Traduzione da Conflicts Forum.
Prospettive di un intervento statunitense in Siria. Sta diventando più evidente l'asprezza del dilemma che il Presidente Obama si trova ad affrontare, e nondimeno ne rimane oscura la soluzione. Gli sforzi compiuti il mese scorso dal Principe Bandar per corrompere Putin affinché abbandonasse Assad (si legga qui) e il parallelo indaffararsi di Tehran per ventilare la possibilità di una soluzione politica ad opera degli iraniani sono falliti. E' stata l'Arabia Saudita, senza alcuna intromissione occidentale, a fare in modo che in Siria si arrivasse ad un'escalation militare, con "capisaldi" dell'opposizione nel nord e nel sud del paese. L'intento era quello di cambiare gli equilibri sul terreno così da costringere Assad ad una "transizione"; in questa "transizione" gli sarebbe stato richiesto di abbandonare tutti i poteri esecutivi che caratterizzano la sua carica. Bandar ha esplicitamente detto a Putin che un'escalation militare avrebbe comportato come inesorabile conseguenza la constatazione del fatto che Putin aveva rifiutato i "consigli" dei sauditi.
Dal punto di vista dei sauditi, il problema è che sia il fronte nord che il fronte sud dell'opposizione stavano subendo l'accerchiamento da parte dell'esercito siriano. Il caso delle armi chimiche è venuto fuori proprio mentre il fronte nord si ritrovava accerchiato: è stato immediatamente ripreso da funzionari sionisti e dalla stampa dello stato sionista, e di séguito sbandierato sugli organi di comunicazione internazionali. Che Putin e gli altri alleati della Siria si siano mostrati tanto scettici è cosa che desta scarsa meraviglia. Putin ha suggerito con chiarezza che probabilmente tutta la questione non è che una provocazione calcolata, ovvero un'operazione sporca organizzata dai servizi cui hanno probabilmente cooperato sia i sauditi che i sionisti per costringere Obama a quell'intervento militare che è poi il "cambio di passo" di cui c'è un bisogno disperato se si vuole che l'opposizione finisca per avere il sopravvento in Siria.
Dapprincipio questa notizia, arrivata proprio al momento giusto, è sembrata ideale dal punto di vista occidentale; lo è sembrata anche a quanti possono condividere i sospetti di Putin. Mentre si insisteva per un intervento militare ad ogni costo, si dava per scontato che Russia ed Iran si sarebbero rassegnati all'inevitabile: per tutelare in modo razionale i propri interessi -hanno pensato statunitensi ed alleati- Hezbollah, Iran e Russia avrebbero assistito passivamente alla "limitata azione" dell'AmeriKKKa e al pareggiamento degli equilibri di forza tra insorti e governativi in Siria che questa avrebbe comportato. La stampa sionista è stata la più chiara in proposito: lo stato sionista non aveva nulla da temere perché nessuno degli alleati della Siria avrebbe seriamente corso il rischio di confrontarsi direttamente con gli Stati Uniti e con i loro alleati europei.
Poi però è successo l'inatteso: la Siria ed i suoi alleati non hanno supinamente accettato l'intervento statunitense ed hanno detto senza mezzi termini che come conseguenza avrebbe avuto lo scoppio di una guerra regionale. Proprio quello che Obama e i militari statunitensi temevano di più. Obama ed il Pentagono vogliono evitare ad ogni costo un'altra guerra in Medio Oriente. A complicare ulteriormente le cose, a tutt'oggi gli Stati Uniti e i loro alleati non hanno esibito alcuna prova definitiva che addossi alla Siria la responsabilità dell'attacco chimico. Siamo ancora alla "somma delle probabiltà", alla "logica", a dire che "l'opposizione non ha simili capacità", che è un'affermazione palesemente falsa. Obama fa chiaramente molta attenzione, e ha ben presente l'Iraq, a non dare il via ad una guerra regionale sulla base di qualche inconsistente conclusione dei servizi: "Ricordate, io sono uno che si è opposto alla guerra in Iraq, e non mi interessa ripetere gli errori che sono stati fatti prendendo decisioni sulla base di informazioni sbagliate" ha detto il Presidente statunitense durante una conferenza stampa a Stoccolma, prima di recarsi al G20.
