L'amore degli "occidentalisti" per la cosiddetta legge e per il cosiddetto ordine sono, specie in tempo di campagna elettorale, totali ed indiscutibili. Peccato che esso amore si fermi laddove iniziano le convenienze e, soprattutto, il portafoglio: il poco incoraggiante risultato della pratica politica quotidiana degli "occidentalisti" consiste essenzialmente nell'approvare la repressione per i poveri e nel trovare giustificazioni per i ricchi.
Molto frequente, come in America, è l'utilizzo delle statistiche da parte della propaganda "occidentalista"; si sa, i numeri non sono particolarmente inclini all'eroismo e, se torturati, dicono qualunque cosa. Tra le cose più frequenti che i law & order a senso unico fanno dire ad essi numeri, è che la popolazione carceraria è essenzialmente straniera, ed "islamica" in particolare. Nel caso degli "occidentalisti" più involuti tanto basta per tracciare, come ai bei tempi di Giovanni Preziosi, inferenze tra l'appartenenza etnica -o meglio, l'appartenenza ad un fototipo un po' più scuro della media- e la propensione a delinquere.
Il ministero della Giustizia tiene dati aggiornati sulla situazione delle migliaia di prigionieri stranieri. Una loro pura e semplice consultazione parrebbe andare nella direzione auspicata dai suddetti "occidentalisti" emergenziali; un'occhiata più attenta mostra che non esiste correlazione tra una molto presunta "islamicità" e la frequenza di presenze nei penitenziari della penisola; anzi, secondo i dati ministeriali i detenuti provenienti da repubbliche islamiche propriamente dette, come l'Iran o l'Afghanistan, sono nell'ordine delle unità o delle decine al massimo, cosa che -purtroppo per gli sceriffi da sondaggio- lascia inferire addirittura supposizioni contrarie: sono proprio i governi più filo-occidentali di tutto il dar al'Islam come il Marocco o la Tunisia a fornire ai bagni penali della Repubblica Italiana il maggior numero percentuale di ospiti forzati; il numero di detenuti iraniani o afghani sta sulle dita delle due mani... eppure entrambi i paesi adottano la definizione di "repubblica islamica".
Al di là di questa sociologia da caffè, è chiaro che gli amanti degli hamburger e delle statistiche hanno buon gioco perché "dimenticano" di citare alcune realtà tutt'altro che secondarie.
In primo luogo c'è il fatto che sulla demografia carceraria ha un impatto molto forte la legge 669 del 1986, quella "legge Gozzini" che periodicamente i gazzettieri additano alla pubblica esecrazione insieme agli "indulti" colpevoli di ogni male. Ogni lavoratore del sistema penale sa che il complesso di misure alternative alla detenzione istituito da essa legge è stato sufficiente, praticamente da solo, a stroncare il fenomeno delle rivolte carcerarie ed ha anche affievolito di molto i legami di solidarietà di classe tra prigionieri rendendoli un aggregato di individui isolati assai più facile da governare. L'altro aspetto della questione è dato dal fatto che l'erogazione delle misure alternative è subordinato all'esistenza di concrete garanzie di tipo meramente economico, prima ed ancora che sociale: tanto per fare un esempio, il detenuto che non può garantirsi una casa, di proprietà o meno, solo con molta difficoltà può essere ammesso a scontare la propria pena in luoghi alternativi al carcere; questo fatto basta, da solo, a giustificare la sovrarappresentazione delle nazionalità straniere tra i prigionieri e a far concludere che chi sta in carcere ci sta perché è povero, indipendentemente dai reati di cui è accusato.
Il ministero della Giustizia tiene dati aggiornati sulla situazione delle migliaia di prigionieri stranieri. Una loro pura e semplice consultazione parrebbe andare nella direzione auspicata dai suddetti "occidentalisti" emergenziali; un'occhiata più attenta mostra che non esiste correlazione tra una molto presunta "islamicità" e la frequenza di presenze nei penitenziari della penisola; anzi, secondo i dati ministeriali i detenuti provenienti da repubbliche islamiche propriamente dette, come l'Iran o l'Afghanistan, sono nell'ordine delle unità o delle decine al massimo, cosa che -purtroppo per gli sceriffi da sondaggio- lascia inferire addirittura supposizioni contrarie: sono proprio i governi più filo-occidentali di tutto il dar al'Islam come il Marocco o la Tunisia a fornire ai bagni penali della Repubblica Italiana il maggior numero percentuale di ospiti forzati; il numero di detenuti iraniani o afghani sta sulle dita delle due mani... eppure entrambi i paesi adottano la definizione di "repubblica islamica".
