Lo scorso settembre ho scritto che "lo Stato Islamico non ha fatto nulla per caso: le sue azioni riflettono una seria e deliberata pianificazione. Esiste una mappa delle pronosticate conquiste su cui sono segnati con cura tutti i pozzi di petrolio e che risale al 2006. La strategia che ha portato alla presa di Mossul è costata due anni di lavoro". Anche la terrificante immolazione in gabbia del tenente Muath al Kaseasbeh è stata condotta tenendo presente l'impatto emotivo che una morte di quel genere avrebbe avuto sui giordani e sull'Occidente. Si è trattato di qualcosa di molto deliberato, non di un atto di barbarie compiuto al momento. E' importante capire quello che si trova dietro ed al di là del fatto in se stesso.
Lo scorso anno citai un articolo dal libanese Al Akhbar e scrissi dell'esistenza di uno hadith (un detto attribuito al Profeta Muhammad) che afferma che "l'ora della resurrezione, lungamente attesa" non arriverà per i credenti se non dopo l'arrivo dei Bizantini ad al Amaq (la Turchia meridionale) o a Dabiq (una cittadina siriana a nord di Aleppo). Inoltre, presso vari gruppi religiosi mediorientali, cristiani compresi, è oggi diffusa la convinzione che questi segni che prefigurano l'arrivo dell'ora suprema siano evidenti in quanto accade oggi nel mondo. I seguaci dello Stato Islamico pensano che la citazione di Dabiq da parte del Profeta significhi che un grande scontro avverrà tra l'"Occidente crociato" e l'Islam, e che la dichiarazione del califfato da parte dello Stato Islamico abbia reso imminente la battaglia.
Secondo lo Stato Islamico i "Bizantini" indicano l'"Occidente crociato" di oggi ed i suoi accoliti. I combattenti dello Stato Islamico sostengono che questa epica "Guerra della Croce" inizierà con un attacco dei "crociati" contro lo Stato Islamico in Siria e che, alla fine, saranno le forze dell'Islam a prevalere come affermato dalla profezia; il redentore arriverà di conseguenza.
Lo Stato Islamico agisce sempre in maniera intenzionale
Lo Stato Islamico prende lo hadith alla lettera, come una profezia biblica di cui si spera la realizzazione letterale. Se questo accadrà, significherà per il mondo che lo Stato Islamico è davvero il califfato della fine dei tempi e che la redenzione del mondo, tanto a lungo attesa, è al suo inizio. Perché la profezia si realizzi, lo Stato Islamico ha bisogno che le forze crociate, ovvero gli ameriKKKani o comunque truppe della coalizione, si presentino sul terreno e che subiscano una sconfitta evidente, che costituirebbe la "prova" del fatto che lo Stato Islamico ha una guida divina. Lo Stato Islamico deve subire gli attacchi aerei della coalizione rimanendo in condizioni sufficientemente buone, in primo luogo per denunciare l'inefficacia degli attacchi, e poi per non lasciare all'Occidente altra scelta che quella di intervenire sul terreno. Nel 2006 Hezbollah si trincerò in modo analogo, scavando fino a quaranta metri sotto il livello del suolo, durante i bombardamenti sionisti nel Libano meridionale: usciva dalle trincee per continuare a lanciare missili contro lo stato sionista, fino a quando lo stato sionista non pensò che non esistesse alternativa all'impegnare l'esecito in un'invasione del Libano del sud per mettere fine agli attacchi. Allo stato sionista, l'invio di truppe di terra costò perdite pesanti ed inevitabili.
La recente richiesta dal Presidente Obama al Congresso di consentire un utilizzo limitato di forze di terra in Iraq o in Siria indica che la strategia dello Stato Islamico ha conseguito un almeno parziale successo. L'aver fatto della morte del pilota giordano una accurata messa in scena da film dell'orrore aveva esattamente lo scopo di suscitare questa reazione.
