Combattenti dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante, settembre 2013 (Fonte: Der Spiegel).
Traduzione da Conflicts Forum
In Libano c'è un nuovo governo; ancora non ha avuto voto di fiducia, e non c'è ancora neppure una dichiarazione sul programma da parte del del Consiglio dei Ministri. Ha trenta giorni di tempo per accordarsi sugli obiettivi di massima, cosa che in questi tempi in cui impera la polarizzazione non si annuncia facile, e per ottenere la fiducia dal parlamento. In caso contrario dovrà andarsene; in gergo tecnico, dimettersi.
Dopo undici mesi senza un governo dotato di veri e propri poteri -occuparsi dell'ordinaria amministrazione significa essere investiti da poteri minimi- in Libano questo sviluppo è stato accolto ovunque in modo positivo. A parte questo, la vita del governo sarà comunque breve anche se riuscirà ad avere la fiducia: a maggio ci sono le elezioni presidenziali e davvero non si sa se sarà possibile eleggere un presidente; di questi tempi è una questione molto spinosa. Insomma, qualunque successo anche relativo di questo governo "sperimentale" può rendere più facile l'elezione del presidente; al contrario, un fallimento farebbe sentire i suoi effetti.
E' un esperimento, comunque; e c'è qualcuno in Libano che ne è rimasto sorpreso e che non è tranquillo a causa dei rischi che esso comporta. In particolare il nuovo governo potrebbe essere inteso come una staffetta o come una cartina di tornasole per verificare fin dove arriva la "comprensione" siriana. A volerla tirare ancora un po', lo si potrebbe vedere come un provvedimento per instaurare un clima di fiducia in previsione di qualche accordo regionale ancora da svelare. Il Libano ha spesso fatto il canarino in miniera, segnalando se le cose vanno come devono andare o se in giro per l'aria c'è qualche veleno; a questo governo-canarino potrebbe toccare lo stesso compito.
Per quali motivi il nuovo governo sarebbe tanto significativo? Innanzitutto esso comprende Hezbollah, che da parte sua ha deliberatamente rifiutato di occupare certe posizioni chiave. Occorre ricordare che pochissimo tempo fa l'ex primo ministro Saad Hariri aveva detto e stradetto che di Hezbollah al governo non se ne parlava neppure. Ad un cambio di atteggiamento tanto clamoroso difficilmente si è arrivati senza che da parte di Ryadh ci fosse un assenso almeno tacito. In secondo luogo, i partiti dell'8 marzo e soprattutto Seyyed Hassan Nassrallah sono d'accordo per rivoltare la tradizione politica libanese da un capo all'altro.
Nel corso degli anni Hezbollah e i suoi alleati si sono concentrati per esercitare in modo costante la propria influenza nel campo della sicurezza, data la costante minaccia che arriva dallo stato sionista; quelli del 14 marzo invece si interessavano più che altro a mantenere il controllo delle attività economiche remunerative e delle attività finanziarie, sia nel campo degli affari che in quello dell'amministrazione statale. Adesso, le parti si sono invertite.
Il fatto interessante è che Hezbollah e i suoi alleati si concentrano adesso più sui ministeri delle finanze e dell'energia; il Libano sta per aprire la propria zona di sfruttamento economico esclusivo alle prospezioni petrolifere e per il gas, e c'è l'idea che il Libano potrà puntare ad una quota significativa dell'ingente potenziale del bacino del Levante, nel Mediterraneo orientale.
Ed è interessante anche il fatto che in un momento in cui il Libano è soggetto ai pericoli dell'estremismo sunnita i posti chiave in materia di sicurezza come il ministero dell'interno e quello della giustizia dovebbero andare al fronte del 14 marzo, e non semplicemente a loro ma, per quanto riguarda il ministero della giustizia, ad una formazione nettamente partigiana ed attiva contro Assad. La cosa ha fatto alzare più di un sopracciglio: come hanno potuto Hassan Nassrallah e Hezbollah dirsi d'accordo su una soluzione del genere?
