo e sulle vittime per questioni di identità. Dopo l'otto novembre 2016, i democratici si sono svegliati al mattino davanti alla gravità e alla vastita del proprio disastro: il partito era stato spazzato via. Aveva perso i vecchi capisaldi a sud e nella fascia industriale degli USA. Da partito in possesso della maggioranza legislativa a livello nazionale era diventato partito delle élite urbane della costa, degli studenti di college arrabbiati, e delle coalizioni delle minoranze.
Questo è il primo di tre "cicli lunghi" giunto ad esaurimento, quello della politica del nuovo ordine mondiale; ha preso un'altra direzione, ancora in parte da delineare. Come emerge dall'emotivo ed iroso botta e risposta di Trump e della Brexit, sembra che molti abbiano la sensazione che sia la modernità stessa ad essere giunta alla fine. Come se tutta la retorica del dopo guerra, del dopo guerra fredda e della "fine della storia", quella in cui il Nuovo Ordine Mondiale, il "Nuovo Secolo AmeriKKKano", la globalizzazione a base finanziaria e il convergere di tutto il mondo sui valori liberali e sul libero mercato (tutte cose che sembravano un destino inevitabile e da cui tutti avrebbero tratto beneficio) l'otto novembre fosse stata buttata all'aria in un "brutto risultato". Magari è davvero così.
Sia il referendum sulla Brexit sia le presidenziali statunitensi fanno pensare che un corposo settore dell'elettorato europeo e di quello statunitense si sia stancato di questo Nuovo Ordine Mondiale, si sia stancato di "esperti" che gli raccontavano che la globalizzazione era nel suo interesse e che l'austerità altro non era che un tonico corroborante. Fanno pensare che si sia stancato di un'economia che non si muove, e di sentirsi raccontare di una ripresa che non c'è. Sembra che l'attivismo politico in stile Soros (change.org, MoveOn.com e Avaaz.com) abbia spinto al limite l'attivismo centrato sulle identità e che con esso i partiti di centrosinistra siano arrivati al punto di perdere la capacità di relazionarsi con la gran parte della popolazione che non coincide con le élite cittadine.
Per questi partiti, semplicemente, è diventato più difficile anche tenere alta la bandiera della multiformità e delle frontiere aperte, intanto che i disordini terroristici si susseguivano senza sosta in tutto il mondo.
O almeno così sembra.
La coalizione che tiene al Nuovo Ordine Mondiale si comunque rifiutata di accettare il verdetto. Semplicemente non crede che sia finita, né crede che quella che ha tutta l'aria di essere una rivolta nei suoi confronti possa rappresentare un punto di vista legittimo, o che i suoi oppositori abbiamo dalla loro un qualche argomento di qualunque genere. Anzi, li considera un rigurgito dei peggiori pregiudizi viscerali. Non accetta il fatto che lo stato di cose è irrimediabilmente cambiato. Anziché riflettere sulla propria situazione, preferisce incolpare la Russia o i "siti di notizie false".
La reazione psicologica a questa denegazione emotiva è molto importante.
Una simile reazione indica che anziché accettare con calma la fine dello status quo, gli oppositori di Trump sperano di ripristinarlo. Perché questo sia possibile, Trump deve cadere -o meglio, deve essere fatto cadere- e cadere in maniera spettacolare. Fino ad oggi la maggior parte delle speculazioni si è concentrata sui programmi politici di Trump. Sicuramente la natura e l'essenza delle sue politiche sono molto importanti, ma dal punto di vista geostrategico sarebbe più importante ancora l'interazione tra due dinamiche: le idee e le politiche derivanti da una parte, e la scelta del tipo di chiave inglese da cacciare tra gli ingranaggi dell'amministrazione Trump da parte della potente coalizione che gli si oppone e che conta sul suo fallimento.
Questo scontro, per propria natura, può arrivare a portare le politiche statunitensi ad un punto morto, o trasformarle in qualcosa di incoerente e di inefficace. Sicuramente ha in sé il germe di una possibile crisi finanziaria, che si ficchi o no nel sistema finanziario una delle chiavi inglesi di cui sopra. Chiaramente, è foriero anche di un potenziale inasprimento della polarizzazione a livello popolare, come se le divisioni esistenti non fossero sufficientemente aspre. Il successo o il fallimento di Trump avranno una portata mondiale. Questo riuscire e questo fallire possono sostanzialmente dipendere dal punto cui il signor Trump riuscirà ad avere presa sul proprio partito e sulla macchina statale, oltre che dal raggiungimento di un accordo con il Presidente Putin.
