Uno tra i più eloquenti articoli riportati dal nostro sito-bersaglio statuisce proprio che i musulmaini moderati non esistono. Siamo d'accordo: al limite, se proprio si vuole, si può sostenere che sono i musulmani moderati, a non esistere...
A detta de signor Domenico Bonvegna, Massimo Introvigne avrebbe avuto modo di verificare la tesi su esposta viaggiando in non meglio identificati "Paesi islamici", una definizione in cui un "occidentalista" tende a comprendere tutto quello che sta tra il confine greco e le Filippine, e tra Lampedusa e Johannesburg. Bonvegna sostiene che invece, nello stato che occupa la penisola italiana difficilmente si riuscirebbe ad incontrare un musulmano che non si dichiari moderato: "per vivere tranquilli e soprattutto per farsi invitare a Porta a Porta, bisogna essere moderati". Il mondo "occidentalista", abbiamo avuto modo di notare con sarcasmo più volte, è un mondo praticamente lunare: in questo mondo selenite gli immigrati da dar al'Islam non passano mica la giornata nei cantieri edili e nelle concerie: la passano a cercare di vivere tranquilli e soprattutto a tentare di farsi invitare ad una trasmissione televisiva da cui, ci dicono (non abbiamo apparecchi televisivi) nel corso degli anni è passato il fior fiore di quella schiatta che la penisola italiana non cessa di produrre e che un tempo doveva accontentarsi delle ben più dimesse ribalte degli avanspettacoli di periferia. Torna ancora una volta un leitmotiv dell'"occidentalismo": la televisione come metro e misura dell'esistere.
Digiuno perfino circa gli obblighi fondamentali dei credenti, Bovegna si pone il problema di come si faccia a distinguere un credente da un non credente, e lo risolve con una sommaria categorizzazione sforbiciando poi un Introvigne che, attestata l'inadeguatezza del concetto di "moderazione" utilizzato come continuum lungo il quale classificare i "musulmani", proporrebbe una classificazione in cinque categorie parametrizzata sull'accettazione dei "diritti umani".
Ora, proprio con i "diritti umani" e con la "democrazia da esportazione", la cui traduzione operazionale prende il costruttivo nome di "guerra preventiva", da almeno otto anni l'"Occidente" si sta comprando in contanti intere generazioni di nemici in un areale geografico immenso: stante questo clima politico, è probabile che la patente di "musulmano ultraprogressista" vada conseguentemente assegnata a chi, nei contesti sociali e culturali di appartenenza, ottiene invece epiteti di tutt'altro tipo, dei quali "collaborazionista" e "servo" sono probabilmente i meno irriferibili.
Invece di rifarsi a categorizzazioni discutibili e soprattutto di citare personaggi mediatici a raffica (da Souad Sbai a Magdi Allam), Domenico Bonvegna avrebbe fatto meglio a riferirsi ad esperienze dirette e personali: le nostre, affinate con viaggi non in generici "paesi islamici" ma in terre che hanno nomi e dignità di stati ben precisi e che vanno dalla Libia allo Yemen, ci hanno messo in contatto con individui e società le cui preoccupazioni quotidiane sono molto lontane dai luoghi comuni che gli "occidentalisti" non si stancano di ripetere ecoicamente. Su una cosa siamo d'accordo: sporcare l'onorabilità e la reputazione di queste persone esibendole in qualche trasmissione televisiva congegnata per testare il grado di passività e di acquiescenza che sono in grado di garantire nella prospettiva di qualche altra "esportazione di democrazia" sarebbe veramente troppo.
A detta de signor Domenico Bonvegna, Massimo Introvigne avrebbe avuto modo di verificare la tesi su esposta viaggiando in non meglio identificati "Paesi islamici", una definizione in cui un "occidentalista" tende a comprendere tutto quello che sta tra il confine greco e le Filippine, e tra Lampedusa e Johannesburg. Bonvegna sostiene che invece, nello stato che occupa la penisola italiana difficilmente si riuscirebbe ad incontrare un musulmano che non si dichiari moderato: "per vivere tranquilli e soprattutto per farsi invitare a Porta a Porta, bisogna essere moderati". Il mondo "occidentalista", abbiamo avuto modo di notare con sarcasmo più volte, è un mondo praticamente lunare: in questo mondo selenite gli immigrati da dar al'Islam non passano mica la giornata nei cantieri edili e nelle concerie: la passano a cercare di vivere tranquilli e soprattutto a tentare di farsi invitare ad una trasmissione televisiva da cui, ci dicono (non abbiamo apparecchi televisivi) nel corso degli anni è passato il fior fiore di quella schiatta che la penisola italiana non cessa di produrre e che un tempo doveva accontentarsi delle ben più dimesse ribalte degli avanspettacoli di periferia. Torna ancora una volta un leitmotiv dell'"occidentalismo": la televisione come metro e misura dell'esistere.
Digiuno perfino circa gli obblighi fondamentali dei credenti, Bovegna si pone il problema di come si faccia a distinguere un credente da un non credente, e lo risolve con una sommaria categorizzazione sforbiciando poi un Introvigne che, attestata l'inadeguatezza del concetto di "moderazione" utilizzato come continuum lungo il quale classificare i "musulmani", proporrebbe una classificazione in cinque categorie parametrizzata sull'accettazione dei "diritti umani".
Ora, proprio con i "diritti umani" e con la "democrazia da esportazione", la cui traduzione operazionale prende il costruttivo nome di "guerra preventiva", da almeno otto anni l'"Occidente" si sta comprando in contanti intere generazioni di nemici in un areale geografico immenso: stante questo clima politico, è probabile che la patente di "musulmano ultraprogressista" vada conseguentemente assegnata a chi, nei contesti sociali e culturali di appartenenza, ottiene invece epiteti di tutt'altro tipo, dei quali "collaborazionista" e "servo" sono probabilmente i meno irriferibili.
Invece di rifarsi a categorizzazioni discutibili e soprattutto di citare personaggi mediatici a raffica (da Souad Sbai a Magdi Allam), Domenico Bonvegna avrebbe fatto meglio a riferirsi ad esperienze dirette e personali: le nostre, affinate con viaggi non in generici "paesi islamici" ma in terre che hanno nomi e dignità di stati ben precisi e che vanno dalla Libia allo Yemen, ci hanno messo in contatto con individui e società le cui preoccupazioni quotidiane sono molto lontane dai luoghi comuni che gli "occidentalisti" non si stancano di ripetere ecoicamente. Su una cosa siamo d'accordo: sporcare l'onorabilità e la reputazione di queste persone esibendole in qualche trasmissione televisiva congegnata per testare il grado di passività e di acquiescenza che sono in grado di garantire nella prospettiva di qualche altra "esportazione di democrazia" sarebbe veramente troppo.