Traduzione da Conflicts Forum.
E' un'estate di rabbia quella che ci attende? Parrebbe di sì. La situazione geopolitica e strategica si mette al brutto, con tensioni che si inaspriscono e arrivano al limite di sicurezza su vari fronti. L'imprevedibilità della volatile e caotica crisi in Ucraina continuerà ad essere il fattore scatenante di un eventuale confronto tra Stati Uniti e Russia; sarebbe un conflitto "non voluto ed inutile", come il Primo Ministro russo Dimitri Medvedev ha notato con amarezza, da filoatlantista convinto.
L'AmeriKKKa vuole isolare e sanzionare la Russia e al tempo stesso sta mostrando ostilità passiva nei confronti della Repubblica Popolare Cinese; funzionari di quel paese sono stati accusati, fra le altre cose, di crimini informatici. Tutto questo alla fine ha fatto sì che Putin si rivolgesse strategicamente verso la Cina. Nonostante l'aprioristico scetticismo occidentale, sembra che le vicende di un'Ucraina in bancarotta, che di per sé sarebbero anche irrilevanti, si riveleranno la goccia che fa traboccare il vaso dell'ordine mondiale postbellico. D'un colpo solo potrebbero portare ad un asse Russia - Cina, ad un'alleanza che si oppone al monopolio statunitense sull'ordine mondiale e sul sistema finanziario; sarebbe la fine per le triangolazioni statunitensi con cui l'AmeriKKKa è stata in grado di mettere una potenza contro l'altra.
L'enorme contratto in materia di gas naturale siglato tra Russia e Cina non cambierà la situazione dell'energia in Europa; il gas per la Cina arriva per lo più dalla Russia orientale, mentre quello destinato all'Europa proviene dalle regioni occidentali del paese. Ad essere significativo per l'Europa è piuttosto il tipo di valuta utilizzata per i contratti, e se la Russia intenda o meno collegare il proprio nuovo ed ipotetico sistema di accordi finanziari al sistema cinese Union Pay che è già in essere. Il secondo istituto bancario della Federazione Russa ha già siglato un accordo con la Bank of China che comporta l'aggiramento del sistema internazionale oggi vigente. Il contratto sul gas stretto da Cina e Russia sembra concretizzare la volontà dei due paesi di allontanarsi da un sistema finanziario dominato dagli Stati Uniti; se così fosse, la portata delle implicazioni sarebe molto vasta.
Il Presidente Obama ha l'istinto e l'intelligenza necessarie ad avvertire il surriscaldamento dell'ordine geopolitico oggi dominante e comprende meglio di molti altri i rischi che questo comporta; il problema è che politicamente si trova sulla difensiva, a causa delle forti pressioni che subisce in patria. Di conseguenza deve mostrare ossequio verso la mitizzata vittoria ameriKKKana nella Guerra Fredda, e lo deve fare a fronte del fatto che le contromisure russe in Crimea ed in Ucraina hanno suscitato negli Stati Uniti reazioni emotivamente forti.
Scrivendo sulla più specifica questione dei negoziati con la Repubblica Islamica dell'Iran, Trita Parsi sottolinea fin dall'inizio che "in quello che è probabilmente il costrutto mitologico centrale della Guerra Fredda, il Presidente John F. Kennedy si dice abbia rimesso al suo posto Nikita Khruschev durante la crisi dei missili a Cuba e che abbia rifiutato di cedere di un millimetro... costringendolo alla resa... [Nella visione ameriKKKana dei fatti] Khruschev cedette tutto, e Kennedy non cedette niente. In realtà, ovviamente, Kennedy arrivò ad un compromesso. Gli Stati Uniti poterono evitare un confronto nucleare con l'Unione Sovietica soltanto ritirando senza tanto chiasso i loro missili Jupiter dalla Turchia". La concessione fatta da Kennedy rimase segreta per decenni e al momento in cui fu resa nota il mito era diventato così forte e così imponente che la verità non poteva certo scalfirlo. Secondo Leslie Gelb del Council for Foreign Relation "questa falsità è diventata il sottinteso della prassi abituale degli Stati Uniti d'AmeriKKKa da quel momento in poi: non si fanno compromessi, si mettono gli avversari con le spalle al muro e li si costringe alla resa". Obama ed altri miscredenti come Dempsey possono anche prendere in considerazione una visione più sfumata delle potenzialità ameriKKKane, ma dal punto di vista politico sono per forza prigionieri di questa pervasiva mitologia.