Fin dal momento in cui ha iniziato con queste provocazioni deliberate, lo Stato Islamico si è mostrato sicuro del fatto che gli attacchi aerei statunitensi non avrebbero portato alla sua sconfitta, anzi. Fino ad oggi gli eventi gli hanno dato ragione. Intervistate da Al Akhbar, alcune fonti dello Stato Islamico "parlano di una strategia di resistenza che i Crociati non hanno la capacità di mettere in atto [e sostengono che] il fatto che lo Stato Islamico continui ad esistere e che regga agli attacchi [aerei] sono sicure attestazioni della sua vittoria". Secondo Al Akhbar "la maggior parte degli appartenenti allo Stato Islamico" condivide questa opinione. Al Akhbar scrive che "Tutti pensano che resistere ad un'alleanza di quaranta paesi senza venirne schiacciati, resistere al resto del mondo, significa che una potenza divina si trova a loro fianco".
Perché colpire la Giordania?
Lo Stato Islamico non soltanto è riuscito a spingere il Presidente Obama ad inviare truppe di terra, ma uccidendo il pilota giordano ha provocato la Giordania, che lo ha attaccato confermando la concezione che lo Stato Islamico ne ha: la Giordania come poco più che la prima linea dell'areale dei Crociati, e di fatto stato crociato anch'essa. Inoltre, influenti editorialisti della stampa saudita stanno facendo pressione perché si arrivi "a quanto si è deciso [probabilmente] lontano dal pubblico: un'operazione militare giordana [di terra] contro lo Stato Islamico in territorio siriano". Se si arrivasse a questo, molti musulmani vedrebbero ai loro occhi confermata la profezia di Dabiq. Esiste anche un'altra ragione per provocare la Giordania: il suo essere esposta alla polarizzazione dell'opinione pubblica e ai disordini. Lo Stato Islamico fin dal suo nome vero di "Stato Islamico in As Sham", o "Grande Siria", indica di considerare la Giordania come un territorio che fa parte del califfato. Originariamente, la Giordania era parte dello As Sham.
Nello Stato Islamico i cittadini giordani sono terzi per numerosità, probabilmente superano i tremila combattenti. Le radici dello Stato Islamico sono piantate nei disastrati sobborghi industriali di Amman da molto prima che scoppiasse la guerra in Iraq; da quegli stessi sobborghi proveniva Abu Musab al Zarqawi, il cui cognome viene dalla zona più povera di Amman, la Zarqa in cui sono stati ammassati i diseredati provenienti dalle campagne. E' cosa nota che i giordani sono la maggioranza nel Fronte al Nusra. Nel primo numero di Dabiq, la rivista dello Stato Islamico, si legge che proprio al Zarqawi ha preparato la strada allo Stato Islamico. L'attuale "califfo", Abu Bakr al Baghdadi, ha ripreso le sue idee sulla costruzione dello "Stato Islamico" proprio da al Zarqawi, oltre che da quell'Abu Omar al Baghdadi che è stato suo predecessore.
La granguignolesca morte di al Kaseasbeh fa parte della nota strategia rivoluzionaria della polarizzazione: si oltraggia il potere costituito e lo si costringe ad una reazione smodata contro i simpatizzanti dello Stato Islamico, che in Giordania non mancano. A quel punto, quelli che erano solo dei simpatizzanti cambiano volto, e diventano degli insorti veri e propri. In altre parole, in Giordania lo Stato Islamico ha appena acceso il fronte interno.
Esiste anche un'altra dimensione fondamentale, al di là dell'incendiare la Giordania e del considerarla estensione del proprio teatro di guerra; una dimensione che ha sempre fatto parte della strategia dello Stato Islamico.
Ci sono molte differenze tra lo Stato Islamico ed al Qaeda, soprattutto per quanto riguarda le priorità nel conflitto. Il principio seguito dai combattenti dello Stato Islamico afferma che "combattere gli apostati vicini è più importante che combattere gli infedeli lontani [come lo stato sionista o l'Occidente]". Di conseguenza, sconfiggere gli "apostati" in Giordania avvicina lo Stato Islamico al momento in cui potrà confrontarsi con gli "infedeli lontani".
