11 maggio 2013. Attentato a Reyhanli, Repubblica di Turchia.
11 maggio 2013. Attentato a Reyhanli, Repubblica di Turchia.

 

Traduzione da Conflicts Forum.

Nel corso degli ultimi giorni i mutamenti di orientamento strategico iniziati con gli attacchi sionisti alla Siria si sono ulteriormente consolidati. Gli sforzi di Netanyahu e di altri politici occidentali diretti a raffreddare la decisa reazione di Mosca non hanno portato ad alcun risultato; anzi, i russi hanno ulteriormente inasprito il loro atteggiamento. Lo stato sionista si trova a questo punto a dover affrontare la diretta messa in discussione del proprio tentativo di infilare la deliberata intrapresa di un'azione militare in Siria dietro a qualunque pretesto, che fosse il passaggio a Hezbollah di armamenti capaci di rovesciare l'equilibrio delle forze in campo o la vecchia scusa delle armi chimiche messa in piedi dalla propaganda. La situazione è questa: Putin ha promesso a Netanyahu una diretta rappresaglia per ogni altro ulteriore attacco alla Siria, e la scarsa chiarezza ostentata da Putin sul fatto che i missili superficie-aria S300 siano già operativi in Siria rappresenta un efficace deterrente non solo per gli attacchi diretti, ma anche per ogni ulteriore attacco aereo compiuto partendo dallo spazio aereo libanese, considerati i duecento chilometri di raggio dei missili S300. Putin si è limitato a sorridere quando Netanyahu gli ha fatto presente che lo stato sionista potrebbe distruggere i missili, fornendo a sionisti e statunitensi un buon motivo per rabbrividire. Nel caso il messaggio non fosse abbastanza chiaro, il comandante in capo della marina russa Viktor ha poi affermato che un gruppo di venti ufficiali servirà in permanenza la flotta russa nel Mediterraneo, una flotta di cinque o sei navi da guerra e probabilmente anche di sottomarini nucleari. Infine, il viceministro degli esteri russo si è incontrato con Sayyed Hassan Nassrallah e gli ha riferito che i Russi hanno sempre avuto una grande considerazione per Hezbollah, ne riconoscono il ruolo eccezionale e il diritto di liberare la propria terra. Si faccia un paragone con i toni meno che tiepidi usati dall'Unione Europea nei propri rapporti con Hezbollah. Hezbollah e la Siria poi hanno provveduto a rincarare la dose avvertendo che -per rappresaglia contro gli attacchi dei sionisti- d'ora in poi il fronte del Golan sarebbe entrato in movimento (una minaccia che almeno uno tra i più eminenti commentatori sionisti di questioni militari ha mostrato di prendere sul serio) e che Hezbollah avrebbe acquisito tramite la Siria armamenti in grado di influire sull'equilibrio delle forze. Tutto questo ha estrema importanza; se i sionisti ignoreranno gli ammonimenti di Putin ed attaccheranno un'altra volta, è difficile capire in che modo si potrà evitare l'intervento militare diretto di potenze straniere. Ci troveremmo davanti ad una guerra regionale. Se invece i sionisti accetteranno le nuove "regole del gioco" dettate dai russi, la cosa metterà completamente fuori questione ogni minaccia sionista nei confronti dell'Iran. Non esiste ragione per cui i russi non dovrebbero reagire allo stesso modo per inibire attacchi sionisti contro l'Iran. Il Presidente Obama, intanto, può lasciarsi andare ad un silenzioso sospiro di sollievo per il fatto che la credibilità delle minacce di Netanyahu contro l'Iran è stata indebolita, se si pensa che il potenziale emergere di un'alleanza militare russa, sia pure informale, potrebbe non ricevere in America un caldo benvenuto.
 
Continuano in Siria i progressi sul terreno delle forze governative. L'esercito sta tagliando le comunicazioni tra la zona di Homs e Hama e il loro retroterra e le catene logistiche libanesi; le vie di approvvigionamento a sud e ad est sono state colpite in profondità e le truppe governative stanno guadagnando terreno nella zona di Idlib e a nord. Di fatto, la maggior parte delle conquiste territoriali ottenute dall'opposizione nel corso degli ultimi due anni sono state riprese, o ridotte a sacche. Adesso, il Fronte di Al Nusra rappresenta il principale gruppo armato contro cui l'esercito siriano è impegnato in combattimento. Al di là della frontiera con la Turchia ci sono state due vaste esplosioni in villaggi alawiti favorevoli ad Assad, causa a loro volta di aggressioni di cittadini turchi a spese delle forze dell'opposizione siriana di base nel sud della Turchia. In aperta contraddizione con la linea ufficiale, un parlamentare turco ha ripreso il parere di alcuni ufficiali ed ha attribuito la responsabilità degli attentati al Fronte di Al Nusra.
 
