Traduzione da Conflicts Forum.
E' "una prospettiva sconfortante" -scrive Yezid Sayigh del Carnegie Middle East Centre- "ma i tempi in cui Assad avrebbe potuto essere sconfitto da un'opposizione guidata da autentici incapaci e da un movimento ribelle frammentato sono finiti". Quello di Sayigh è uno scritto ponderato e anche se il suo essere schierato con l'opposizione emerge dai toni sconfortati che lo permeano, il suo autore resta uno degli analisti della situazione in Siria più consapevoli e strategicamente attendibili; il pensiero del mainstream occidentale sulla Siria ha in lui un'avanguardia. Per qualcuno di quelli che hanno fatto proprie queste posizioni suonerà ancora più perentoria e senza compromessi la sua affermazione secondo la quale "in realtà il processo di Ginevra è ormai lettera morta".
Nella sua opera iconoclastica, Sayigh si spinge anche oltre: arriva a demolire il mantra del mainstream che assicura che senza Ginevra la Siria sarebbe condannata a rimanere senza rimedio "ostaggio di uno stallo militare". "Il conflitto entra nel suo quarto anno e la situazione sul terreno è tutt'altro che statica", afferma Sayigh respingendo lo shibboleth dello stallo. Sottolinea come secondo ogni evidenza gli Stati Uniti non aumenteranno significativamente il livello del loro impegno militare e come l'Arabia Saudita non possa farlo perché impedita in questo sia dal no della Giordania per una escalation militare che coinvolga il suo territorio, sia dall'inisistenza con cui gli ameriKKKani impongono limiti alle forniture di armi. "A tre anni di distanza dal giorno in cui l'Esercito Arabo Siriano è stato chiamato a sedare l'insurrezione popolare nel paese", scrive Sayigh in un altro articolo, "il suo superiore addestramento, la sua organizzazione ed il suo potere di fuoco hanno iniziato a tradursi in un vantaggio decisivo. Il governo ha consolidato le proprie posizioni al nord, e si trova in una buona posizione per parare l'offensiva dei ribielli da sud".
Sayigh prosegue: "Come ha affermato John Brennan, direttore della CIA statunitense nel corso di una conferenza pubblica a marzo 2014, 'La Siria dispone di un vero e proprio esercito' che costituisce 'una grande forza armata convenzionale dotata di un temibile potere di fuoco'. Esso trae significativi vantaggi tanto dall'appoggio di esperti iraniani e russi e dal nuovo adestramento alla guerra in ambiente urbano quanto dall'apporto di combattenti non siriani, soprattutto dallo Hezbollah libanese, dalle milizie sciite irachene, dai Pasdaran iraniani e da volontari di altra provenienza. Non sta solo resistendo, anzi". "Se le cose vanno avanti così, e ci sono davvero pochi motivi per pensare che non andrà in questo modo- le forze governative avranno il sopravvento e conseguiranno il controllo effettivo di una massa critica del paese per la fine del 2015, se non prima".
L'affermazione di Brennan è in qualche modo asciutta e di tipo tecnico, e la cosa non deve sorprendere. Sia Brennan che Sayigh ci stanno in buona sostanza dicendo che la Siria è il punto cruciale in cui è in atto una prova di forza tra due visioni del futuro inconciliabili tra loro, non solo sul futuro della Siria, ma sul futuro di tutto il Medio Oriente. Una è rappresentata dal mondo approssimativo, dogmatico ed intollerante degli jihadisti e dei loro mèntori, l'altra è la concezione di un Medio Oriente pluralista, meno grossolana, non settaria e maggiormente tollerante. Sayigh e Brennan indicano, ciascuno a suo modo, che nella prova di forza ancora in corso è questa seconda concezione che oggi come oggi sta avendo la meglio. Si tratta di una cosa molto significativa per il Medio Oriente nella sua interezza, ma la politica potrà farlo proprio soltanto quando il risultato dello scontro si consoliderà, e non prima di quel momento.
Sayigh chiude scrivendo che intanto che i cosiddetti "Amici della Siria" continuano ad invocare una soluzione internazionale, anche in Occidente si vede chiaramente che non ci sono sbocchi per il processo di Ginevra così come è stato concepito. Il Presidente Assad resterà al suo posto, a controllare qualsiasi processo di transizione, e il fatto triste è che possono volerci degli anni prima che possa consolidarsi una autentica opposizione. Sayigh pensa che è possibile che una nuova opposizione "non possa concretizzarsi fino a quando l'opposizione politica oggi esistente e la ribellione armata non avranno perso la battaglia" [il corsivo è nostro, N.d.A.]. Comunque, l'idea di Sayigh di uno spazio politico vuoto, che dovrebbe sorgere in Siria come inevitabile risultato del fallimento di Ginevra è forse frutto di un punto di vista troppo polarizzato. Dalla definitiva cristallizzazione dei risultati della epocale prova di forza oggi in atto emergerà una politica tutta nuova, e questo emergere è già iniziato, come spieghiamo nelle righe che seguono.
