Da Conflicts Forum, 25 novembre 2016

L'AmeriKKKa sta entrando in un periodo di lotte intestine sul piano della politica interna. Se guidare il paese era già un problema, a causa dei disaccordi che esistevano all'interno del governo di Obama, ora sarà anche peggio. Il nuovo Presidente eletto controllerà anche entrambe le camere, ma negli USA ci sono anche altri centri di potere influenti che possono ostacolarlo e che cercheranno di farlo. Non è una situazione sorprendente perché ci troviamo davanti al rovesciamento di un paradigma inveterato e a quello delle élite che lo hanno sostenuto. Steen Jacobsen di Saxo Bank, che ha correttamente convocato le elezioni, lo descrive in poche parole.
...Il mondo è diventato sempre più elitario, da ogni punto di vista... [Per dirla semplicemente] io sono convinto che nel più ampio contesto socioeconomico questo elitarismo faccia capo all'idea che esista un solo modello... Quindi, da un punto di vista intellettuale, elitarismo significa che abbiamo pochissimi margini di discussione sul contratto sociale, sul fatto che funzioni o meno, se sia giusto o meno. Si considerino per esempio il quantitative easing e la politica monetaria in generale... ci hanno detto tutti che non avevamo alternative ("...There Is No Alternative...", TINA); ma da dov'è saltata fuori quest'idea? C'è stata un'aperto confronto a riguardo? Elitarismo significa anche assenza di spazi per le voci più deboli, assenza di spazi per lo scontento dell'individuo medio che potrà anche non avere una profonda consapevolezza delle cose della politica e dell'economia ma nonostante questo desidera prendere posizione sulle questioni... E allora, chi o che cosa può prestargli voce? Un sistema politico mandato avanti da nomi familiari come Blair o Clinton, tutta gente che ha proposto una propria "terza via" che non esiste,e che quando esiste non è altro che la via che porta diritti contro un muro? ...Adesso, ecco che questi vecchi nomi cadono in rovina, perché il loro modello è quello di un programma che non funziona, e che si basa sulla globalizzazione.
Per quanti si erano trovati bene con l'idea che "esiste un unico modello [razionale e tecnologicamente corretto]" il fondatore del Movimento Cinque Stelle in Italia che mostrava la sua crescente fiducia in un video in cui giocava d'anticipo sul risultato di un referendum di fondamentale importanza è stato la conferma delle paure peggiori. "Questa è la deflagrazione di un'epoca", ha detto Beppe Grillo mentre in sottofondo passava il discorso con cui Donald Trump accettava il risultato delle elezioni. "Ma sono quelli che osano, gli ostinati, i barbari, che porteranno avanti il mondo... Finiremo al governo, e si chiederanno 'Ma come hanno fatto?'".
Ma fino a dove può arrivare questo contagio? Davvero è possibile che si arrivi al bagno di sangue? Siamo davvero arrivati a questo punto, e speriamo di no? Intanto però è già iniziata la messa dei bastoni tra le ruote. A quanto risulta a tutt'oggi il pilastro della politica estera di Trump è costituito dalla ricerca della distensione con il Presidente Putin. Solo che, come ha affermato il prof. Stephen Cohen,
L'opposizione sostenitrice della Guerra Fredda è velocemente uscita allo scoperto... guidata da personalità di ambo i partiti come i senatori McCain, Graham e Cardin e provenienti da organi mediatici come il New York Times e lo Washington Post... Il loro pensiero e i loro obiettivi sono espressi dal loro stenografo dello Washington Post Josh Rogin, che dice ai lettori che la distensione con Putin non è né ammissibile né raggiungibile, perché la strategia di Putin consiste "nel minare, nel lungo termine, la stabilità e l'affidabilità delle democrazie liberali occidentali." Ovviamente non esiste alcuna prova che Putin abbia obiettivi del genere; esistono soltano illazioni offensive, ma questa accusa riassume in sé il vocabolario esistenziale della precendente Guerra Fredda, durata quarant'anni.
Il che non è vero, perché le cose sono anche peggiori. L'accusa marchia Putin come un pericolo mortale per l'AmeriKKKa e l'Europa. Secondo Cohen Rogin finisce per dire esplicitamente ai lettori che i nemici della distensione hanno già messo in cantiere una campagna sul piano interno e su quello estero per "fermare la ricostruzione da zero [come Obama chiamava la distensione] dei rapporti con i russi prima e ancora che vi si metta mano... [Sicuramente allora] Trump avrà bisogno di decisione, competenze di leadership, consiglieri e alleati sul piano interno per venire a capo di quella che sarà sicuramente una feroce opposizione verso qualsiasi negoziato paritario con quella che ora viene chiamata 'la Russia di Putin'".
La distensione con la Russia tuttavia non è che il primo passo in direzione dei un progetto ancor più ambizioso, che è quello di muovere guerra all'Islam radicale. Non abbondano i dettagli su come questo potrebbe concretizarsi, ma alcuni uomini di Trump come Steve Bannon hanno accennato alla cosa nei termini dello "scontro di civiltà" di Bernard Lewis. La rivista statunitense Mother Jones ha raccolto in proposito una serie di voci di corridoio, provenienti dall'entourage di Trump.
"Io penso che l'Islam ci odi", ha detto Trump qualche mese fa. A chi gli chiedeva se intendesse riferirsi all'Islam radicale, ha risposto "Radicale lo è, ma è difficile definirlo perché è molto difficile fare distinzioni. Non si sa mai con chi si ha a che fare."
Vari membri della squadra di Trump, che va consolidandosi, hanno descritto la minaccia in modi altrettanto drastici e generici. "Siamo in una guerra mondiale contro un movimento messianico di massa fatto da gente malvagia e per lo più ispirata da un'ideologia totalitaria: l'Islam radicale. Ma non ci è concesso pronunciare o scrivere queste due parole, e questo è potenzialmente fatale per la nostra cultura," scrive Michael Flynn, che Trump si è scelto come consigliere per la sicurezza nazionale, in un libro pubblicato la scorsa estate e scritto a quattro mani con lo scrittore conservatore Michael Leeden.