Come mai una intesa con la Russia dovrebbe avere tanta importanza? Perché lo establishment sa bene che il Nuovo Ordine Mondiale già da tempo è vittima di una marcata erosione. Gli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo sono stati gli anni del fulgore statunitense, ma quegli anni sono passati da parecchio tempo. L'età d'oro iniziò a svaporare negli anni Settanta, ma come spiega James Kunstler a vivide ma non errate tinte,
L'AmeriKKKa si è ripresa dal disordine finanziario degli anni Settanta non grazie al fascino dell'economia reaganiana, ma per la pura e semplice ragione che negli anni Ottanta entrarono a regime le ultime gigantesche scoperte petrolifere, con un rendimento energetico di trenta ad uno rispetto agli investimenti. Il North Slope in Alaska, i campi del Mare del Nord tra Norvegia e Gran Bretagna, quelli in Siberia. Questo permise agli USA e all'Occidente in generale di proseguire per un'altra ventina d'anni con la loro ubriacatura tecnologica e industriale. Quando l'abbondanza venne meno, verso l'anno 2000, il sistema si mise di nuovo a traballare e i visir della Fed intensificarono le loro magie, sotto la guida del gran visir (o Maestro) Alan Greenspan, che operava con i registri dei tassi di interesse come se il sistema finanziario altro non fosse che un gigantesco organo a canne ad energia nucleare, che si poteva far aumentare o diminuire di giri con un meraviglioso pannello di controllo installato proprio alla Fed. L'epoca in cui la Fed faceva gli incantesimi si distinse per una finanza sistematicamente sempre più complessa, da una crescente fragilità del sistema, da frodi contabili pervasive ed istituzionalizzate, e da sempre più grandi bolle finanziarie e relative esplosioni.La parte concreta delle magie della Fed altro non era che il debito, ma la ciliegina sulla torta, l'ingrediente segreto era rappresentato dalle frodi, che prendevano forma di interventi sui mercati, di manipolazioni, di inosservanza delle regole e di pure e semplici sistematiche menzogne sulle cifre che indicavano lo stato di salute dell'economia... Col successore di Bernanke [Janet Yellen] la politica della Fed è stata sostanzialmente un menare il can per l'aia a seconda di com'erano i dati; un sacco di chiacchiere senza nulla di concreto, e gli stessi dati erano in larga parte fraudolenti, soprattutto quelli sull'occupazione e sul PIL, facili da manipolare e considerati in grado di determinare l'ascesa o la rovina della politica dei tassi di interesse. In pratica il malaffare va avanti, mentre le autorità si sentono svenire a fronte delle sempre più accumulatesi e ormai ineludibili crisi debitorie, che è sempre più certo finiranno con il crollo del sistema.
Di nuovo Peter Mair ed il suo Riempire il vuoto. Greenspan, Blair e Clinton appartenevano tutti alla stessa epoca. L'idea essenziale era che il controllo di un sistema economico (o di un sistema politico se è per questo, visto che ai loro occhi la sostanza era la stessa) era una questione di dominio della tecnica che trascendeva la politica, e che la miglior cosa da fare era lasciarla agli accademici esperti, con i loro modelli e i loro sortilegi fatti di algoritmi. Conseguenza di tutto questo, i neolaburisti in Gran Bretagna e i democratici negli USA hanno perso i contatti con la loro base elettorale, e allo stesso modo la Fed ha perso ogni rapporto con l'economia reale ed ogni comprensione del suo funzionamento. I tassi di interesse negativi (solo un esempio tra tanti possibili) finché si rimane nei modelli matematici accademici sembra anche che funzionino, ma in pratica questo non succede per motivi, piuttosto validi, legati alla psicologia umana più elementare. Di fatto si sono rivelati dannosi. Le conseguenze sono le stesse che hanno colpito neolaburisti e democratici: le élite della Fed sono oggi oggetto di disprezzo, gente che vive in una bolla da essa stessa costruita e che non ha nessun contatto con la realtà.
La coalizione degli oppositori a Trump sa di trovarsi su un terreno minato quando propone un ritorno a politiche monetarie che hanno con tanta chiarezza terminato il proprio ciclo vitale. Anche la maggioranza del popolo ameriKKKano ha iniziato ad interiorizzare il fatto che la magia della Fed non è più concreta di qualsiasi altro degli stravaganti pretesti accampati per le politiche della "Terza Via". Alcuni editorialisti hanno ipotizzato che è proprio questo il punto, la presenza di un sistema finanziario fragile, su cui Trump può essere incastrato con più facilità, ed hanno puntato gli occhi sull'intenzione espressa dalla Fed di far salire i tassi di interesse in tre riprese nel corso di quest'anno, cosa che viene considerata non in linea con la millantata dipendenza dei tassi dai dati concreti, e che non sembrerebbero giustificare eventuali aumenti. Può anche darsi. Ma può darsi anche che gli oppositori di Trump sappiano di avere molto di più da perdere da un'eventuale crisi finanziaria di quanto ne abbiano i "detestabili", anche se lo stesso Trump è davvero altamente esposto ad un attacco compiuto tramite l'aumento dei tassi di interesse. I "detestabili" non hanno praticamente nulla a che fare con i mercati finanziari. Ecco il motivo per cui, forse, in tanti stanno passando da Goldman Sachs alla squadra di Trump: pensano che sia meglio lavorare per Trump che contro di lui.