E' un esperimento, un test. Il partito di Hariri, i sunniti libanesi, vengono investiti della fondamentale responsabilità di battersi contro l'estremismo sunnita che promana dalla Siria. Dovranno garantire la sicurezza del Libano contro gli attacchi suicidi dei takfiri che stanno piagando il paese. Negli ultimi due anni le vendite al dettaglio a Beirut sono cadute di più di un terzo perché sempre meno gente si azzarda a girare per le strade. Ce la faranno, potranno farcela loro, i sunniti libanesi?
Non è difficile intravedere oltre: l'Arabia Saudita si è di fatto detta d'accordo per un governo di unità nazionale. Hassan Nassrallah ed il generale Aoun, che in tutto questo ha avuto un ruolo fondamentale, hanno risposto a questo gesto riconoscendo i timori dei sunniti e i pericoli che arrivano loro dal coinvolgimento sciita in Siria non ritirando Hezbollah dal conflitto siriano, ma concedendo ai sunniti del movimento Futuro un autentico e pieno controllo del proprio stesso ambiente. Si tratta di un gesto di rassicurazione notevole per i sunniti libanesi, ma rappresenta anche una mossa forse utile a rafforzare la fiducia di Ryadh, affinché essa pensi a negoziati in Siria.
Il rischio è sicuramente quello che l'esperimento vada troppo oltre e che non solo non aiuti il raggiungimento di un accordo in Siria ma al contrario porti ad una escalation di violenza in Libano. Se questa sorta di canarino iraniano-saudita riuscirà a mantenersi in buona salute, potrà forse aprire la strada ad un'analoga comprensione reciproca in Siria. Si verrebbe incontro alle esigenze di sicurezza dei sunniti siriani, che non hanno posto nel governo e che temono l'influenza sciita, anche se la maggior parte dei sunniti siriani non si sentono vulnerabili rispetto agli sciiti, che in un certo senso considerano come degli alleati, quanto rispetto agli estremisti takfiri. In questo modo, la prova del coinvolgimento della corrente maggioritaria delle comunità sunnite nella regione nella lotta agli jihadisti potrebbe arrivare anche a Damasco ad esiti improntati alla reciproca comprensione. Staremo a vedere.
Il Libano verrà reso più stabile da tutto questo? Sfortunatamente no. Bisogna capire in che modo si sta evolvendo lo jihadismo siriano. I salafiti sono in mezzo al guado di una radicale ridefinizione dottrinaria; se andranno avanti in questa evoluzione entreranno presto in contrasto con l'autorità costituita, nel loro caso quella di re Abdallah o più in generale quella di qualunque altro personaggio sunnita che copra ruoli di autorità formale. Questa corrente di jihadisti takfiri non si cura affatto di quello che fanno tra di loro Riyadh, Damasco, Mosca o Tehran: sono in guerra con i simboli stessi dell'autorità costituita all'interno dell'ambiente sunnita.
Questi movimenti stanno elaborando una storiografia revisionista dello stato islamico. Lo stato islamico non sarebbe nato per i meriti di chi guidava i Quraish o per opera del tradizionalismo arabo, e neppure grazie all'impegno di altri personaggi come potrebbe esser stato un Saladino. Piuttosto, lo stato islamico avrebbe preso forma quando piccoli e scollegati gruppi di musulmani che combattevano per l'Islam si coalizzarono per formarlo. Questa rete di imam combattenti rappresentava il legittimo stato islamico, fino a quando, per fusione, non dette origine alla comunità dei credenti.
Il Da'ish, o Stato Islamico in Iraq e nel Levante, si definisce proprio come "stato"; il suo capo è "il capo dei credenti". Esso combatte contro altri movimenti di ispirazione islamica perché è uno stato, che considera i potenziali rivali come nient'altro che ribelli contro la forza dello Stato Islamico. I tradizionali pilastri dell'autorità saudita, che sono la discendenza dai Quraish della Mecca, la moschea in quanto tale e l'università di Al Azhar, non significano nulla a simili occhi, per i quali un re saudita che afferma di parlare per conto di "musulmani" non ha alcuna legittimazione.
Paradossalmente, intanto che l'Arabia Saudita foraggia la lotta contro i Fratelli Musulmani colpevoli di pensare che la sovranità promani dal popolo, è proprio dallo wahabismo da essa stessa diffuso che è nata la vera minaccia alla sua autorità. La Casa dei Saud non controlla più questo ambiente come un tempo; esso è fuori controllo.