"Io non credo che tutte le culture si equivalgano dal punto di vista morale, e credo che l'Occidente, e specialmente l'AmeriKKKa, sia molto più civilizzato, molto più etico e morale del sistema che i nostri nemici numero uno vogliono imporci," aggiunge Flynn.

"Non tutto il miliardo e seicento milioni di musulmani che ci sono al mondo è fatto di estremisti o terroristi. La gran parte non lo è," ha scritto il nuovo vice di Flynn K. T. McFarland a marzo. "Ma se solo il dieci per cento dell'uno per cento è costituito da radicali, si tratta di un imponente milione e seicentomila persone che vogliono distruggere la civiltà occidentale e i valori che teniamo cari".

...Mike Pompeo, il deputato del congresso del Kansas che Trump ha indicato come futuro capo della CIA, ha descritto lo scontro in termini più sfumati, sottolineando il fatto che l'Islam non dev'essere identificato con l'estremismo. Nondimeno [Pompeo] afferma che Obama ha grossolanamente sottovalutato i pericoli dello jihadismo."
Difficile dire quanto di queste espressioni (si tratta chiaramente di cose dette prima che a chi le ha pronunciate venisse proposta una qualche carica) vada preso alla lettera, ma la politica di Obama improntata all'ambiguità strategica verso lo jihadismo -da una parte usandolo e dall'altra combattendolo tiepidamente (ovvero venendone usato) oltre alla sua vigorosamente ribadita distinzione tra jihadisti moderati e jihadisti globali, in AmeriKKKa ha prodotto un grosso contraccolpo, che verosimilmente plasmerà la politica estera della prossima amministrazione.
Ancora è troppo presto anche per dire in che modo prenderà forma sul piano pratico questa nuova "guerra", ma la antologia di Mother Jones indica una forte ostilità (in Bannon) nei confronti dell'Arabia Saudita e "la sua penetrazione nell'amministrazione Obama" grazie a personaggi come John Brenner (capo della CIA) e Huma Abedin (il più vicino collaboratore della signora Clinton), che per giunta viene accusato di essere alleato dei Fratelli Musulmani. Se queste voci di corridoio si concretizzeranno -e in parte almeno dovremo considerarli delle polemiche- è probabile che al centro del mirino ci saranno proprio i Fratelli Musulmani, oltre all'Iran. Sia Bannon che Pompeo non paiono fare grossi distinguo tra Islam sunnita ed Islam sciita: si legga qui e qui.
Il nuovo "scontro di civiltà" ipotizzato può procedere passo passo fino ai limiti estremi? Questo è certamente possibile, ma è altrettanto possibile che la maggior parte delle sue minacce da donchisciotte impallidiscano alquanto alla prova dei fatti, a Washington o a Mosca che sia. Almeno l'Iran si mostra ottimista: Ali Larijani, intervistato da un canale televisivo cinese, ha detto di "avere tranquillamente fiducia nel fatto che i discorsi sull'Iran della campagna elettorale di Trump non si concretizzeranno". L'ex ambasciatore indiano Bhadrakumar nota che  "A Tehran dovrebbero comunque avere cognizione di causa. I discorsi della campagna elettorale di Ronald Reagan nel 1980, nel bel mezzo della crisi degli ostaggi, erano molto più minacciosi di quelli di Trump".