L'opposizione siriana in esilio si è frammentata ancora di più dopo che i sauditi hanno cercato di mettere un limite all'offensiva diplomatica del Qatar e della Turchia, mettendo fine al predominio dei Fratelli Musulmani nella Coalizione Nazionale Siriana. L'Arabia Saudita ha inaugurato una coalizione con le opposizioni liberali e laiche, per cercare di imporre una lista di venticinque nomi emersi da una riunione delle componenti laiche e demoratiche che si è tenuta a Parigi due settimane fa. Per adesso, i sauditi hanno fallito nel minare il predominio del Qatar sulle strutture dell'opposizione politica formale. Gli Stati Uniti, ancora alle prese con il tentativo di contrastare militarmente Al Nusra, si muoveranno probabilmente con cautela nel rafforzare la fazione laica e liberale; secondo l'amministrazione statunitense essa non ha praticamente alcuna influenza sulle formazioni armate che ci sono sul terreno. In questo momento gli occidentali affidano le loro speranze al generale Idris, che ha poca o nessuna influenza, ed è l'esercito siriano regolare che, da solo, sta davvero combattendo contro Al Nusra. I paesi europei e gli Stati Uniti hanno cambiato atteggiamento e vogliono trattare con Damasco, ma si ostinano a non volersi abbassare a trattare con il Preisdente Assad, nonostante non si vedano alternative. Ancora più impellente è il fatto che nessuno di essi riesce a trovare negoziatori credibili nel campo dell'opposizione che siano in grado di mettersi al tavolo di una conferenza internazionale, o meglio, non si riescono a trovare capio dell'opposizione in grado di sedersi ad un tavolo e di impegnarsi in nome di questa o quella parte dell'opposizione armata nel caso si riesca ad arrivare ad un accordo di qualsiasi genere. Sono in molti a dubitare del fatto che la conferenza internazionale, ora prevista per il mese di giugno, potrà davvero svolgersi.
 
La spaccatura tra liberali e laici da una parte e islamici dall'altra in questo momento rispecchia la crescente ostilità che divide Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Giordania da una parte, e Turchia e Qatar dall'altra, e sta diventando una spaccatura sostanziale a livello regionale, un qualcosa che influenza le vicende politiche con particolare riferimento all'Egitto e al Nord Africa. Stiamo assistendo ad una frammentazione della politica in tutto il mondo sunnita; l'agone politico sta trasformandosi in antagonismi reciproci, in brusche interruzioni del dialogo che è l'unica via verso i compromessi, e in un sostenuto fuoco di fila verbale fatto di accuse e controaccuse. In altre parole la prospettiva di trovare un vero e proprio accordo, anche su questioni come le regole di base della democrazia, nei vari settori di società diversificate come quella egiziana sta man mano diventando qualche cosa di irrealizzabile. I gruppi faziosi, anche quelli che operano all'interno di una sola corrente in particolare, spesso si parlano senza intendersi. Sta diventando impossibile arrivare ad un minimo di accordo, il che significa che anche la democrazia sta probabilmente diventando di impossibile realizzazione. L'Egitto sembra trovarsi in una condizione di squilibrio dinamico: nessuno riesce, o sembra poter riuscire, ad occuparsi dei suoi problemi impellenti e lo schieramento laico e liberale non tollera il dialogo con lo schieramento opposto ed accusa i Fratelli Musulmani di "fascismo". Gli egiziani sono stanchi, affermano che è difficile che tutto questo porti a qualcosa di buono, eppure non sembrano aver voglia di fare alcunché per evitare la tragedia che si prospetta. Non esistono risposte semplici: difficilmente un intervento dell'esercito potrà avvenire con l'acquiescenza dei Fratelli Musulmani o con quel consenso da parte della popolazione in generale su cui poté contare nel 1953. Le tensioni interne all'Egitto si stanno riproducendo, in modo più o meno rilevante, in tutto il mondo sunnita, e al momento ci sono pochi segnali che fanno pensare che esista un pensiero articolato in proposito.