Il popolo russo ha di questa fondamentale crisi dei missili a Cuba una visione tutta sua, e molto differente. I russi non credono affatto che l'URSS abbia capitolato, né all'epoca della crisi dei missili né in altre occasioni in tutto il tempo che è durata la Guerra Fredda. La maggior parte dei russi non crede di esser stata battuta dai superiori meriti dell'AmeriKKKa e del suo modello sociale (si veda questo nostro commento). Come nel primo dopoguerra i tedeschi incolparono di tutto gli accordi di Versailles, così i russi provano risentimento verso la situazione venutasi a creare dopo la Guerra Fredda e verso il fatto di esser stati trattati come un popolo sconfitto.
L'esperto francese Philippe Grasset ha correttamente notato che con i dovuti distinguo la stessa cosa si può dire della Cina. Secondo la sua opinione in Cina "si vive la sensazione di dover affrontare tensioni antagonistiche cui non è possibile resistere, e che né la Cina né la Russia siano in possesso di qualche soluzione che possa mitigarne gli effetti. Sa Iddio se cinesi e russi non farebbero di tutto pur di evitare il confronto. Ma nulla, assolutamente nulla pare aiutarli in questo".
Pare che le minacce che la Russia deve affrontare oggi abbiano spinto all'azione entrambi i paesi: da una parte siamo arrivati all'accordo trentennale sul gas, tante volte rinviato; dall'altra parte abbiamo il generale Fang, che in maniera del tutto inusuale per un funzionario cinese (per giunta spesso ospite a Washington) parla fuori dai denti per condannare il coinvolgimento statunitense nella mediazione sulle dispute territoriali nel Mar Cinese meridionale, dicendo con fermezza a Washington "Noi [cinesi] non combiniamo guai. Non siamo noi a crearne. Ma se del caso, non ci fanno neanche paura". Tutto questo ha indotto Forbes a citare alcune altre analisi condotte da fonti ben informate, e a scrivere che "Sta nascendo un'alleanza tra Russia e Cina; per l'Occidente sarà un disastro".
"Negli ultimi due decenni i liberali russi non hanno fatto che ripetere ai loro interlocutori occidentali che fare troppe pressioni sulla Russia o ignorare i suoi interessi vitali avrebbero spinto Mosca a stringere maggiormente le proprie relazioni con la Cina", scrive Dimitri Trenin, direttore del Carnegie Moscow Center, aggiungendo la constatazione che tutti questi avvertimenti sono stati ignorati. "[Adesso] alle prese con le pressioni geopolitiche a guida statunitense in Europa Orienale e nell'est asiatico, è probabile che Russia e Cina finiranno per cooperare ancora più strettamente... a trarne benefici sarà la Cina, ma anche la Russia avrà la possibilità di sottrarsi alla pressione geopolitica statunitense, compensare il mutato orientamento energetico europeo, sviluppare la Siberia e l'Estremo Oriente russo e costruire legami con la regione Asia-Pacifico. I liberali russi che sono sopravvissuti agli anni Novanta [i filoatlantisti] si faranno le ultime risate prima di declinare definitivamente."