Al Qaeda si comportava invece in modo opposto. Per giustificare il proprio comportamento, i capi dello Stato Islamico invocano la "guerra all'apostasia" del 632-633, intrapresa dal califfo Abu Bekr contro quei musulmani che avevano abiurato il proprio credo dopo la morte del Profeta Muhammad, ed anche contro chi criticava il califfato o vi si opponeva.
Detto altrimenti, molti wahabiti, compresi quelli dello Stato Islamico, "credono che gli sciiti siano più pericolosi degli ebrei". E questo spiega come mai alcuni jihadisti sarebbero propensi a cooperare con lo stato sionista, anche se la cosa non uscirebbe dai ranghi dell'espediente temporaneo, e perché lo stato sionista sarebbe propenso a cooperare con certi jihadisti.
E nella visione dello Stato Islamico proprio di espediente temporaneo si tratta. Secondo Radwan Mortada di Al Akhbar, "sostanzialmente essi credono che liberare la Palestina senza prima aver stabilito il califfato nei paesi confinanti non abbia importanza. Fonti collegate allo Stato Islamico hanno riferito ad Al Akhbar che "la guerra finale che porterà alla liberazione della Palestina sarà condotta dal califfato e preceduta dalla sua instaurazione in [as Sham]", sulla base delle affermazioni che esse attribuiscono al Profeta Muhammad. Le stesse fonti hanno aggiunto che "solo Allah sa quanto i soldati del califfato siano impazienti di bruciare le tappe necessarie e di arrivare a combattere gli ebrei in Palestina, ma colui che commette qualche azzardo prima che il tempo sia venuto, viene punito vedendosi negato l'obiettivo".
Nello stesso articolo, Mortada sottolinea quello che un altro jihadista afferma:
"Nessuno può muovere guerra allo stato sionista, tranne coloro che vi confinano [direttamente]". Lo jihadista aggiunge poi, sarcastico: "Certo, i mujaheddin non saranno in grado di bombardare lo stato sionista dal cielo.... lo Stato Islamico è ancora lontano dai confini sionisti, ma se arriva in Giordania e nella Siria meridionale (il Golan e Quneitra) le cose cambieranno".
Lo stato sionista, le implicazioni regionali su più vasta scala
Ed ecco il secondo piano che occorre considerare per l'immolazione del pilota giordano: la strategia mira ad includere la Giordania nel califfato.
Su un primo livello, con l'atto in sé è iniziata la destabilizzazione della Giordania. A livello politico, con questa azione lo Stato Islamico inasprisce ed aggrava le contraddizioni politiche implicite nella linea adottata dalla Giordania.
Da una parte -ed è la cosa più ovvia, almeno a prima vista- la Giordania va dicendo di aver fatto il possibile per tenersi fuori dal conflitto in corso in Siria. La Siria è un vicino ingombrante e la sua lunga memoria non perdonerà e non dimenticherà eventuali azioni ostili compiute nel corso della guerra; inoltre, gli stessi vertici dello stato giordano in passato hanno potuto constatare che il loro paese è tutt'altro che invulnerabile nei confronti del radicalismo islamico acceso.