L'indebolirsi del contesto economico occidentale, e la perdita del controllo ameriKKKano sul governo mondiale della finanza e degli equilibri militari rappresentano il secondo dei tre cicli lunghi arrivati alla fine e chepare si apprestino a prendere un'altra direzione. Gli USA (e l'Europa) soffrono di un'emorragia di capitali, produttività e posti di lavoro che prendono la strada di paesi lontani ormai da molto tempo. Da così tanto tempo che è poco probabile, per dirla di nuovo con Kunstler, "che siamo sul punto di riattivare una qualche gigantesca capacità produttiva rimasta in naftalina".
Impiantare nuove fabbriche al passo coi tempi richiederebbe una montagna di capitali privati che è semplicemente impensabile per un sistema già sottoposto ad una leva finanziaria giunta all'estremo limite. Anche se cercassimo di arrivarci tramite una pianificazione ed un finanziamento in cui i governi centrali abbiano un ruolo preponderante, comportandoci in pieno stile sovietico, non esiste maniera plausibile di anticipare (o prendere in prestito) il denaro senza distruggerne al contempo il valore (con l'inflazione), e insieme con esso anche il sistema bancario... [e] se per magia riuscissimo a costruire nuova capacità industriale, molto del lavoro sarebbe in essa svolto da robot, non da muscolose tute blu, e certamente non per una retribuzione equivalente ai trentacinque dollari l'ora alla catena di montaggio cari al Sindacato Unitario dei Lavoratori dell'Auto.
Non esiste, in poche parole, un qualche facile sistema per tornare, con questi metodi, a com'erano le cose prima del XXI secolo ameriKKKano. Il ciclo ha già cambiato verso: potrà in qualche modo essere mitigato dalle politiche di Trump, ma difficilmente potrà tornare alla maschia vitalità di un tempo. I venti contrari a livello di sistema sono semplicemente troppi.
Mentre la potenza economica dell'Occidente andava liquefacendosi, in maniera meno appariscente ma altrettanto significativa è successo lo stesso anche alla sua potenza militare. Gli USA hanno mantenuto una cotosa ed oltremodo complessa capacità offensiva, mentre la Russia, la Cina e l'Iran hanno sviluppato una capacità difensiva efficace e relativamente economica. Federico Pieraccini la descrive in questi termini:
Da questo punto di vista i più impressionanti armamenti in mano a questi tre indomabili paesi sono i sistemi antinave, antiaerei ed antimissile. Semplicemente, basta notare che i sistemi d'arma russi come gli S300 e gli S400 da difesa aerea(lo s500 sarà operativo nel corso del 2017) sono oggi schierati anche da Cina ed Iran, con varianti sviluppate a livello locale. Stiamo assistendo ad un sempre più frequente e scoperto passaggio di tecnologie utili a chiudere agli USA l'accesso allo spazio fisico e al cyberspazio. Aerei stealth, portaerei con relativo gruppo di attacco, missili balistici intercontinentali e missili cruise stanno passando un periodo difficile in un ambiente del genere perché incontrano l'opposizione di formidabili sistemi difensivi opposti loro da russi, iraniani e cinesi. Il costo di un missile antinave lanciato dalla costa cinese è considerevolmente più basso rispetto alle decine di miliardi di dollari necessari a costruire una portaerei. La spesa militare in Cina, in Russia ed in Iran è basata su questa concezione del rapporto tra costo ed efficacia. Mettersi a tu per tu con gli USA senza trovarsi costretti a colmare un ampio divario sul piano militare è l'unica via praticabile per ottenere immediati e tangibili effetti di deterrenza e bloccare in questo modo le ambizioni espansioniste ameriKKKane.
Sicuramente gli addetti ai lavori già da tempo assistono a tutto questo. Lo establishment sarà stato pienamente consapevole del suo potere in declino, del suo soverchiante debito in assetto precario come della pesantezza al vertice del sistema, al pari della sua obnubilante complessità. In fin dei conti un considerevole capitale in attenzione e in energia viene speso oggi soltanto per far andare le ruote e gli ingranaggi di una macchina per il moto perpetuo che non sta andando da nessuna parte. Tocca tenerla in volo e il timore è che si schianti al suolo per colpa di un momento di disattenzione.