I legami con la situazione in Medio Oriente stanno proprio qui, nelle ultime amare risate dei liberali in via di estinzione. Anche in Medio Oriente infatti l'estate si annuncia lunga. E calda. L'amministrazione statunitense consentirà l'invio in Siria di ancora più armi, anche se non crede che in questo modo raggiungerà l'obiettivo che si era prefissa, ovvero la sconfitta dei ribelli jihadisti takfiri. Il trovare una soluzione purchessia alla crisi siriana nel suo complesso è argomento di cui negli USA non si parla neanche più. E destinare altre armi a quel teatro è tutto quello che si intende fare per spuntare un po' le critiche di chi, dal fronte interno, accusa l'AmeriKKKa di essersi mostrata debole con la Siria. Questa "debolezza" mal si accorda con il mito dei tempi della Guerra Fredda, con l'AmeriKKKa che "pretendeva ed otteneva".
La corretta comprensione della situazione da parte delle alte sfere si riflette invece con maggiore chiarezza nell'impegno che essa dedica a quella che adesso è una priorità collaterale: far sì che l'esercito e le istituzioni siriane rimangano intatte e funzionanti. Questo ci fa capire che i responsabili della linea politica statunitense sono dell'idea che solo l'Esercito Arabo Siriano possa sconfiggere gli jihadisti -cosa che sta effettivamente succedendo- e che mandare altre armi ai "moderati" serve soltanto ai fini della manfrina politica, nonostante la spettacolosa quantità di sofferenze autentiche che esse potranno causare al popolo siriano. I "moderati" della Siria avranno avuto tutte le ragioni di comportarsi con sempre maggiore cinismo, prima di esser fatti sparire come "perdite collaterali" all'interno del nuovo e più grande piano messo in piedi dagli USA per sconfiggere gli jihadisti.
Nel caso dei negoziati tra Iran e "cinque più uno" ci sono alcune similitudini con l'atteggiamento che Russia e Cina hanno adottato per affrontare la "prassi abituale" degli Stati Uniti, ma anche alcune differenze. Anche qui la maggior parte delle cose fa pensare all'approssimarsi di un'estate di rabbia, ed anche qui è verosimile che si arrivi ad un riallineamento strategico; anzi, ci sono riallineamenti già in atto, a volerla dire tutta. In Iran si pensa in linea generale che quanto più a lungo dureranno le tensioni in Ucraina, tanto più la crisi si rivelerà un vantaggio per l'Iran e per i suoi interessi.
A Washington, invece, in tanti invece leggono i fatti in modo opposto. Ed è anche ovvio. La crisi in Ucraina, ovvero l'isolamento della Russia, costituisce per l'Occidente l'occasione per allontanare l'Iran dall'orbita russa e quindi per ampliare e approfondire la condizione di "isolamento" della Russia.
Questo "isolamento" della Russia, dato per scontato, è più un desiderio che un dato di fatto; la concezione sbagliata che lo sottende, e che vede nell'Ucraina una "opportunità" di influire geostrategicamente sull'Iran rappresenta un'altra mina destinata a deflagrare in estate.
Quello che valeva per la Russia, nel mito in cui Khrushev capitolava senza alcuna contropartita, oggi vale per l'Iran. Come scrive Parsi, "al giorno d'oggi è stata messa in cantiere l'edificazione di un altro mito altrettanto distruttivo". Questo mito afferma che la morsa delle sanzioni ha messo in ginocchio l'Iran costringendolo ad accorrere al tavolo dei negoziati per mendicare un po' di misericordia. In questa narrativa i progressi compiuti nei colloqui sul nucleare vengono attribuiti alle pressioni economiche senza precedenti esercitate dall'amministrazione Obama, che di fatto hanno espulso l'Iran dal sistema finanziario internazionale. Come JFK prima di lui, Obama con l'Iran non è sceso a compromessi. Ed ecco nuovamente soddisfatto il mito [che caratterizza la prassi ameriKKKana]". Lo scritto di Parsi prosegue spiegando per esteso come mai il mito delle sanzioni che avrebbero costretto l'Iran alla trattativa è privo di fondamento.