La Siria e i suoi alleati non hanno risposto nel modo che sarebbe stato desiderabile; lo rivela la posizione dello stato sionista, passata da toni apertamente sanguinari (dovuti al rischio di ripercussioni) a qualcosa di differente. I sionisti sanno che Hezbollah e l'Iran sono sul piede di guerra; Putin ha avvisato più volte in pubblico che l'intervento statunitense porterà ad una guerra regionale, e lo stesso Putin, in un'intervista pubblicata mercoledi scorso, ha detto che era troppo presto per dire che cosa avrebbero fatto i russi se gli Stati Uniti avessero aggredito la Siria, ma ha aggiunto anche: "Le nostre idee sul da farsi le abbiamo, e sappiamo anche come farlo, se la situazione evolverà verso l'uso della forza o in altri modi. Abbiamo i nostri piani". Per cercare di conferire ulteriore credibilità alle minacce, gli Stati Uniti hanno spostato delle navi da guerra nel mediterraneo; messi sotto pressione, la Siria e i suoi alleati non hanno fatto alcuna marcia indietro. Tra l'altro il Presidente Assad ha detto chiaramente che la Siria si difenderà, anche se questo dovesse comportare il rischio di una terza guerra mondiale.
Questo è il punto chiave nel dilemma di Obama: ritirarsi ed affrontare avversari che lo accusano di essere un debole con l'ordine mondiale che sta collassando, la potenza dell'AmeriKKKa frustrata, l'Iran rafforzato eccetera (non solo gli avversari veri e propri, ma con ogni probabilità anche il suo Segretario di Stato, che nutre forti ambizioni politiche) oppure rischiare di portare l'AmeriKKKa in una guerra di vaste proporzioni che il Pentagono è impreparato ad affrontare, senza fondi sufficienti per l'impresa e in un momento in cui il sostegno popolare manca del tutto da parte di un pubblico chiaramente stanco delle guerre. Il Presidente invece ha scelto di andare a parlare al Rose Garden e di rifilare la patata bollente al Congresso. Ha fatto molta attenzione a prendere le distanze dalla "paternità" di qualsiasi cosa possa nascerne. Nel corso della sua permanenza in Svezia, Obama ha negato che la sua credibilità politica si trovi sotto scacco e ha insistito sul fatto che non è stato lui a stabilire una "linea rossa" oltre la quale scattava una risposta militare nel caso il governo siriano avesse fatto ricorso ad armi chimiche. "E' stato il mondo a stabilire questa linea rossa, quando governi che rappresentano il novantotto per cento della popolazione mondiale hanno stabilito che l'utilizzo di armi chimiche fa inorridire e hanno sottoscritto un trattato che ne proibisce l'utilizzo, anche se gli stessi paesi firmatari si trovano coinvolti in una guerra. Non si tratta di qualcosa che ho inventato io, o che ho tirato su dal nulla".
Non è chiaro se questa mossa riuscirà a mettere spazio tra lui e il dilemma di cui sopra. Sarebbe facile concludere, stando a quello che si vede nei media mainstream, che entrambe le camere del Congresso si stanno allineando verso l'intervento in Siria: "Boehner è d'accordo col sostenere Obama per quanto riguarda la Siria", "Il comitato esteri del Senato approva una risoluzione che autorizza l'attacco ameriKKKano alla Siria".