Sembra chiaro che le tradizionali alleanze statunitensi in Medio Oriente verranno riviste. Sia Flynn che Pompeo si sono espressi favorevolmente verso il leader egiziano Abdel Fattah al Sissi. Durante un suo discorso nel 2015 Pompeo ha detto: "Ho incontrato il Presidente al Sissi, e vi dirò una cosa: non è che da quelle parti si possano incontrare molti Thomas Jefferson. Una volta accettato questo... la linea da tracciare è quella che divide quanti stanno dalla parte dell'estremismo da quanti invece lo combattono, quale che sia la loro fede." Per le elezioni presidenziali i paesi del Golfo avevano ovviamente puntato tutti su Hillary Clinton; la loro parzialità non avrebbe potuto essere più sfacciata. Hanno sbagliato e ne pagheranno il prezzo probabilmente, ma non sono i soli. Anche alcuni paesi europei si sono mossi così male che si sono fatti sorprendere a cercare affannosamente un numero di telefono per raggiungere lo staff di Trump, ma solo dopo che era stato dichiarato l'esito del voto.
Anche gli europei sono divisi sulla progettata distensione di Trump nei confronti di Putin, e li preocuperà in modo particolare la prospettiva di una qualsiasi "guerra di civiltà" contro l'Islam radicale perché sono esposti a qualunque ritorsione. L'Europa tuttavia (si veda Fillon) ha già iniziato a passare dalla parte di Trump. Il fatto significativo è che gli europei hanno ricevuto una chiara spinta in quella direzione dal loro ex protettore, il signor Obama in persona: "Di recente Obama ha smesso di riferirsi agli Stati Uniti come 'alla nazione indispensabile' ed ha invece iniziato a parlarne come di 'una nazione indispensabile', facendo pensare che gli USA possano avere rapporti paritari con gli altri paesi. Mentre una volta derubricava la Russia a debole "potenza regionale", adesso ha profondamente rivisto questo giudizio. Adesso, secondo lo stesso Obama [che ha parlato a Berlino il 18 novembre 2016] "La Russia è un paese importante. Una superpotenza militare... che ha influenza in tutto il mondo. Perché possiamo risolvere molti gravi problemi in tutto il mondo, lavorare con la Russia ed ottenere la sua collaborazione è per noi una cosa importante."
Secondo Cohen, questo è il linguaggio classico della distensione. Nel contesto degli infuocati discorsi di Grillo, possiamo ben ricordare in conclusione Aspettando i barbari di Kavafis.
Che così inizia:


Che cosa stiamo aspettando, in assemblea nel foro?
Stanno per arrivare i barbari oggi.
Perché nel Senato non funziona niente?
Perché i Senatori vi siedono senza legiferare?
Perché oggi arrivano i barbari.
A che serve che i senatori facciano delle leggi?
Quando verranno, saranno i barbari a fare la legge.

...e così finisce:

Perché è scesa la notte e i barbari non arrivano.
E alcuni dei nostri sono tornati dalle frontiere dicendo
Che non ci sono più barbari.
E ora, che ci succederà senza i barbari?
Loro, bene o male, erano una soluzione.