Quello di Sayigh è uno dei possibili punti di vista sulla realtà, ma ha il difetto di essere, in una certa misura, uno sguardo dall'esterno, uno sguardo della diaspora in esilio e condiviso dalla maggior parte degli esperti dei think tank. Lo si potrebbe riassumere nell'espressione "niente Ginevra, niente ruolo di primo piano per l'opposizione in esilio, allora non esiste soluzione". Esiste un altra realtà a cui Sayigh non fa alcun riferimento salvo derubricarla a "pacificazione con la forza". Ed è tutta un'altra questione: è una storia interna alla Siria, in cui i toni predominanti non sono quelli dello sconforto. In Siria è in atto un processo dinamico di riconciliazione che sta suscitando molto interesse all'interno del paese; un interesse che coinvolge anche alcuni gruppi armati. La maggior parte dei siriani, tra cui c'è chi aderisce alle istanze dell'opposizione in esilio e chi no, ha smesso di credere a quanto previsto da Ginevra dopo aver sentito quello che si diceva a Ginevra II. Non pochi siriani si sono fatti l'idea che all'Occidente non interessa arrivare ad una soluzione politica per il bene del paese, e che gli occidentali vogliono solo che Assad se ne vada; più in là non ci arrivano. Ogni potere esecutivo dovrebbe andare in mano agli esiliati del Consiglio Nazionale Siriano tenuti a balia dall'Occidente, che in tutti gli ambienti in Siria hanno un sostegno trascurabile, ammesso e non concesso che ce l'abbiano.
I mass media occidentali e i think tank d'Occidente fanno poca attenzione a questa realtà, perché essa non tiene conto né di Ginevra né della "Coalizione Nazionale Siriana": si tratta di qualche cosa di assolutamente contrario a quel consenso generale per una fine del conflitto orchestrata a livello internazionale che in Occidente si dà per scontato. Tuttavia, se Sayigh ha ragione a dire che alcuni diplomatici occidentali scorgono già la parola fine per il processo di Ginevra, è probabile che abbiano iniziato ad accorgersi che dal punto di vista militare, politico e sociale la Siria sta scivolando sempre più velocemente verso un nuovo equilibrio; una dinamica interna che forse sarebbe il caso di considerare in futuro con maggiore serietà.
Il processo di riconciliazione non è stato intrapreso dalla politica ufficiale. Esso è nato spontaneamente, dal basso e dai siriani qualsiasi, che hanno scoperto di essere degli "attori sociali" di primo piano, soprattutto nei contesti locali. In breve, esso si è consolidato nel momento in cui le persone hanno iniziato ad acquisire una consapevolezza diversa, a considerare se stesse in modo differente, a vedersi in un altro modo e ad agire secondo la propria iniziativa. Da un certo punto di vista i comitati per la riconciliazione oggi esistenti in un numero sempre crescente di città e paesi ricordano i comitati popolari che nacquero durante l'intifada palestinese, e che furonon in seguito sconfitti con la repressione dal movimento politico ufficiale.
Un aspetto, forse il più evidente, del processo di riconciliazione è stato quello militare: vari gruppi armati dell'opposizione hanno negoziato direttamente delle tregue con l'Esercito Arabo Siriano; in altri casi la popolazione locale si è ribellata agli insorti e li ha cacciati dalla città o dal paese; in altri casi ancora, la popolazione ha organizzato delle milizie per la propria difesa ed ha chiesto armi alle forze governative.
A queste iniziative il governo siriano ha risposto consentendo agli ex insorti di tenere gli armamenti leggeri, e di continuare a considerarsi dei combattenti con tutte le conseguenze che questo ha per l'autostima e per lo status sociale. Di fatto gli ex dissidenti sono stati riassorbiti dal sistema politico locale; aiutano a difendelro e partecipano alle decisioni a livello locale. A questo non si è arrivati senza aspri contrasti. Molte persone che hanno avuto da soffrire o i cui congiunti sono stati uccisi spesso conservano rancori e insistono sul fatto che i "criminali" debbano essere perseguiti e non riabilitati. Il governo tuttavia pensa che si debba arrivare ad una riconciliazione, nonostante il dolore che molti possono provare.
Poi c'è un altro aspetto, che è quello della riscoperta dell'essere attori sociali. Questo è l'aspetto che presenta le più feconde potenzialità dal punto di vista politico. Sono nati comitati popolari nelle città e nei paesi: il Ministero per la Riconciliazione li sovvenziona con dei fondi, ma essi attirano anche donazioni volontarie da parte di privati cittadini.