Dagli ambienti di Washington, tuttavia, arrivano informazioni che tratteggiano un quadro assai diverso. Il comitato esteri del Senato ha fatto passare la mozione favorevole all'intervento con poco scarto: i voti sono dieci contro sette ed un astenuto. L'impressione è che alcuni falchi abbiano fatto valere la loro influenza dietro le quinte. Se al Senato il successo di Obama appare fragile, è facile dedurne che al Congresso le cose siano messe anche peggio. La sera del 4 settembre il conto delle intenzioni di voto riportato da ThinkProgress mostrava che soltanto quarantasette membri del Congresso erano orientati per il sì, che centoottantasette erano per il no o orientati verso il no, e che duecentoventi ancora non lo sapevano o erano indecisi. Firedoglake riportava dati simili: cinquantacinque propensi per il sì o decisi per il sì, centocinquantacinque per il no o propensi al no. Una fonte al confresso ha detto che in base a quanto gli avevano riferito alcuni esponenti repubblicani, l'amministrazione sarebbe stata costretta a ritirare la risoluzione o a rimandare il voto alla Camera. Si noti che i tempi prevedevano, nelle intenzioni, il dibattito al Senato per il 10 settembre e il voto il giorno stesso, o il giorno dopo. La Camera doveva discuterne a partire dal 12 o all'inizio della settimana successiva.
Ovviamente è possibile che l'amministrazione cambi le cose alla Camera, ma Politico blog, che conosce l'ambiente, fa notare: "Alcuni repubblicani alla Camera ci hanno detto che vari esponenti di primo piano fino ad oggi non sono rimasti contenti delle informazioni secretate dei servizi che l'amministrazione ha reso disponibili. Un importante esponente della Camera ha detto che l'amministrazione non è riuscita a presentare il caso come di fondamentale importanza "al di là dell'aver causato una spasmodica indignazione morale".
"Nessuno ha davvero sentito dire in che modo un attacco potrebbe migliorare la situazione sul terreno in Siria, migliorare le cose per i gruppi favorevoli alla democrazia, non rivelarsi favorevole ad AlQaeda, ai russi o ai cinesi", ha detto il capogruppo. "I membri della Camera hanno capito che l'amministrazione non ha prestato alcuna attenzione a come evitare che questo succeda di nuovo. In molti pensano che si tratti di qualcosa che si deve fare "per lo stato sionista" o perché "quello che è successo è inaccettabile".
"Un altro ci ha detto che il Presdente Obama dovrà farne una questione personale migliore agli occhi del pubblico, non solo a quelli del Congresso; se sei a mercanteggiare al Congresso, devi farlo anche alla Camera. Detto in altre parole, il paese potrebbe trovarsi ad assistere all'avvincente spettacolo di un Congresso che boccia una risoluzione di guerra sostenuta sia dal Presidente che da tutte le massime cariche elettive. E mercoledi pomeriggio un importante esponente repubblicano alla Camera ha detto che la mozione potrebbe davvero venire bocciata". Secondo lo stesso Politico gli elettori che hanno chiamato al Congresso si sono espressi contro l'intervento nel novanta per cento dei casi.
In breve, l'indecisione potrebbe rivelarsi un boomerang per il Presidente Obama, se il Congresso dovesse esprimersi negativamente; Obama si è rimesso un'altra volta alla buona sorte quando ha affermato che comunque il Congresso si esprima, il suo parere non è vincolante per la prerogativa del Comandante in Capo di dare il via ad un'azione militare. Nel caso, il dilemma di Obama si sarà ulteriormente aggravato: da una parte la Siria e i suoi alleati stanno facendo risuonare i loro ammonimenti sul pericolo di una guerra di più vasta portata, nonostante alcuno di essi abbia interesse a fomentare un conflitto del genere; dall'altra l'indecisione sta facendo il gioco della lobby interventista, dei falchi [anti] iraniani e dell'AIPAC, concedendo loro il tempo che gli serve per mettere in piedi le contromosse necessarie a contrastare ogni passo indietro.
E' possibile che per quanto riguarda la questione siriana (si legga anche qui) Obama sia ben avviato verso una grossa sconfitta politica.