Dall'altra parte invece la Giordania è stata, ed è a tutt'oggi, precaria dal punto di vista finanziario; ha dovuto cercare assistenza in Arabia Saudita e negli Stati Uniti; sotto il peso della necessità la Giordania è rimasta coinvolta nell'alleanza tra Stati Uniti, Arabia Saudita e stato sionista; ha partecipato ad un comando congiunto controllando, per esempio, la pressione esercitata dal fronte dell'opposizione jihadista nel sud della siria, dove ufficialmente opera Jaish al Islam, un gruppo jihadista salafita legato all'Arabia Saudita, che si suppone "moderato" e che agisce di concerto con Jabhat an Nusra, il braccio ufficiale di al Qaeda in Siria agevolato dallo stato sionista. Non ci sono moltre prove del fatto che re Abdullah abbia opposto resistenza a queste pressioni; piuttosto, ce ne sono del contrario. Dopo l'orribile uccisione di al Kaseasbeh, come nota Joshua Keating dello Slate's, "gli USA desiderano davvero che i giordani si vendichino per l'assassinio del loro pilota" nei confronti dello Stato Islamico in Iraq e in Siria, ed offrono un "nuovo piano di aiuti da un miliardo di dollari" come "ulteriore incentivo".
Questa linea presenta delle contraddizioni evidenti: la Giordania non può permettersi di inimicarsi a morte il governo siriano, ma nonostante questo è rimasta sempre più impelagata a fianco di sauditi e sionisti, cosa che ha compreso anche l'aiutare an Nusra. Stato sionista e Giordania, nel triangolo formato nel punto in cui si incontrano le loro frontiere, hanno fornito aiuto ad an Nusra ed ai combattenti di Jaish al Islam, coprendoli anche con razzi e artiglieria. Arabia Saudita e stato sionista stanno ancora cercando di assestare a Damasco qualche brutto colpo: per lo stato sionista, l'alleanza strategica con l'Arabia Saudita passa sopra qualsiasi altra considerazione.
In effetti, ora la Giordania è in guerra contro lo Stato Islamico, mentre continua ad aiutare migliaia di jihadisti salafiti, compresi quelli di al Qaeda che militano in an Nusra. Per qualcuno, l'entrata in guerra della Giordania potrebbe fare da catalizzatore e convincere altri paesi arabi a fare lo stesso; è invece probabile che lo Stato Islamico sia davvero riuscito a far detonare le contraddizioni interne al paese, e ad accendere la miccia della polarizzazione. La coalizione potrebbe trovarsi ad incoraggiare la Giordania ad intraprendere un cammino che potrebbe portare alla mobilitazione di un'insurrezione jihadista contro la monarchia, e portare lo Stato Islamico a ridosso delle frontiere sioniste.
Un sistema per farsi un'idea più generale è vedere in che modo la combinazione di due fenomeni piuttosto diversi e tra loro separati ha gettato tutta la regione dal sud del fiume Litani nel Libano meridionale fino al Golan e a Quneitra e poi fino alla Giordania e al Mar Rosso in condizioni di potenziali disordini e scontri. L'uccisione di un generale iraniano e di vari esponenti di Hezbollah da parte dello stato sionista ha cambiato la situazione nel nord: Hezbollah ha affermato che le "regole di ingaggio" con lo stato sionista, che fino ad oggi avevano limitato l'aspetto militare del loro attrito a ben determinate risposte entro i limiti del Libano meridionale, non sono più valide. Con l'assassinio commesso in Siria, lo stato sionista ha di fatto aperto un nuovo fronte che va dal Libano del sud fino al Golan occupato. Il segretario generale di Hezbollah Seyyed Hassan Nasrallah lo ha annunciato in un discorso in cui ha detto che il lungo intervallo in cui i problemi della regione erano tanto gravi da non lasciare tempo per pensare allo stato sionista è finito, e che lo stato sionista è di nuovo tra gli obiettivi.
Arabia Saudita e stato sionista portano gran parte della responsabilità di aver spinto la Giordania in guerra contro lo Stato Islamico; colpa delle loro pressioni, e dell'aver sempre più invischiato il regno ai loro tentativi di rovesciare il governo del suo vicino siriano. Il risultato ottenuto è dato dalle conseguenze impreviste di tutte queste iniziative: una vasta area del Medio Oriente, un'area che confina con lo stato sionista, viene considerata utile sia a consolidare il califfato in as Sham sia come base di partenza per un successivo attacco allo stato sionista. Proprio quello che i leader dello Stato Islamico volevano.