Come fare per invertire l'apparentemente inarrestabile erosione delle posizioni ameriKKKane e ripristinare il Nuovo Ordine Mondiale in circostanze tanto infauste? Detto altrimenti, come fare per smontare Trump? Un metodo potrebbe essere quello di fare sfoggio di una dimostrazione di forza spregiudicata, soverchiante e psicologicamente stringente che stupisca il mondo all'improvviso, le cui ripercussioni rovescino l'attuale, paradigmatico declino ameriKKKano.
Mettere all'angolo la Russia e provocarla affinché reagisca malamente in modo da riportarla all'epoca di Eltsin potrebbe essere visto come un messaggio inequivocabile su scala planetaria: l'AmeriKKKa è sempre la numero uno. Inchiodare Trump alle interferenze russe nelle elezioni statunitensi senza lasciargli altra strada che quella di far salire una tensione politica a sua volta amplificabile da parte degli uomini di cui lo establishment dispone sul terreno, in modo da servirsene per pretendere ulteriori reazioni statunitensi a fronte dell'aggressività russa. Indizi di una strategia di questo genere sono già evidenti, per esempio nell'espulsione dei diplomatici russi. L'idea è che la "minaccia" russa possa aprire alla prospettiva di un ritorno in sella dei democratici (dal momento che sarebbe stato soltanto l'aiutino russo a far pendere da una certa parte la bilancia elettorale derubando così "ingiustamente" la signora Cliton della carica che le spettava) e al tempo stesso prepari il terreno ad un ritorno in forze della supremazia mondiale ameriKKKana.
Ecco perché il destino della presidenza Trump dipende in parte dalla possibilità di epurare i servizi statunitensi ed alleati dagli elementi politicizzati, di imporre la propria autorità al Congresso e di arrivare ad un'intesa con il Presidente Putin. Per questo 2017 le pietre miliari sono queste. Sarà una lotta di potere epica, il cui risultato colpirà tutti.
Quali le implicazioni in senso più ampio? La tesi di Mair non vale solo per i neolaburisti e per i democratici. Le stesse dinamiche sono all'opera in tutta Europa, e tutti i partiti europei di centrosinistra ne saranno in qualche misura interessati. Nel 2017 in Europa si terranno anche tre consultazioni elettorali importanti; a primavera in Olanda e in Francia, in autunno in Germania. L'Europa attende. I risultati potrebbero ridefinirla, oppure no. Anche gran parte del Medio Oriente attende. Se tutto quello cui la modernità conferisce un aspetto solido inizia a dissolversi in aria perché le schermaglie ameriKKKane provocano turbolenze nei mercati (afferma Kunstler) a risentirne saranno soprattutto i paesi del Nord Africa e del Golfo, perché "dal punto di vista geografico occupano gli spazi meno ricchi di risorse per sostentare una popolazione che per due secoli non ha fatto che aumentare... [Molti] sono dei deserti, artificialmente sostenuti dai prerequisiti del moderno sviluppo: energia a buon prezzo, fertilizzanti prodotti grazie ad essa, sistemi di irrigazione e denaro ricavato da essi, e continui aiuti assolutamente vitali da paesi più ricchi e sviluppati esterni alla regione... Il fatto essenziale è che [è stata] la modernità [che] li ha fatti crescere oltre misura; [se] adesso la modernità si [dissolve] anch'essi finiranno per esplodere, o per decrescere."
Il terzo ed ultimo di questi cicli strutturali che sentiamo essere giunto al punto di invertire il proprio percorso è rappresentato dal "modo in cui pensiamo". Senza dubbio la vittoria elettorale di Trump ha scatenato energie tettoniche latenti. Alcune di esse potranno rivelarsi piuttosto nocive; chissà, per esempio, se i nuovi leader europei di destra si spingeranno davvero fino alle deportazioni di massa. Non esistono certezze, potrebbe anche darsi. La vittoria di Trump tuttavia, che la cosa piaccia o no, ha spezzato l'ampolla in cui era chiuso un certo modo di pensare. Potrebbe anche venir fuori che ha liberato delle idee, a dispetto del prevalente scetticismo; idee su come le nostre economie potrebbero essere fondate su basi monetarie più solide. Almeno i tre soffocanti decenni di politica estera superata potrebbero essere spazzati via dal processo in corso, sia pure al prezzo di un inasprirsi delle contese sul piano interno. Troppo presto per dire se Trump stia davvero gettando le basi di una nuova era, o se la sua presidenza non costituisca altro che il progetto pilota di un qualche cosa che deve ancora emergere. In ogni caso, il 2017 sarà senz'altro un anno interessante. E turbolento.