La narrativa ameriKKKana non intende nulla che non sia l'aver "costretto alla resa" i politici iraniani, e aver ridotto gli iraniani al rango di "popolo sconfitto". E forse su questo punto è stata aiutata da certi iraniani in buona fede, che magari volevano rendersi utili ma che hanno finito per provocare in ultima analisi il fallimento dei colloqui ed anche della politica che volevano portare avanti.
Esiste una visione dei fatti portata avanti dai liberali iraniani, che ha avuto vasta eco negli Stati Uniti e soprattutto in Europa. Secondo questa prospettiva, a dispetto delle frodi elettorali subite nel 2009 il campo riformista sarebbe stato in grado di realizzare un nutrito ritorno sulla scena soprattutto grazie ad un inatteso colpo di fortuna. I conservatori si sarebbero impegnati in massa in un "voto strategico" malamente congegnato, una strategia di voti incrociati che avrebbe finito per ritorcersi contro di loro. In altre parole, i riformisti vengono presentati come "verdi", filooccidentali, pragmatici in campo economico... gente con cui l'Occidente deve per forza arrivare ad un accordo. A loro stesso modo di vedere è l'Occidente ad avere interesse ad accordarsi, perché un negoziato sul nucleare coronato da successo permetterebbe ai filoatlantisti di prendere il potere a Tehran e di rimanere insediati per una decina d'anni o giù di lì.
A dir la verità molti di quelli che avanzano simili pretese e che hanno di sicuro entrature a Tehran sono in buona fede, e credono che comportarsi secondo questa linea permetterà all'Iran di stringere quegli accordi che in ultimo porteranno alla fine delle sanzioni, e permetteranno a loro e ai loro colleghi di adottare stili di vita migliori e più cosmopoliti. Ma i difetti di questa narrativa sono evidenti: i dati su cui essa fa affidamento per difendere la propria tesi di una "riscossa strategica dei riformisti" (i sondaggi dell'Università di Tehran) arrivano dallo stesso affidabile istituto di sondaggistica che aveva a suo tempo dimostrato che Ahmadinejad aveva vinto le elezioni a buon diritto e senza frodi.
Soprattutto, cosa ben più grave, questa narrativa sta in piedi perché polarizza a forza la politica iraniana in due campi contrapposti, confondendo i Verdi (gravemente screditati dopo il 2009) con i Riformisti. I Riformisti di oggi, per la maggior parte, non sono Verdi. I Riformisti comprendono uno spettro molto più ampio di orientamenti politici e di correnti diverse, e non sono affatto di inclinazione filoatlantista, come potrebbe suggerire la visione dei fatti che considera Rohani come il frutto del "compimento del percorso iniziato nel 2009". In concreto gli stessi sondaggi che si usano per mostrare la vittoria di Rohani sui conservatori mostrano anche -in modo più significativo- il suo ottenere sostegno dai Principalisti, in misura sempre più ampia man mano che la data delle elezioni si avvicinava. Il Presidente Rohani non è un riformista; ha ottenuto un sincero ed ampio sostegno da ogni parte. L'affermazione che la sua ascesa nasce dall'operato della dissidenza verde del 2009 come se ne fosse una conseguenza ha alla base un'idea troppo polarizzata delle forze politiche in campo, rischia di causare mala informazione, e dunque di suscitare mal riposta fiducia. Gli osservatori ben informati possono notare per conto proprio che il governo attualmente in carica in Iran non nasce dal movimento Verde: sostenerlo significa soltanto esacerbare i sospetti di doppiezza.