Al di là di questa sociologia da caffè, è chiaro che gli amanti degli hamburger e delle statistiche hanno buon gioco perché "dimenticano" di citare alcune realtà tutt'altro che secondarie.
In primo luogo c'è il fatto che sulla demografia carceraria ha un impatto molto forte la legge 669 del 1986, quella "legge Gozzini" che periodicamente i gazzettieri additano alla pubblica esecrazione insieme agli "indulti" colpevoli di ogni male. Ogni lavoratore del sistema penale sa che il complesso di misure alternative alla detenzione istituito da essa legge è stato sufficiente, praticamente da solo, a stroncare il fenomeno delle rivolte carcerarie ed ha anche affievolito di molto i legami di solidarietà di classe tra prigionieri rendendoli un aggregato di individui isolati assai più facile da governare. L'altro aspetto della questione è dato dal fatto che l'erogazione delle misure alternative è subordinato all'esistenza di concrete garanzie di tipo meramente economico, prima ed ancora che sociale: tanto per fare un esempio, il detenuto che non può garantirsi una casa, di proprietà o meno, solo con molta difficoltà può essere ammesso a scontare la propria pena in luoghi alternativi al carcere; questo fatto basta, da solo, a giustificare la sovrarappresentazione delle nazionalità straniere tra i prigionieri e a far concludere che chi sta in carcere ci sta perché è povero, indipendentemente dai reati di cui è accusato.
In secondo luogo, va confutato il ridicolo assunto secondo il quale "il crimine non paga" e che in carcere finiscano i delinquenti. Qualunque studente di sociologia del primo semestre si mette a sghignazzare davanti ad entrambe le considerazioni, essendo appurato che non soltanto il crimine paga, ma che per chi ci sa fare paga spesso quanto, se non di più, del lavoro onesto. Ed in carcere non finiscono i "delinquenti" ma, assai più prosaicamente, chi è così scemo, sfortunato o soprattutto così povero da farsi beccare. Il recente scatenamento classista del legislatore, che ha depenalizzato i reati da ricchi come il falso in bilancio, ha da questo punto di vista aggravato considerevolmente la situazione.
In terzo luogo, a tutt'oggi il sistema repressivo dello stato occupante la penisola italiana conta tra il proprio personale pochissimi elementi in grado di parlare una lingua straniera, essendo quello dell'agente di custodia un mestiere di cui tutto si può dire meno che sia un mestiere edificante o ricco di incentivi; la traduzione del regolamento carcerario è affidata praticamente allo stellone, le norme interne delle singole carceri sono un coacervo di circolari e consuetudini spesso intraducibile, oltre che in teoria inapplicabile; i "nuovi giunti" poco in confidenza con la lingua italiana si trovano così nelle condizioni in cui si trovavano gli Häftlinge del Terzo Reich: ad imparare sulla propria pelle ed a proprie spese. Con le conseguenze immaginabili per il percorso di detenzione.
In terzo luogo, a tutt'oggi il sistema repressivo dello stato occupante la penisola italiana conta tra il proprio personale pochissimi elementi in grado di parlare una lingua straniera, essendo quello dell'agente di custodia un mestiere di cui tutto si può dire meno che sia un mestiere edificante o ricco di incentivi; la traduzione del regolamento carcerario è affidata praticamente allo stellone, le norme interne delle singole carceri sono un coacervo di circolari e consuetudini spesso intraducibile, oltre che in teoria inapplicabile; i "nuovi giunti" poco in confidenza con la lingua italiana si trovano così nelle condizioni in cui si trovavano gli Häftlinge del Terzo Reich: ad imparare sulla propria pelle ed a proprie spese. Con le conseguenze immaginabili per il percorso di detenzione.