Nonostante operino con gli auspici del Ministero, i comitati, che comprendono amministratori locali, insegnanti, militari, sindacalisti, attiviste del mondo femminile e volontari, prendono decisioni per conto proprio. Cercano di reclutare insegnanti volontari che colmino i vuoti nelle scuole, di costituire gruppi di lavoro per il restauro delle abitazioni danneggiate, di arrangiare sistemazioni per le famiglie rimaste senza casa, di fornire sostegno alle donne che hanno subito stupri o violenze, e di mettere in contatto tra lofo gli imprenditori perché uniscano i loro sforzi per far ripartire le piccole imprese. Come hanno detto alcuni, la gente non aspetta più che Damasco decida cosa si deve fare, ed agisce per conto proprio. Il punto è proprio questo: i siriani qualsiasi si stanno riscoprendo attori sociali, ma in un modo molto diverso -ed opposto- a quello dei gruppi armati radicali.
Cosa sta succedendo in Siria? in un certo senso si tratta di un cambiamento un po' sfuggente e difficile da definire in modo empirico, anche perché si tratta di un cambiamento che si verifica a livello locale; le condizioni locali lo condizionano ed ha una natura polverizzata. Succede spesso che sistemi sociali che hanno attraversato un conflitto ed una crisi -il Sud Africa ne costituisce un esempio- escano da tutto questo psicologicamente mutati. Le esperienze traumatiche, individuali o collettive che siano, possono portare ad un crollo psicologico oppure ad un rafforzamento, anche ad un indurimento, e ad una mobilitazione. Nel caso della Siria, chi si reca a Damasco può accorgersi del fatto che nonostante la guerra di logoramento con gli insorti continui, con colpi di mortaio che piovono a casaccio ogni giorno sui quartieri di periferia, i damasceni sono più determinati, più decisi e più fiduciosi in se stessi.
In cosa si tradurrà tutto questo a livello di stato nazionale? E' troppo presto per dirlo con certezza, ma quanto successo in Iran a seguito degli avvenimento del 2009 mostra che quando si esce da una crisi a livello nazionale è possibile intraprendere percorsi politici nuovi: le elezioni iraniane dello scorso anno hanno sancito un netto mutamento di direzione, e si è trattato di un cambiamento che è venuto dall'interno del sistema.
Perché un cambiamento potrebbe generarsi in questo modo? I siriani dicono che ad innescare questo mutamento di consapevolezza è stato il fatto che i siriani hanno capito all'improvviso e tutti insieme che quello che stava succedendo in Siria non aveva nulla a che fare con riforme, democrazia o partecipazione popolare alle politiche governative, e che invece aveva molto a che fare con il rovesciamento del sistema sociale esistente e con l'imposizione ai siriani di qualche cosa che era estraneo al loro modo di vivere, al loro percorso storico nei campi cdella cultura, della società e della politica.
Oggi come oggi l'attenzione non si concentra sui dettagli della politica, come la riforma dell'articolo 8 della costituzione; sono tutte cose che possono aspettare. La gente pensa di essere coinvolta in una lotta per l'esistenza, in una guerra. E in guerra le energie servono a sopravvivere, a vivere ogni giorno, a vincere la battaglia. Alla politica ci si pensa dopo.
Molte cose hanno contribuito negli ultimi tempi a rafforzare nei siriani l'idea di essere in lotta per la propria stessa esistenza. Ci hanno pensato i proclami -seguiti dai fatti- che arrivavano dagli stati del Golfo, ci hanno pensato i discorsi di Ginevra II, ci ha pensato quel che si prospetta per i palestinesi, e ancor più sicuramente hanno contribuito gli ultimi avvenimenti in Ucraina. Uno dei commentatori di meglio provata esperienza su cui contiamo in Siria ci ha riferito che per un paio di settimane nel paese si sono interrotte le discussioni sulla guerra in corso e che la gente non faceva che parlare dell'Ucraina. E' evidente che in Siria ed in Iran, sia a livello di gente comune che a livello governativo, si è ben capito quale portata strategica abbiano gli eventi in corso in Ucraina. Ai siriani è risultato fin troppo semplice identificare la loro situazione con quella dell'Ucraina, ed "ammirare Putin per essersi opposto alle macchinazioni occidentali", come ha perentoriamente notato un ben ammanicato cittadino siriano.
Oggi come oggi la politica in Siria è fatta di un'unica pretesa: il ritorno ad un minimo di sicurezza e alla normalità della vita quotidiana. Il motivo per cui stiamo assistendo, come in Iran, ad un ritrovarsi attorno al sistema esistente intanto che prende forma il desiderio di una nuova politica, è essenzialmente questo. Il governo pare lo abbia capito bene; ecco per quale motivo vengono spese tanti sforzi nel processo di dialogo e di riconciliazione nazionale.