La narrativa "liberale", in poche parole, è quella del "per favore, aiutateci ad aiutarvi"; proprio come quella che Al Fatah ha usato per tanto tempo con i sionisti. A preoccupare maggiormente dovrebbe essere il fatto che a dispetto delle buone intenzioni che la animano essa finisce col dare agli interlocutori occidentali l'impressione che i negoziatori iraniani stiano disperatamente cercando di arrivare ad uno straccio di accordo. Il pericolo in questo caso sta nel mito che sostiene che "aver messo gli iraniani con le spalle al muro" fino a costringerli a negoziare possa trarre ulteriore vantaggio dal considerarli deboli e disperati. Da questo punto di vista non c'è da meravigliarsi del fatto che gli ameriKKKani stiano irrigidendo le loro posizioni. In realtà è più facile che ulteriore intransigenza verso l'Iran si riveli un segno di debolezza più di quanto non lo sarebbe qualche "comprensiva" concessione da parte degli Stati Uniti. In questo modo, la questione del "non consentire all'Iran di raggiungere in breve tempo la potenzialità di fabbricare un ordigno nucleare" cambierà gradatamente, come sostengono al New York Times, fino a diventare una posizione in cui si concede all'Iran solo un arricchimento di portata simbolica, sufficiente perché i negoziatori possano accampare il (falso) merito di aver tutelato il diritto dell'Iran all'energia nucleare, ma non sufficiente a far sì che la produzione energetica corrisponda alle necessità del sistema industriale del paese.
Tutto questo non funzionerà, punto e basta. Non porterà ad una soluzione perché tutto questo è incompatibile con l'arricchimento su scala industriale di cui l'Iran ha bisogno per la produzione di elettricità, dunque i colloqui non falliranno perché ci sono i conservatori che si oppongono per principio a qualsiasi negoziato con gli USA. Chi si oppone ai negoziati in corso non rifiuta di principio le trattative con l'AmeriKKKa, ma rifiuta di trattare sulla base dei termini e dell'orientamento di fondo che i colloqui hanno avuto fino ad oggi (cfr. qui).
Da questa ricostruzione manca un elemento. La cosa non stupisce, perché esso resta nascosto dalla visione che abbiamo analizzato nei dettagli. Come i russi che invocavano migliori relazioni con l'AmeriKKKa e l'Europa hanno visto man mano mancarsi la terra sotto i piedi, fino a trovarsi ai margini della scena politica russa con il trascorrere degli anni, anche in Iran (e in Cina) qualcosa di paragonabile sta spingendo gli iraniani in generale a vedere di buon occhio il fatto di avere legami strategici più stretti con la Russia e con la Cina. Comune ai tre paesi è l'incapacità di trovare il modo di evitare di fare da bersaglio ad un'AmeriKKKa che sta tentando senza soste di riattualizzare i miti della Guerra Fredda, man mano che diventa sempre più chiaro come i filoatlantisti e i liberali stiano venendo indeboliti e marginalizzati in tutto il mondo non occidentale e nella stessa Russia.
Ai russi non interessa più coltivare migliori rapporti con gli Stati Uniti. Ecco per quale motivo la maggior parte degli iraniani pensa che la situazione in Ucraina torni favorevole ai loro interessi: sanno che le conseguenze di questa crisi si tradurranno in un più solido sostegno ed in legami strategici più stretti con la Russia e con la Cina. Esiste già qualche segnale che indica come gli eventi stiano già spingendo Russia e Cina a sostenere in misura maggiore l'Iran e le sue posizioni: RIA Novosti ad esempio scrive che in Russia si ha in progetto la costruzione di altri otto reattori nucleari in Iran.
E se i colloqui dovessero fallire, sarà l'Iran ad esserne incolpato? Le sanzioni rimarranno in vigore così come sono? La risposta, quasi certa, è "no" in entrambi i casi anche se ovviamente Stati Uniti ed Europa incolperanno l'Iran di tutto. In ogni caso, un completo fallimento dei colloqui influenzerà profondamente l'atteggiamento del Medio Oriente nei confronti dell'AmeriKKKa e del "cinque più uno" e contribuirà ad ancorare l'Iran, la Siria ed anche altri paesi a qualunque polo emergente che sia in grado di guidare la lotta contro l'unipolarismo AmeriKKKano che sta cercando di ripetere all'infinito i miti della Guerra Fredda.
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